Platone: la conoscenza

solo il pensiero conosce la verità

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la conoscenza come reminiscenza

Abbiamo visto che l'anima preesiste al corpo, e non è distrutta alla morte del corpo; in essa alberga una memoria (reminiscenza o anamnesi) delle idee (viste nei periodi di distacco dal corpo e di contemplazione del mondo intelligibile), e un desiderio (ἕρως) di esse, memoria e desiderio accesi dalle cose, che, come abbiamo visto, delle idee sono imitazione (μίμησις) e partecipazione (μέθεξις).

che cosa non è conoscenza vera

Soprattutto nel Teeteto Platone sviluppa la sua gnoseologia "negativa", chiarendo che cosa non sia vera conoscenza:

  • essa non è percezione sensibile: questa infatti è proporzionata al suo oggetto, che è continuamente mutevole e relativa al soggetto individuale (ciò che io vedo, nella misura in cui è un dato sensibile, lo vedo solo io); la sensazione è perciò mutevole e relativa (mentre la vera conoscenza deve essere assoluta e immutabile).
    Inoltre se la sensazione fosse vera conoscenza si andrebbe incontro alle seguenti obiezioni:
    • nessuno potrebbe essere più saggio di un altro (perché ognuno sarebbe misura della sua saggezza); mentre l'esperienza ci dice il contrario;
    • i ricordi non sarebbero conoscenza (non essendo qualcosa di visto), mentre tutti concordano che lo siano;
    La verità è che vi sono verità non date dalla sensazione (come quelle matematiche).
  • essa non è nemmeno semplicemente "giudizio vero", che può esserci anche senza giudizio delle cose (ad esempio un tribunale può giudicare innocente uno che lo è davvero, ma per vie puramente casuali-esteriori, non conoscitive: come per la abilità del suo avvocato, quando invece tutti gli indizi fossero contro di lui); in questo caso si ha solo una opinione vera.
  • essa non è neppure "giudizio vero accompagnato da ragione", se per ragione si intenda o una spiegazione parziale, o una pura enumerazione di fattori, senza coglierne l'unità e la radice comune, o infine la enucleazione delle note distintive individuali (rimanendo sempre a un livello esteriore-superficiale).

La conoscenza vera deve essere immutabile e assoluta, e deve cogliere un dato universale e definibile in modo chiaro e stabile.

che cosa è conoscenza vera

Soprattutto nella Repubblica Platone chiarisce questo tema. Ciò che è massimamente conoscibile (dunque oggetto di vera conoscenza) è ciò che massimamente è: vi è corrispondenza tra essere e conoscere, tra ontologia e gnoseologia.
L'essere sensibile, intermedio tra il nulla e il vero essere è perciò oggetto di una conoscenza imperfetta, a metà tra la scienza e l'ignoranza, ossia la doxa. Solo dell'essere intelligibile si da vera scienza (episteme).

mappa dei tipi di conoscenza
conoscenza realtà
doxa eikasia immagini sensibili mondo sensibile
pistis oggetti sensibili

episteme dianoia oggetti matematici mondo intelligibile
noesis Idee


come si ottiene la conoscenza vera

Per Platone, come ricordato sopra, non può essere la sensazione a darci il sapere assoluto: questo deve venire da un oggetto assoluto, che abbiamo potuto vedere solo quando l'anima non era legata al corpo, ma contemplava il mondo intelligibile.

Perciò conoscere è ricordare quanto si è già visto, nel mondo intelligibile, l'iperuranio. La vera conoscenza è anamnesi, reminiscenza. Conoscere in modo vero e assoluto è far riemergere ciò che già sappiamo.

è soprattutto nel Menone che Platone precisa queste sue tesi. L'anima, prima di unirsi a un corpo è stata in contatto diretto con il mondo intelligibile, con le Idee (l'anima non viene creata contestualmente al concepimento di un nuovo individuo, ma trasmigra, reincarnandosi in successive vite corporali: Platone fa propria la metempsicosi, già affermata dai pitagorici). Nel Menone egli parla appunto di uno schiavo così chiamato che, del tutto ignaro di geometria, giunge a dimostrare il teorema di Pitagora: a prova che le verità matematiche (e in generale le verità assolute) non sono ricavate dall'esterno, dall'esperienza sensibile, ma sono tratte dall'interiorità, dal di dentro, dall'anima, che ricorda ciò che ha visto e sapeva quindi già, ben prima che l'esperienza glielo richiamasse.

Anche nel Fedone egli dimostra che gli oggetti di conoscenza più perfetti (come quelli matematici) non possono venire dai sensi (dato che nessun oggetto sensibile è perfetto) nè essere creati dal soggetto, che invece li "trova": perciò devono essere già presenti nell'intimo della mente, e ricordati in occasione della sensazione.

La conoscenza vera dunque è ricavata in qualche modo a-priori, non è data dalla sensazione; tuttavia a differenza di Kant tale a-priori non è qualcosa di soggettivo, ma è impresso in noi dalla Oggettività delle Idee, che esistono "prima e fuori" di noi. Come tutto il grande pensiero classico, anche Platone si inchina di fronte alla Oggettività misurante, che precede e trascende il soggetto umano.

Nella Repubblica e in dialoghi successivi Platone delinea la ascesa alla conoscenza dell'intelligibile mediante la dialettica, procedimento insieme discorsivo e intuitivo, che coglie le Idee e i loro nessi: a) risalendo dalle idee inferiori verso quelle superiori fino al "vertice" del Bene in sè (d. ascensiva, da alcuni accostata al metodo socratico e al momento dell'ipotesi in matematica), b) discendendo poi col dividere le idee particolari contenute nelle idee generali, e stabilendo così i gradi della gerarchia intelligibile (d. diairetica o discensiva).

il desiderio (eros)

Imparentato, mediante la sua anima, col mondo intelligibile, l'uomo non solo lo ricorda, ma anche lo desidera: il desiderio (eros) spinge l'anima a risalire verso il mondo intelligibile e la sua bellezza. Esso è visto (miticamente) come figlio di Penìa (Povertà) e Poros (Ricchezza): nasce da un non pieno possesso di ciò a cui aspira (povertà), pur implicando una certa partecipazione (ricchezza) ad esso. Così come la attrattiva sessuale implica una originaria unità, successivamente scissa e di cui si cerca una ricostruzione (mito di Androgino, nel Simposio, in cui si teorizza anche la ascesa attraverso la scala della bellezza).

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