un ritratto di Kant

la Critica della Ragion Pura

l'impossibilità della metafisica

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la conoscenza

La teoria della conoscenza del Kant maturo è contenuta nella Critica della Ragion Pura (17811, 17872). Egli vi si chiede quali siano la natura e i limiti della conoscenza umana. Benché la struttura di tale opera sia più complessa, è scolasticamente utile tripartirla in Estetica trascendentale (sulla sensazione), Analitica trascendentale (sul pensiero legittimo) e Dialettica trascendentale (sul pensiero illegittimo).

Il fontespizio della Critica della Ragion Pura

chiarimenti terminologici

Chiariamo anzitutto il senso del termine “trascendentale”, ossia “che trascende”, “che va oltre”. È trascendentale ciò che trascende le distinzioni, che possono essere

  • o quelle in cui si suddivide la realtà (per la Scolastica medioevale)
  • o quelle in cui si suddivide la conoscenza (per Kant).

Se trascendentale è ciò che trascende, va-oltre, le divisioni, esso è ciò che è esteso a tutto:

  • a tutta la realtà, a tutto l'esistente (per la Scolastica: e così abbiamo come trascendentali l'essere, il vero, il bene e l'uno)
  • o a tutto ciò che è conoscibile (per Kant).

Nel vocabolario di Kant molto vicino al termine “trascendentale” è il termine “puro”: esso è equivalente a “a-priori”, ossia è ciò che non è ricavato dai sensi, ma è già da sempre presente in noi, alla struttura conoscitiva del soggetto che noi siamo. In base alla rivoluzione copernicana ciò che è “posto” dal soggetto (ciò che è presente in noi, per come è fatta la nostra capacità di conoscere) si estende a (è presente in) ogni conoscibile, in ogni possibile cosa conosciuta; dunque è “trascendentale”, almeno al suo livello.

la rivoluzione copernicana

È lo stesso Kant a chiamare “rivoluzione copernicana” la svolta del pensiero con cui lui stesso riteneva di aver risolto una volta per tutte il problema della conoscenza ribaltando quanto si era pensato prima di lui, analogamente a come Copernico aveva radicalmente riformulato i termini del problema astronomico. Come per Copernico non è il sole a girare attorno alla Terra, ma il contrario, così per Kant non è il soggetto a ruotare attorno all'oggetto, ma al contrario è l'oggetto a ruotare attorno al soggetto, ossia non è il soggetto che deve adeguarsi all'oggetto, ma è l'oggetto che si adegua al soggetto, si piega docilmente alle sue leggi e alle sue strutture conoscitive.

Di conseguenza non dobbiamo più chiederci se le nostre idee siano conformi alle cose, perché sono le cose che si conformano alle nostre forme conoscitive a-priori:

«Finora si è creduto che ogni nostra conoscenza debba regolarsi sugli oggetti; ma tutti i tentativi, condotti a partire da questo presupposto, di stabilire, tramite concetti, qualcosa a priori intorno agli oggetti, onde allargare in tal modo la nostra conoscenza, sono andati a vuoto.

È venuto il momento di tentare una buona volta, nel campo della metafisica, il cammino inverso, muovendo dall'ipotesi che siano gli oggetti a dover regolarsi sulla nostra conoscenza; ciò si accorda meglio con la auspicata possibilità di una conoscenza a priori degli oggetti, la quale affermi qualcosa nei loro riguardi prima che ci vengano dati.» Bisher nahm man an, alle unsere Erkenntnis müsse sich nach den Gegenständen richten, aber alle Versuche über sie a priori etwas durch Begriffe auszumachen, wodurch unsere Erkenntnis erweitert würde, gingen unter dieser Voraussetzung zunichte.
Man versuche es daher einmal, ob wir nicht in den Aufgaben der Metaphysik damit besser fortkommen, daß wir annehmen, die Gegenstände müssen sich nach unserem Erkenntnis richten, welches so schon besser mit der verlangten Möglichkeit einer Erkenntnis derselben a priori zusammenstimmt, die über Gegenstände, ehe sie und gegeben werden, etwas festsetzen soll.

l'estetica trascendentale

Questa parte della Ragion Pura si occupa della sensazione. Il nome si riferisce al senso originale del greco αἴσθησις (aisthesis), che è appunto “sensazione”, per cui “estetica” ha in Kant un senso diverso da quello comunemente inteso (riferito alla bellezza e all'arte).

