Dio e la religione
da amare più che da dimostrare
Francesco Bertoldi
4) Dio
Pascal dedica, ovviamente, delle riflessioni alla questione della ragionevolezza dell'esistenza di Dio. Da un lato egli non contesta il valore intrinseco, logico, delle prove tradizionali della Sua esistenza. Tuttavia tali prove non hanno il potere di convincere esistenzialmente l'uomo. Convincono la testa, l'intelligenza, ma non il cuore, non hanno la forza di cambiare la vita, con il suo urgere drammatico, intessuto di contraddizioni e di limiti.
Le prove metafisiche di Dio sono tanto lontane dal modo di ragionare degli uomini e tanto complicate, che colpiscono poco; e quando anche servissero per alcuni, servirebbero solo nel momento che essi vedono la dimostrazione, ma un'ora dopo temerebbero d'essersi ingannati.
L'unica dimostrazione che Pascal propone è, se così la si può chiamare, l'argomento della scommessa, il pari: nella incertezza se Dio esista o meno, è giusto puntare su ciò che più ci conviene; ovvero ci conviene puntare sul fatto che Dio esista, in quanto se tale ipotesi si rivelasse vera avremmo "vinto tutto", mentre se anche si rivelasse falsa non avremmo "perso niente" (dato che la vita non sarebbe allora che un niente sospeso nel niente).
Poiché scegliere bisogna, vediamo ciò che vi interessa di meno. Voi avete due cose da perdere: il vero e il bene; e due cose da impegnare nel gioco: la vostra ragione e la vostra volontà, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha due cose da fuggire: l'errore e la miseria. (...)
Valutiamo questi due casi: se guadagnate, voi guadagnate tutto; se perdete, non perdete niente. Scommettete dunque che egli esiste, senza esitare.
Come si vede non si tratta di una vera prova, ma piuttosto di un argomento che evidenzia come valga la pena cercare con tutte le proprie forze se Dio sia, dato che la alternativa a Lui è il vuoto, il nulla.
Dio come Lo presenta Pascal è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, non il Dio freddo geometrico dei filosofi: cioè è un Dio vivo, un Tu esistente, che interpella perciò tutta la nostra persona e non può non com-muovere tutto il nostro essere, pensiero, cuore ed emozioni.
E' anche un Deus abscobnditus, un Dio nascosto: ma non, come spiega bene Guardini, perché sia intrinsecamente oscuro, quanto piuttosto per via del peccato che è in noi, e che causa in noi un appannamento, un diaframma nei confronti della Sua sfolgorante Luce.
Per questo per ammettere la Sua esistenza non occorre "aumentare il numero delle prove", ma "diminuire" le "passioni" (fr. 233): lottare contro il male, il peccato (le "passioni") infatti è rimuovere il fattore che si frappone come un diaframma tra noi e Dio. Se togliamo il motivo per cui Lo neghiamo, ossia la nostra volontà ribelle e disobbediente (e perciò incline al male), avremo rimosso il principale impedimento, affettivo piuttosto che conoscitivo, al riconoscimento del nostro Creatore. Il tema è tipicamente agostiniano, o meglio, più generalmente, tradizionale: la vita dell'intelligenza non è separabile dalla vita personale nella sua totalità, per cui essere nella verità è il modo migliore per pensare nella verità.
5) i tre ordini
Non vi sono solo due livelli di realtà, come pensava, più o meno subdolamente, molto razionalismo contemporaneo a Pascal (ad esempio Cartesio): non vi sono solo il livello corporeo, quello della res extensa, e il livello spirituale, quello della res cogitans. Vi è un terzo livello, separato dal secondo da un abisso più profondo di quello che lo divideva dal primo: è il livello della carità, ossia della grazia, soprannaturale, con cui l'uomo è assimilato all'Infinito Mistero di Dio.
Servirebbe ben poco far vincere lo spirito sul corpo: servirebbe solo a insuperbire, cioè a dannarsi. Il punto non è: essere spirituali, far vincere la ragione sull'istinto, la legge sulla carne. Fin lì potrebbe arrivare anche un filosofo pagano o, diremmo oggi, un asceta orientale. Il punto è aprirsi a una misura infinita, quella della carità appunto, per cui aderiamo all'Infinito e diventiamo capaci, per sua grazia, di amare e perdonare senza limite.
La dottrina pascaliana dei tre ordini sottolinea appunto questa irriducibilità della carità allo spirito, o a un'etica puramente naturale. Quello a cui Cristo chiama l'uomo è un compito che trascende le capacità e i limiti della pura natura, e pur senza cancellarli dilata realmente l'uomo al "senza limiti". Come i Santi testimoniano in modo più evidente, ma come ogni cristiano almeno un po' sperimenta nella sua esperienza.