La fioritura
della filosofia analitica
Francesco Bertoldi
Nei decenni centrali del '900 le università di Cambridge, prima, dove insegnarono Russell e Wittgenstein, e di Oxford, poi, vedono una rigogliosa fioritura della filosofia analitica: tra i nomi più importanti possiamo ricordare quelli di Wisdom, Ryle, Austin, Ayer, Strawson.
Rispetto a Russell, molti di tali autori, soprattutto quelli di Oxford, dove era tradizionale l'interesse per la filosofia classica e Aristotele in particolare, guardano con rispetto e attenzione alla metafisica. Non si tratta di un vero ritorno alla metafisica, in senso classico, come sapere dell'essere, ma della presa d'atto che nel nostro effettivo modo di pensare e di parlare sono inevitabilmente implicate delle convinzioni metafisiche. Tale atteggiamento procede di pari passo con la relativizzazione del principio di verificazione, assolutizzato dai neopositivisti, per il quale solo ciò che è verificabile è sensato (il che portava alla negazione della sensatezza degli asserti metafisici, non empiricamente verificabili).
Così, ad esempio Strawson (1959) sostiene una «metafisica descrittiva», che esprima le strutture concettuali naturali dei linguaggi; così Wisdom (tra l'altro 1965), pur negando alla metafisica un carattere rigoroso, in quanto intessuta di paradossi, la ritiene stimolante per la costruzione di una visione complessiva del mondo, di cui non possiamo fare a meno: in termini molto simili si esprime anche Ayer, nella seconda fase del suo pensiero (dopo il '40).
Ma la tematica centrale è senza dubbio l'analisi del linguaggio ordinario, al cui riguardo possiamo ricordare i lavori di Austin.
Austin
Egli distinse, approfondendo la distinzione aristotelica tra discorsi apofantici e non, e sulla scia della rivalutazione del linguaggio ordinario fatta dal “secondo Wittgenstein”, tra enunciati
- constatativi (o descrittivi): descrivono uno stato di cose («Tizio chiede scusa») [e possono essere veri o falsi]
- performativi (o esecutivi): che invece sono delle vere e proprie azioni («ti chiedo scusa») [non sono veri o falsi, ma efficaci o no]
A differenza del neoempirismo logico, che focalizzava la sua attenzione solo sul linguaggio proposizionale constatativo, Austin evidenzia la presenza, nell'effettivo parlare, di un linguaggio, il performativo, a quello non riducibile.
Anzi, in una successivo fase di elaborazione, egli ritiene che una componente non meramente constatativa sia presente in ogni atto linguistico, in ogni comunicazione verbale, e distingue perciò non più tra atti, ma negli atti, tre diversi aspetti:
- locutorio (locutivo): con cui si dice qualcosa, le cose che si dicono (saying something),
- illocutorio (illocutivo): con cui si dice una intenzione di chi parla,
- perlocutorio (perlocutivo): con cui chi parla produce un effetto su coloro a cui parla, ad esempio persuadendo o dissuadendo, o suscitando sentimenti.
Ryle
Nacque nel 1900 e morì nel 1976. Scrisse numerose opere, tra cui Systematically Misleading Expressions (1932), Categories (1939), Philosophical Arguments (1945), Ordinary Language (1953, forse la più importante), Use, Usage and Meaning (1961).
Spiegò che il linguaggio della scienza non contraddice quello comune, ordinario, ma si pone da un diverso punto di vista, analogamente a come il punto di vista dell'economo di un college che vede i libri della biblioteca del college come capitoli di spesa, è diverso dal punto vista dello studente, che i libri li consulta e li legge (tutto il brano è riportato per esteso nel vol.10 della Storia della filosofia del Reale - Antiseri, p.V, cap. IV).
Ryle tiene poi a distinguere tra «uso ordinario del linguaggio» e «uso del linguaggio ordinario»: il primo è l'uso corrente, quotidiano, non specialistico del linguaggio, mentre il secondo è un uso di un linguaggio anche specialistico e fa un esempio . Un certo numero di concetti e di parole di uso comune è necessario anche nelle discipline specialistiche, come le scienze e la filosofia.
Egli sostiene poi che ci debba essere un ragionevole equilibrio tra linguaggio specialistico e e linguaggio comune: non si può scrivere o parlare solo per specialisti, ma entro certi limiti è inevitabile e giusto ricorrere a termini tecnici (cfr. op.cit.).
La sua analisi del linguaggio poi fu tesa ad evidenziare, per neutralizzarli, gli errori categoriali, cioè gli equivoci che nascono dal non tener conto del diverso significato che un termine assume in diversi contesti categoriali; un esempio di tale errore, fatto da Ryle stesso, è quello di un visitatore che dopo aver visitato tutti i settori di una università (le aule, le mense, i chiostri, le biblioteche, i laboratori), si chieda dove stia quella università, come se l'università stesse sullo stesso piano delle sue componenti edilizie, come cioè se essa (che è una istituzione) fosse un membro della stessa classe di quelle, mentre si tratta di due livelli diversi.
Tali errori, in cui incorre spesso il linguaggio ordinario, hanno provocato, nella storia della filosofia, numerosi errori e paradossi, l'esempio più importante dei quali è quello commesso da Cartesio, con il suo dualismo tra res cogitans e res extensa: il filosofo francese infatti, come il visitatore dell'esempio di sopra, dopo aver constatato diversi comportamenti documentabili dell'io, si chiede dov'è l'io, e conclude che sia una realtà a parte rispetto a tali comportamenti, in cui invece, per Ryle, esso si risolve esaurientemente.
La filosofia deve per lui elaborare una cartografia concettuale, che stabilisca i confini e le relazioni dei concetti; a tal proposito occorre elaborare un nuovo sistema di categorie, analogamente a quanto avevano fatto Aristotele e Kant, classificando i termini usati nel linguaggio comune e i loro diversi significati.