Gli oggetti della sensazione sono collocati nello spazio e nel tempo (sono sempre in un “qui e ora”), e per Kant il problema fondamentale di questa parte è proprio quello della natura di spazio e tempo, argomento che, come abbiamo visto, egli aveva già affrontato nella Monadologia physica.

La soluzione qui data da Kant è che spazio e tempo siano forme a-priori, ovvero “intuizioni pure”, qualcosa che è presente in noi e che perciò avvolge tutto ciò che conosciamo: non sappiamo cioè se lo spazio e il tempo, come noi li conosciamo, esistano realmente nel mondo in-sé, fuori di noi, sappiamo però che noi applichiamo, sempre e necessariamente, tali caratteristiche ad ogni possibile oggetto sentito. Quindi non può succedere che sentiamo (vediamo, udiamo, tocchiamo) qualcosa che non sia dentro queste coordinate, lo spazio e il tempo.

In questo modo spazio e tempo sono universali e questo ha dei riverberi sulla attendibilità della scienza. Il suo oggetto infatti è la realtà sensibile, la realtà oggetto dei sensi, quella che noi vediamo e tocchiamo; ma se tale realtà è necessariamente accompagnata dalle caratteristiche (universalmente presenti) di spazio e tempo, allora l'oggetto della scienza ha un carattere di stabilità e di regolarità, non è cioè qualcosa di capriccioso e imprevedibile, ma è governato da leggi universali e necessarie. Ed è perciò prevedibile e “studiabile”. Il che permette alla scienza di essere attendibile.

Spazio e tempo li mettiamo noi (sono forme a priori), ma dalla realtà “esterna”, dal mondo, dalle cose-in-sé, proviene una “materia” che viene organizzata dentro tali due forme.

fenomeno e noumeno in Kant

L'oggetto della conoscenza, sensibile in questo caso, è così un fenomeno, derivante a) da una materia proveniente dalla realtà-in-sé e b) da una forma, lo spazio e il tempo, posti dal soggetto. Noi conosciamo solo il fenomeno, solo i fenomeni; ciò che invece sta “dietro” i fenomeni, cioè il noumeno, chiamato anche cosa-in-sé ci sfugge, è una x misteriosa irraggiungibile.

Come si vede Kant riprende qui due termini aristotelico-scolastici, forma e materia, come già aveva ripreso il termine trascendentale, dando loro, anche qui, un significato parzialmente diverso.

Da un lato infatti , come in Aristotele, materia e forma sono dei principi e non delle cose (non possono esistere separatamente) e svolgono una funzione determinante la seconda e indeterminata la prima; ma, d'altro lato, a differenza dallo cioè di Aristotele, nativo di StagiraStagirita, materia e forma hanno un senso gnoseologico e non ontologico. La materia ad esempio, non va immaginata come un effluvio materiale che attraverserebbe lo spazio partendo dalla cosa per raggiungere poi il soggetto.

l'analitica trascendentale

la scienza come modello del sapere

In questa parte della Critica Kant, dopo aver esaminato la conoscenza sensibile, affronta il tema della conoscenza razionale legittima, valida, chiedendosi quale ne sia la natura e quali i limiti.

Per sapere come si caratterizzi in generale la conoscenza valida egli parte da quella particolare conoscenza razionale, quel particolare sapere, che è sicuramente, indubitabilmente valido, per enuclearne i tratti costitutivi, che saranno per ciò stesso anche i tratti costitutivi del sapere valido in generale. Questo sapere particolare certamente valido è quello scientifico, in particolare la fisica e la matematica.

i giudizi sintetici a-priori

Come è strutturato, dunque, il sapere valido, matematico-fisico? Esso è sostanziato da un certo tipo di giudizi, i giudizi sintetici a-priori, che sono al tempo stesso

  • rigorosi -> cioè universali e necessari
  • e fecondi -> cioè arricchiscono la conoscenza, apportano nuove conoscenze.

