La Riforma protestante

la dolorosa lacerazione della cristianità

in sintesi

La Riforma protestante segna un momento di svolta nella storia moderna; in un certo senso merita, accanto alla scoperta del Nuovo Mondo, di figurare come fattore decisivo di discontinuità con il Medioevo. In effetti con Lutero si rompe l'unità della Chiesa cristiana occidentale; con la Chiesa orientale infatti si era già consumata una frattura, sia pur meno profonda dal punto di vista dogmatico; meno profonda perché la Chiesa greco-ortodossa rimaneva sul piano dogmatico vicinissima a quella cattolica, tranne che per la questione del per gli ortodossi lo Spirito Santo procede dal Padre per mezzo del Figlio, per i cattolici procede dal Padre e dal Figlio (in latino appunto: «ex Patre Filioque procedit»)Filioque, e ne era separata essenzialmente per questioni “disciplinari”. Infatti la Chiesa greco-ortodossa non riconosce l'autorità del vescovo di Roma come suprema nella Chiesa universale.

la Riforma, dal punto di vista cattolico

Papa Francesco I si è recato in Svezia nel 2016, accettando l'invito a partecipare alla celebrazione del cinquecentenario della Riforma luterana. E già questo sarebbe stato impensabile fino a non molto tempo prima. Ma egli non si è limitato alla presenza, ha fatto di più: ha riconosciuto dei meriti a Lutero e alla sua Riforma:

«L’esperienza spirituale di Martin Lutero - ha detto, nell’antica cattedrale di Lund, il 31 ottobre 2016 - ci interpella e ci ricorda che non possiamo fare nulla senza Dio».

Questo ha fatto storcere non poco il naso ai suoi critici “ultraconservatori”. Ma in realtà il gesto del capo della Chiesa cattolica non ha niente di eversivo:

  1. non significa infatti che la rottura della unità ecclesiale sia (stata) un bene, ma solo che essa è (stata) frutto di reciproche parzialità e incomprensioni, nel senso che nella stessa Chiesa “romana” aveva finito per affermarsi, col Tardo Medioevo, una certa mondanizzazione del cristianesimo (flesso in senso naturalistico già a livello filosofico);
  2. in secondo luogo, e di conseguenza, non si può dire che tutto il bene e la verità stessero con la Chiesa cattolica di allora (per come era allora) e che tutto il male e l'errore stessero in Lutero.

E tutto questo non lo ha inventato papa Francesco I, ma si trova affermato più o meno esplicitamente dal Concilio Ecumenico Vaticano II, nel momento in cui esso ha promosso il dialogo ecumenico (tra tutte le Chiese cristiane); e lo si ritrova ancor più nella scelta di Giovanni Paolo II di promuovere non solo un dialogo ecumenico, ma addirittura un dialogo inter-religioso (con tutte le religioni del mondo) con le sue due iniziative ad Assisi.

Del resto dialogo ecumenico non significa equiparare il cattolicesimo alle altre “confessioni” cristiane: la pienezza del cristianesimo c'è, di diritto, dove c'è il successore di colui a cui Cristo ha detto «tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt, 16, 18).

Tuttavia, di fatto, la Chiesa cattolica dal Tardo Medioevo in poi ha interpretato e vissuto, come già accennato, in modo riduttivo, parzializzante, il cristianesimo, spingendo il protestantesimo ad andare esattamente in direzione diametralmente opposta. Diciamo che l'errore del protestantesimo è stato più grave di quello della Chiesa post-medioevale, perché recidere il legame con Pietro è peggio che “ridurre” il cristianesimo, ma rimanendo legati a chi Cristo ha indicato come Suo successore. Resta però che la Chiesa tridentina ha la sua parte di responsabilità.

Con il dialogo ecumenico si tratta di ritrovare quella totalità che, presente alle origini cristiane, si è frantumata in epoca moderna tra opposte (anche se, come dicevo, non equivalenti) parzialità.

la Riforma, in sé stessa

Dal punto di vista religioso il protestantesimo nasce, in Lutero, come percezione particolarmente acuta della fragilità peccaminosa dell'uomo, in seguito al peccato originale; ne consegue una forte sottolineatura della incapacità dell'uomo di “meritare” la salvezza (cioè di essere degno di andare in Paradiso, dopo la morte).

