un ritratto di Cartesio

Il problema fondamentale

l'esistenza concreta

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Pascal è in qualche modo un antesignano dell'esistenzialismo, cioè di quella impostazione filosofica che si incentra sull'esistenza, vista come qualcosa di non spiegabile da una ragione puramente logica, a motivo della sua drammaticità.

Egli rivendica, contro l'astrattezza di molta filosofia, e in particolare di Cartesio, la centralità dell'uomo concreto nella riflessione filosofica: se Cartesio cerca un sapere che consenta un potere dell'umana collettività sul mondo fisico, a Pascal interessa un sapere che illumini il senso ultimo dell'esistenza personale.

In tale senso egli contrappone conoscenza delle cose (esterne), ossia sapere scientifico o astrattamente speculativo, a conoscenza di sé, del proprio concreto e personale destino (che egli chiama anche, nei passi sotto citati, morale, science des meures):

La scienza delle cose esterne non mi consolerà dell'ignoranza della morale, nei tempi di afflizione; ma la scienza dei costumi mi consolerà sempre dell'ignoranza delle cose esterne.

L'uomo ha anche meno studiosi della geometria. Ed è solo perché non si sa studiare l'uomo che si cerca il resto.

Egli insomma applica alla situazione della filosofia (del suo tempo, ma non solo) la grande e decisiva domanda di Gesù: «Che serve all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde o rovina sé stesso?»

E l'uomo concreto non è qualcosa di chiaro e distinto, come pensava Cartesio, non è esauribile dall'intelligenza raziocinante, ma è mistero a sé stesso, è una realtà complessa e contraddittoria.
Pascal avverte molto la dimensione della indicibiltà dell'uomo; mentre per Cartesio la "res extensa" e la "res cogitans" esauriscono l'essere umano, per Pascal questo è sempre eccedente, è mistero. Consapevole che l'uomo è un atomo sperduto nell'universo, con profonda sensibilità, egli coglie la sproporzione fra la creatura e la realtà circostante:

L'uomo contempli dunque tutta la natura nella sua sublime e piena maestà (...). Tornato alla considerazione di sé, l'uomo esamini ciò che egli è rispetto a ciò che esiste; si consideri come sperduto in questo remoto angolo della natura, e da queste piccole celle dove si trova rinchiuso, voglio dire l'universo, impari a stimare la terra, i regni, le città e se stesso nel loro giusto valore. Che cos'è un uomo nell'infinito?.

Quando considero la breve durata della mia vita, assorbita nell'eternità che precede e che segue il piccolo spazio che occupo e che vedo inabissato nell'infinita immensità degli spazi che m'ignorano, mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là, perché non c'è ragione che sia qui piuttosto che là, adesso piuttosto che allora. Chi mi ci ha messo? Per comando e per opera di chi mi sono destinati questo luogo e questo tempo?

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