Kant in effetti distingue tre tipi di giudizi:

  • quelli analitici a-priori, propri del razionalismo e della metafisica, rigorosi ma non fecondi, sterili;
  • quelli sintetici a-posteriori, propri dell'empirismo, fecondi ma non rigorosi, cioè incapaci di universalità e necessità (fanno conoscere tante cose, ma senza giungere mai a poter dire “così deve essere”)
  • e appunto quelli sintetici a-priori, che secondo Kant caratterizzano la scienza.

Chiariamo i termini usati:

analitico
significa che il predicato non aggiunge niente di realmente nuovo rispetto al soggetto, ma si limita ad esplicitarne il contenuto;
sintetico
al contrario indica che il predicato aggiunge qualcosa di non presente nel soggetto.
a-priori
indica la capacità di universalità e necessità, a-posteriori al contrario indica che un giudizio non raggiunge tale livello.

Si vede che i giudizi sintetici a-priori sintetizzano il meglio dell'empirismo (la fecondità) e del razionalismo (universalità e necessità): assicurano cioè che il sapere si accresca di nuove conoscenze, ma raggiungendo anche un livello di universalità, formulando ad esempio delle leggi valide non solo in certi casi, ma sempre.

come sono possibili tali giudizi (sintetici a-priori)?

Il passo successivo che cioè Kantil filosofo di Königsberg compie è chiedersi come siano possibili i giudizi sintetici a-priori. La risposta è che la loro condizione è che la conoscenza umana (valida) sia strutturata in un certo modo, tale da garantire da un lato la rigorosità e dall'altro la fecondità.

la forma a-priori, garanzia dell'universalità

Che cosa garantisce la rigorosità, il fatto cioè che un giudizio sia vero non solo qui e adesso, ma sempre e ovunque, necessariamente? Per Kant tale garanzia può essere data solo dal fatto che è il soggetto umano ad applicare infallibilmente quella data caratteristica, quel dato filtro, ossia quella data forma a-priori. Se siamo noi ad avere delle lenti gialle, che non ci possiamo togliere, è assicurato che vedremo sempre tutto giallo. Dunque il carattere di universalità e necessità poggia sull'a-priori, noi poniamo, applichiamo delle forme a-priori, cioè i concetti (puri).

l'origine dell'universalità

Come abbiamo visto in Kant l'universalità è posta dal soggetto, mentre in Aristotele essa è trovata dal soggetto nell'oggettività, mediante l'astrazione. Ciò significa che Aristotele è realista, è convinto che la mente umana rispecchi fedelmente la realtà, nei suoi aspetti intelligibili universali, mentre Kant non lo è, essendo convinto che non si dia garanzia di tale rispecchiamento.

la materia, garanzia della fecondità

Queste forme a-priori spiegano solo un lato della conoscenza valida, non sono complete in sé stesse, devono unirsi a una materia (come già dovevano spazio e tempo nel caso della sensazione), proveniente dal di fuori del soggetto, e che spiega il fatto che la conoscenza si arricchisca sempre di nuovi contenuti. Questa materia non è altro che l'intuizione sensibile, cioè la sensazione.

Notiamo che i concetti supremi (quelli più universali, più generali di tutti, quelli “sopra i quali” non ce ne sono altri), che per Aristotele e la Scolastica erano 10, per Kant sono 12, le dodici categorie (unità, pluralità, totalità, realtà, negazione, limitazione, inerenza e sussistenza, causa ed effetto, reciprocità, possibilità e impossibilità, esistenza e inesistenza, necessità e contingenza), che egli desume dai corrispondenti giudizi, quali erano classificati, pare, dai manuali di logica del suo tempo.

una sinergia necessaria

Kant è convinto che ci debba essere una sinergia tra il fattore formale (i concetti) e quello materiale (le intuizioni): entrami i fattori sono necessari e devono collaborare perché si dia conoscenza valida.

«I concetti senza le intuizioni sono vuoti, le intuizioni senza i concetti sono cieche.» «Gedanken ohne Inhalt sind leer, Anschauungen ohne Begriffe sind blind»

Anche da qui si vede la differenza tra i concetti kantiani e le idee innate del razionalismo moderno (Cartesio, Spinoza, Leibniz): mentre queste ultime sono autosufficienti, quelli devono integrarsi, per così dire, alle intuizioni (da soli non fanno conoscere).

la “deduzione trascendentale” delle categorie

Il dubbio: una proposta relativista?

una violenza alla realtà?

