la filosofia a Roma
il logos greco al servizio del senso pratico romano
I latini non sono stati dei grandi filosofi speculativi: tipico della mentalità romana è il senso pratico piuttosto che la speculazione, in cui invece eccellevano i greci. Tuttavia dall'ellenismo in poi la filosofia è arrivata anche a Roma e degli illustri latini l'hanno coltivata, sia pure con un taglio eminentemente pratico.
Tre sono le correnti filosofiche che attecchirono maggiormente a Roma: l'epicureismo, con Lucrezio, l'Accademia nuova, in una variante eclettica, con Cicerone, e lo stoicismo, con Seneca, Epitteto e Marco Aurelio.
Lucrezio
Si deve al poeta Tito Lucrezio Caro (97-53 a.C.) la diffusione dell'epicureismo a Roma, grazie al suo De rerum natura. Non vi sono grandi apporti di Lucrezio al pensiero speculativo epicureo, che forgiò il termine clinamen per tradurre il concetto epicureo di parénklisis e mostrò una grande sensibilità, quale si esprime ad esempio dai celebri versi sulla morte:
Hoc se quisque modo fugit, at quem scilicet, ut fit,
effugere haud potis est, ingratius haeret et odit
propterea, morbi quia causam non tenet aeger;
quam bene si videat, iam rebus quisque relictis
naturam primum studeat cognoscere rerum,
temporis aeterni quoniam, non unius horae,
ambigitur status, in quo sit mortalibus omnis
aetas, post mortem quae restat cumque manenda. (traduzione )
Ambigitur status, è in gioco lo stato, l'assetto non di una sola ora, ma dell'eternità, di tutto il tempo che resta dopo la morte, per sempre.
Il povero Lucrezio però non trovò una risposta veramente saziante nell'epicureismo, come a nostro avviso dimostra la sua tragica fine, per suicidio, a soli 44 anni: non era sincero fino in fondo quando parlava dei sapientum templa serena al riparo dalle affannose cure dei comuni mortali:
sed nihil dulcius est, bene quam munita tenere
edita doctrina sapientum templa serena,
despicere unde queas alios passimque videre
errare atque viam palantis quaerere vitae,
certare ingenio, contendere nobilitate,
noctes atque dies niti praestante labore
ad summas emergere opes rerumque potiri. (traduzione )
Cicerone
Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) fu anzitutto un politico, di parte aristocratica, ma si interessò anche di filosofia, senza peraltro raggiungervi vette speculative particolarmente elevate, ma cercando di fare opera di sintesi tra diversi indirizzi, traendo soprattutto spunto dalla Nuova Accademia, che aveva assunto, con Antioco di Ascalona, un indirizzo eclettico, volto cioè a conciliare Platone, Aristotele e stoicismo.
Cicerone si interessò soprattutto di tematiche etico-politiche. Sostenne l'esistenza di una legge naturale, presente in tutti gli uomini di ogni tempo e luogo, e a cui deve conformarsi la legge positiva, statale.
Fu convinto assertore della eccellenza della costituzione romana, nella quale vide realizzato l'ideale di costituzione mista teorizzata da Platone. In essa infatti è presente
- la componente monarchica: i consoli,
- la componente aristocratica: il Senato,
- e la componente popolare: i tribuni della plebe.
Seneca
Nativo di Cordova, in Spagna, verso il 4 a.C. (morì nel 65 d.C.), Lucio Anneo Seneca fu oltre che filosofo, interessato alla politica e consigliere di Nerone.
opere
- De ira
- De brevitate vitae
- Epistole a Lucilio
pensiero
Seneca aderisce allo stoicismo, che sviluppa con una sensibilità tipicamente romana, pratica: ad interessarlo non è la fisica né la logica, ma l'etica.
la coscienza
In etica Seneca sviluppa il concetto di coscienza (morale): non basta l'oggettività della legge morale, che pure c'è, ma occorre che il soggetto ne sia consapevole e riesca a declinarla nelle concrete circostanze della sua vita.
Seneca giunse al punto da consigliare un quotidiano esame di coscienza per verificare quanto, nel corso della giornata, ci si fosse discostati dalla virtù.
universalismo
Per Seneca esiste una sostanziale eguaglianza tra tutti gli uomini, come già affermava lo stoicismo antico; non solo, ma il suo atteggiamento verso gli altri ha accenti che hanno fatto pensare ad una sua conoscenza del Cristianesimo, se non a un suo incontro con S.Paolo: sostiene infatti, distaccandosi dal rigorismo inflessibile verso gli errori (altrui) del primo stoicismo, che occorre avere compassione per tutti e indulgenza per i loro sbagli. Peraltro in lui non si trova altra traccia di adesione al Cristianesimo, ma una generica religiosità, quasi certamente influenzata da quello.