Platone: la metafisica
il vero mondo al di là del visibile
Francesco Bertoldi
il mondo intelligibile
sua esistenza
Il mondo delle Idee o intelligibile deve esistere per due ragioni fondamentali, una gnoseologica e una ontologica.
1) La via gnoseologica al mondo intelligibile argomenta che altrimenti non si spiegherebbe perché noi pensiamo in base a delle categorie di perfezione e di stabilità, non si spiegherebbe insomma perché abbiamo in noi una conoscenza, un sapere immutabile e perfetto, come lo sono la matematica o la filosofia; le verità filosofiche e matematiche infatti non sono vere solo qui e ora, o qualche volta sì e qualche altra no, ma sono vere sempre e ovunque. Cioè sono immutabili. E, in questo senso, perfette.
E quale origine può avere un effetto perfetto? Quale origine può avere un sapere immutabile? Solo un'origine, solo una causa perfetta, immutabile. Un sapere immutabile non può dunque avere origine dal mondo materiale, oggetto dei sensi, il mondo che vediamo e tocchiamo: esso infatti è mutevole. La vera causa, la vera origine del sapere immutabile, che troviamo in noi, può essere solo qualcosa di immutabile, un mondo immutabile. E tale è appunto il mondo intelligibile.
2) L'altra via, la via ontologica argomenta che se non si ammettesse una realtà ideale non si spiegherebbe il movente adeguato della realtà umana (meccanicisticamente inspiegabile);(si veda in particolare il Fedone, ed alcuni brani di Platone: il fisico non basta a spiegare il fisico, occorre una seconda navigazione
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sua essenza
Tale mondo intelligibile non va inteso come esangue concettualità puramente mentale, non si tratta di idee come le possiamo intendere nel linguaggio quotidiano, come qualcosa cioè che esiste solo nella nostra mente. Si tratta invece di qualcosa di pienamente reale, anzi della vera realtà, assoluta, stabile e perfetta (Cratilo), immutabile (Fedone), essere in senso pieno (Repubblica). È semmai il mondo sensibile e materiale ad essere una realtà imperfetta e relativa, ombra e copia delle Idee (cfr. il mito della caverna).
un confronto con Hegel
Per Platone la realtà vera non è il mondo materiale, sensibile, ma il mondo delle Idee. Sembrerebbe esserci una somiglianza in ciò con l'idealismo, con Hegel, ma è opportuno evidenziare una differenza notevole.
A differenza di Hegel, che assorbe tutto nel Pensiero umano, suo Dio, totalità onniavvolgente, Platone ritiene che il pensiero umano deve conformarsi a una Oggettività che lo precede e misura. Se per Hegel il pensiero umano (sia pure non quello individuale) è misura di tutto, per Platone il pensiero è misurato, è dipendente dalla Oggettività del mondo intelligibile.
Parallelamente, mentre per Hegel il finito è inconsistente, contraddittorio, si risolve esaurientemente nell'Infinito, Platone riconosce al mondo sensibile, pur ombra dell'intelligibile, una certa consistenza reale.
In questo senso, pur differenziandosi dalla cultura cristiana, che vede l'Oggettività suprema nel Soggetto Trinitario, nel Tu tripersonale del Mistero Infinito, e non in una schiera di idee impersonali e finite, e che riconosce una piena consistenza reale a quel finito, in cui il Figlio ha voluto incarnarsi, valorizzandone ogni minimo dettaglio, Platone è comunque più vicino al Cristianesimo di Hegel.
Abbiamo detto che non sono da intendere nel senso corrente, di concetti, presenti (solo) nella nostra mente: εἶδος, idea indicano invece una struttura ontologica, l'essenza intelligibile delle cose (a partire dal senso più immediato del termine, che indica la figura esteriore, si risale al senso di intimo costititutivo, il ciò-per-cui una realtà è quella realtà).
Aristotele le intendeva come ipostatizzazione di concetti, ma l'intenzione di Platone, secondo G.Reale, era piuttosto quella di affermare, contro il relativismo sofistico e il mobilismo eracliteo, l'esistenza di un livello della realtà assoluto e immutabile.
Le idee sono comprensibili in rapporto alle cose sensibili, come dal seguente schema:
cose | idee |
---|---|
relative | assolute (in sè) |
mutevoli | immutabili (se mutassero le cause, non vi sarebbero causati) |
essere in senso derivato e partecipato | essere in senso pieno, non partecipato |
visibili, sensibili | invisibili |
corruttibili (nascono e muoiono) | eterne |
A differenza di Parmenide, a cui pure Platone deve molto (come la contrapposizione tra δόξα, apparenza sensibile, e ἀλήθεια, verità intelligibile) la realtà vera, pur eterna e immutabile, non è assolutamente una, bensì molteplice.