Kant si chiede, visto che i concetti, le categorie non sono astratti (ricavati) dal sensibile, come in Aristotele, ma sono imposti al sensibile, se ciò non si configuri come qualcosa di arbitrario, una alterazione della realtà. Chi ci garantisce insomma che le categorie che noi applichiamo alla materia sensibile corrispondano in qualche modo alla struttura profonda della realtà?

una rassicurante necessità

La risposta è che, certo, nulla garantisce, a livello teoretico almeno, tale corrispondenza. Tuttavia quello che ci deve importare, e bastare, è che possiamo essere certi che, proprio per il fatto che si tratti di “filtri” che noi applichiamo necessariamente al conosciuto, non ci potrà mai essere alcuna sbavatura in tale applicazione: tutti gli esseri umani sempre e comunque applicheranno al dato le categorie, garantendone così la universalità e necessità.

la dialettica trascendentale

la conoscenza non valida

Dopo aver esaminato la conoscenza valida, Kant esamina quella non valida, cioè la metafisica, che ora, superando definitivamente le incertezze del periodo precritico, abbandona decisamente.

La metafisica non è un sapere valido perché pretende di conoscere quel noumeno, quell'incondizionato, che è invece irraggiungibile. Solo il fenomeno è oggetto di una conoscenza legittima, poiché il soggetto umano condiziona sempre l'oggetto conosciuto, non possiamo conoscere invece l'incondizionato, la cosa-in-sé, l'essere.

Questo è vero in generale e basta a dimostrare che la metafisica, in generale, non è un sapere legittimo. Tuttavia Kant non si accontenta di questo argomento, ma cerca di mostrare l'illegittimità delle tre diverse branche della metafisica, ossia la psicologia razionale, imperniata sull'idea di anima, la cosmologia razionale, imperniata sull'idea di mondo, e la teologia razionale, imperniata sull'idea di Dio.

la psicologia razionale

il nostro irraggiungibile centro

è la branca della metafisica che pretende di conoscere il noumeno anima, usando dell'idea di anima. Essa non è valida perché cade in quelli che Kant chiama dei paralogismi, ossia dei sillogismi scorretti, quadrupedi, cioè implicanti non tre ma quattro termini, con il decisivo slittamento da un concetto all'altro.

Lo slittamento è appunto nel concetto di io: si parte dal concetto, puramente gnoseologico e legittimo, di io come io-penso (Ich denke) e si pretende di arrivare al concetto, ontologico e illegittimo perché noumenico, di io come sostanza spirituale, di anima come realtà ontologica. Tale slittamento, tale passaggio è illegittimo e inficia tutta la psicologia razionale.

Tutto ciò a cui possiamo giungere legittimamente è solo l'io-penso come unità logico-gnoseologica della conoscenza, come vertice, per così dire, del pensiero. Insomma siamo certi di pensare, di essere attività pensante, ma quale sia la radice profonda di questa attività (l'anima, aveva detto gran parte della tradizione filosofica), non possiamo saperlo.

la cosmologia razionale

l'universo, inspiegabile enigma

Essa pretende di conoscere il noumeno mondo, imperniandosi appunto su tale idea. Il suo carattere illegittimo è evidenziato dal fatto che essa cade nelle quattro antinomie, cioè la ragione si trova nella condizione di non poter scegliere tra due tesi opposte e inconciliabili, ognuna delle quali ha lo stesso titolo di affidabilità di quella contrapposta.

La prima antinomia riguarda il problema della finitezza/infinitezza del mondo: ci sono buone ragioni per sostenere che il mondo sia finito, spazialmente e temporalmente, ma ce ne sono di esattamente altrettanto buone per sostenere che esso invece sia infinito, in entrambi i sensi.

La seconda antinomia riguarda il problema della divisibilità del mondo in parti semplici, non ulteriormente divisibili; per la tesi il mondo consta di elementi semplici, per la antitesi esso è composto di elementi sempre ulteriormente divisibili (cioè di elementi estesi).

Nella terza antinomia si affronta il problema della libertà/necessità: per la tesi non tutto ciò che accade nel mondo è necessario, ma esiste anche la libertà, ciò che invece l'antitesi nega (sostenendo il determinismo).

