resti dell'agorà di Atene

Aristotele: la politica

l'equilibrio dell'esistente

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Tesi fondamentali della filosofia politica di Aristotele sono le seguenti:

naturalità della società

L'uomo è per natura socievole, è un animale politico; la società non è dunque frutto di una scelta arbitraria, non è una convenzione, di cui l'uomo potrebbe anche fare a meno; un segno di questa naturale socievolezza umana è la parola (logos), che rende l'uomo atto a dialogare e discutere. L'uomo dunque realizza la sua natura non in uno stato “selvaggio” di isolamento, ma nella civiltà, in società.

il “giusto mezzo”

La forma migliore di società è quella basata sul "giusto mezzo": una "polis" non troppo grande né troppo piccola, non governata né da una troppo ristretta oligarchia né dalla massa del popolo, incline a farsi condizionare dalle emozioni, bensì dalla classe media; in questo lo Stagirita si discosta dall'utopismo del maestro, del resto superato dallo stesso ultimo Platone: è inutile inseguire una perfezione assoluta in politica, è meglio puntare su ciò che è relativamente meglio, ovvero la monarchia, da preferire alla tirannide, l'aristocrazia, da preferirsi all'oligarchia, e la politeia da preferirsi alla demagogia. Aristotele non dice quale sia in assoluto la migliore forma di regime, tuttavia propende a pensare che per popoli non ancora molto sviluppati, barbari, sia una buona costituzione la monarchia, mentre se un popolo è maturo, come lo è quello greco, la forma migliore è la politeia. Quest'ultima è la forma di regime più stabile, meno soggetta a rivoluzioni, che sono sempre eventi traumatici e a cui lo Stagirita dedica approfondite analisi, sostenendo che esse si verificano ultimamente quando una costituzione è causa di gravi ingiustizie.

l’inegualitarismo

la schiavitù

«L'istituto della schiavitù era considerato normale in tutta l'antichità, perché la mancanza di mezzi di produzione meccanici (le macchine, su cui si fonda l'economia industriale) rendeva necessaria la disponibilità di manodopera per provvedere ai bisogni più elementari, e in genere venivano fatti schiavi i barbari prigionieri di guerra.»

«Aristotele è il primo che si pone il problema se la schiavitù sia giusta, segno che essa non gli appare sempre ovvia, anche se la mancanza di macchine gliela fa apparire necessaria (egli giunge a dire infatti che “se le spole tessessero da sé, non ci sarebbe bisogno di schiavi”). La sua risposta è che essa è giusta solo quando è effettivamente fondata sulla natura, cioè quando sono schiavi coloro che non sanno governarsi da sé e sono fatti per obbedire ad altri: nel caso concreto, i barbari (anche questa era un'opinione condivisa da quasi tutti i Greci, con l'eccezione di qualche sofista).» (E.Berti)

Esistono differenze qualitative tra gli esseri umani: i liberi sono superiori agli schiavi, i greci ai barbari, gli uomini alle donne e ai figli (Politica, I, 13).

In particolare egli sostiene che i greci siano il giusto mezzo tra la laboriosità rozza dei nordici e la raffinatezza rammollita degli orientali: i greci sono al tempo stesso laboriosi (come nordici) e civilizzati (come orientali). è questa la parte più caduca della filosofia di Aristotele, quella che più esprime la sua appartenenza alla contingente situazione storica della civiltà greca, ma si potrebbe dire delle civiltà non-cristiane: solo la fede cristiana in effetti afferma senza ambiguità la reale e profonda eguaglianza di tutti gli esseri umani. Con buona pace di quanti hanno visto nell'antichità classica un luminoso regno di saggezza, oscurato poi dal Cristianesimo, la verità è che l'età antica pensa in termini di diseguaglianza e di discriminazione.

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