Certo è una molteplicità non caotica, ma organizzata, quindi in qualche modo unificata, facente capo ad una Idea suprema (il Bene-in-sè). Negli ultimi dialoghi (come il Parmenide e il Sofista) Platone tematizza l'impossibilità di una unità (monolitica) come la pensava Parmenide: l'uno non può essere senza i molti, l'identico non può essere senza il diverso.
Il mondo delle Idee è in effetti strutturato in modo gerarchico:
suo rapporto col mondo sensibile
La contrapposizione tra aletheia e doxa non è come in Parmenide assoluta e, come dire, abissale: tra le due sfere non vi è totale eterogeneità, estraneità, ma vi è un qualche rapporto tra il mondo vero e il mondo apparente, sensibile, un rapporto espresso da quattro caratteristiche: il mondo sensibile è imitazione (mimesi), partecipazione (metessi), comunione (koinonia) e presenza (parousia) del mondo intelligibile.Decisive sono soprattutto le prime due: il mondo sensibile imita quello intelligibile (un melo sensibile è simile all'idea di melo, il bianco sensibile è simile all'idea di bianco, al bianco-in-sé, un po' come un modellino di un monumento, mettiamo del Colosseo o del David di Michelangelo, imita l'originale, lo richiama, permette di farsene un'idea ancor prima di averlo visto) e ne partecipa (un po' come un modellino fatto dello stesso elemento partecipa anche nella sua "stoffa" dell'originale).
il mondo sensibile
Come ricordato parlando del Timeo, il mondo sensibile non è stato creato (dal nulla), ma plasmato da una materia preesistente, la chora. Il mondo corporeo non è stato creato: perché il divino per Platone non è Infinito, non è Onnipotente, ma ha una perfezione limitata, finita. Divine sono le Idee, ma sono impersonali, intelligibili, ma non intelligenti (per Platone l'intelligibile è superiore all'intelligenza, perché la regola e la misura e non ne dipende), non sono dei "TU", centri di consapevolezza e di libertà (il Bene è theion, non theos), e inoltre non possono generare che Idee (secondo una tesi comune al pensiero greco, per cui il supremo non può "abbassarsi" verso l'inferiore); e divino è il personaggio del Demiurgo, meno perfetto delle Idee, ma essere personale, buono e perfetto (finitamente).
Il Demiurgo trova la materia già esistente, come qualcosa di indeterminato, inintelligibile, oscuro, informe, caotico, retto da cieca necessità, quale spazialità "ricettacolo di tutto ciò che si genera, quasi una nutrice". Tale materia, più consistente in un certo senso di quella aristotelica, che è puro principio, non è il non essere, ha una sua realtà. Tale chora è fattore di relatività, di instabilità, di fenomenicità.
Il Demiurgo non può azzerarne tali caratteristiche negative, che non lui ha creato; cerca però di attutirne al massimo la negatività, infondendo in essa una somiglianza e una partecipazione delle Idee. Da tale opera di plasmazione esce, dal caos che precedeva, un cosmos, quanto più possibile armonico e ordinato.
Il male che ancora sussiste nel cosmo, consistente essenzialmente in un disordine, in una irrazionale disarmonia, non è dovuto all'azione plasmatrice del divino, ma alla resistenza opposta dalla materia caotica, che non ha potuto essere totalmente piegata e vinta.
La dottrina cosmologica imperniata sul mito del Demiurgo può essere vista nel senso di una rivalutazione del mondo sensibile, e di una superamento della negazione parmenidea del molteplice: i fenomeni molteplici hanno un certo essere, una certa realtà, un essere imperfetto e frammentato, ma diverso dal puro non-essere. Ne segue anche che la conoscenza del mondo sensibile, la δόξα, pur non essendo piena verità, ἀλήθεια, non è nemmeno assoluta ignoranza.
l'anima del mondo e il tempo
Platone paragona il mondo sensibile a un vivente perfetto, anzi a una sorta di "dio visibile", in quanto plasmato dal Demiurgo; di questo dio visibile il corpo è il mondo, e l'anima è estesa a tutto il mondo, permeandolo e contenendolo, secondo proporzioni e intervalli numerici di una scala musicale. Oltre al dio visibile dell'ambiente terrestre, il Demiurgo ha plasmato anche altri dèi visibili:
- gli astri, di puro fuoco,
- gli dèi della tradizione, a cui ha affidato di completare la generazione della realtà visibile, plasmando ciò che perisce (e che Egli non può forgiare) e affidando loro, da infondere nei corpi mortali ...
- le anima umane incorruttibili.
Il tempo: è immagine mobile dell'Eterno, ed è nato con il cielo.
Il cosmo ha avuto un inizio (con l'opera del Demiurgo), ma non ha termine, è incorruttibile.