Infine nella quarta antinomia si fronteggiano la tesi che sostiene l'esistenza di un essere necessario come causa del mondo e l'antitesi, per cui non esiste alcun essere necessario, né nel mondo né fuori dal mondo che sia causa di esso.

tesi antitesi
il mondo è finito infinito
il mondo è composto di elementi indivisibili, semplici divisibili, estesi
nel mondo vi è libertà tutto è necessario
l'Essere necessario esiste ed è causa del mondo non esiste

la teologia razionale

Dio come indimostrabile

È questo il momento culminante della metafisica, che pretende di arrivare a dimostrare l'esistenza di Dio, facendo leva appunto su tale idea. A malincuore, Kant giunge a concludere che anche questa branca della metafisica è illegittima: con la ragione non possiamo dimostrare l'esistenza di Dio. Lo fa distinguendo tre tipi di prova dell'esistenza di Dio: quella ontologica, quella cosmologica e quella fisico-teologica.

De Chirico, nostalgia dell'infinito
l'uomo ha nostalgia dell'infinito
la prova ontologica

Era stata formulata da S.Anselmo e ripresa, tra gli altri, da Cartesio e Leibniz: pretendeva di dimostrare l'esistenza di Dio a partire dalla Sua idea. Siccome abbiamo l'idea dell'Essere perfettissimo, tra tutte le sue perfezioni tale Essere deve necessariamente avere anche l'esistenza. Tale argomento per Kant è sbagliato, perché passa surrettiziamente dall'ordine ideale, logico, all'ordine reale, ontologico esaminando una essenza, quella appunto di Essere perfettissimo.

Ora, egli osserva che l'esistenza non è un predicato, una caratteristica dell'essenza, ma qualcosa che può essere dato solo nell'esperienza. Infatti, egli osserva, l'essenza di 100 talleri puramente pensati, ideali, è esattamente identica all'essenza di 100 talleri esistenti (nel mio portafoglio): non è riflettendo sull'essenza di 100 talleri che potrò sapere se esistono, ma solo guardando dentro il portafoglio.

la prova cosmologica

È la prova formulata, tra gli altri, da Tommaso d'Aquino: si arriva a Dio come Causa prima, constatando che nel mondo da noi immediatamente conosciuto tutto ciò che inizia deve avere una causa e argomentando che non si può risalire all'infinito nella serie di cause.

Kant obbietta che il principio di causalità non essendo qualcosa di scoperto nella oggettività, ma di posto dalla struttura conoscitiva del soggetto, non può applicarsi al di là del mondo fenomenico, come invece fa questa prova che pretende di arrivare a Dio come noumeno, anzi Noumeno supremo.

la prova fisico-teologica

Ovvero teleologica: è quella che Kant stima di più, quella più facilmente accessibile anche alla gente semplice, ai non addetti ai lavori. Giunge a Dio come Fine ultimo di tutto, come Colui che finalizza tutto al massimo bene, partendo dall'ordine buono che si osserva nella natura, dove tutto appare, appunto, come finalizzato.

Kant osserva che tale prova, facendo comunque leva sul concetto di causa, non può trascendere il mondo fenomenico, al massimo dunque può giungere a ipotizzare un essere potentissimo immanente a tale mondo, una sorta di Demiurgo (platonico).

le idee della ragione

Ciò che resta della metafisica

Dunque la metafisica, della quale del resto Kant si dice innamorato e alla quale solo con rammarico deve rinunciare, non è un sapere legittimo: mentre l'intelletto (Verstand) usa legittimamente delle (dodici) categorie per costruire una scienza valida del mondo fenomenico, la ragione (Vernuft) usa illegittimamente delle (tre) idee pretendendo di costruire una metafisica attorno al mondo noumenico.

Tuttavia le tre idee della ragione, se non hanno un valore costitutivo, ostensivo, cioè non ci fanno conoscere il loro oggetto, hanno comunque un valore regolativo, euristico. Sono cioè un po' come delle frecce puntate, delle direzioni di ricerca, dei concetti-limite, non del tutto inutili. Del resto il noumeno, inconoscibile teoreticamente, verrà in qualche modo recuperato, perché presupposto, dal punto di vista etico-pratico e intravvisto in ambito estetico.

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