Questa accentuazione della fragilità tende a oscurare la potenza risanatrice della Grazia e tende a ridurre la fiducia in quel segno, umanamente fragile, posto però da Cristo stesso come ponte sicuro tra gli esseri umani e il Mistero infinito, che è la Chiesa. Se infatti il male è così forte, allora dalla Chiesa, fatta di uomini peccatori e proclivi al male, non possiamo aspettarci grandi cose. Per rapportarci al Mistero dovremo piuttosto volgerci alla Sacra Scrittura, la Bibbia, per come essa ci muove nella nostra interiorità. Il rischio che consegue da questa sfiducia in una oggettività esterna è che l'uomo si ritrovi più smarrito, visto che il suo rapporto col Mistero poggia ora, prevalentemente, sulla sua solitaria soggettività.


La Riforma però non è stata solo una questione religiosa. Una nuova immagine di uomo viene affermandosi in importanti aree d'Europa. I suoi tratti:

cause

Da un certo punto di vista il protestantesimo poteva al suo sorgere sembrare come una delle tante eresie, che avevano contrappuntato la storia del Cristianesimo, magari un'eresia particolarmente insidiosa e forte, ma che alla fine l'unica Chiesa di Cristo, quella che ha il suo fulcro nel successore di Pietro, avrebbe debellato, come aveva fatto con un'eresia pur forte e trionfante come per qualche tempo era stato l'arianesimo. È noto che invece le cose non andarono così: non si trovò il modo di far rientrare la nuova eresia, né mediante tentativi (peraltro esigui) di dialogo, né mediante la repressione, che un troppo incerto Carlo V, Sacro Romano Imperatore, esitò, per opportunità politica, ad attuare con un minimo di convinzione. Ma fu solo per l'assenza di repressione che il protestantesimo poté attecchire e radicarsi, o la debolezza dell'impeto repressivo non fu piuttosto una conseguenza della forza delle nuove idee, che si erano in breve guadagnate l'appoggio di un troppo vasto fronte di forze emergenti? È evidente che se il protestantesimo, invece di venire prontamente represso, si affermò in una estesa e fiorente area della Cristianità occidentale, fu perché veniva in qualche modo incontro a delle esigenze fortemente sentite, e diffuse in consistenti gruppi sociali. Vediamo di ricordare alcune di tali esigenze.

1. individualismo

Anzitutto il protestantesimo dava una risposta alla nuova istanza di individualismo, che col tramonto del medioevo era venuta irrobustendosi sempre più. A una mentalità medioevale di stampo comunitario era andata sempre più sostituendosi, almeno presso i ceti emergenti nella società rinascimentale, appunto una mentalità incentrata sull'individuo. Troviamo testimonianze di ciò ad esempio in campo artistico (col genere del ritratto, imperniato appunto sul volto dell'individuo), letterario (con la nuova importanza della soggettività), economico (con l'inizio del declino delle corporazioni, il diffondersi delle banche e del credito a interesse, con la sempre più esplicita legittimazione del valore del profitto individuale come movente dell'intrapresa economica). E il protestantesimo coronava tale aspirazione, liberando l'individuo, ora abilitato a leggere e interpretare direttamente la Sacra Scrittura, dalla sottomissione alla oggettività comunitaria della Chiesa visibile, coi suoi sacramenti e il suo autorevole magistero.

2. le nazionalità

Un'altra esigenza che trovava risposta era quella delle nazionalità: cattolicesimo significava universalismo, sottomissione delle realtà particolari a un unico, universale, centro, Roma. Questo veniva facilmente accettato finché, come nel medioevo, ci fu una debole coscienza nazionale, predominando invece un forte senso di appartenenza ad un'unica Cristianità (oggi diremmo all'Europa). Il dissolvimento della civiltà medioevale si accompagnò invece all'emergere degli stati nazionali, nuove entità istituzionali (intorno a cui si costituì tutta una nuova realtà culturale, sociale ed economica) che abbattevano al loro interno le differenze regionali tipiche del feudalesimo medioevale, e affievolivano sempre più la coscienza di una comune appartenenza sopranazionale. Il protestantesimo coronava tale aspirazione, “liberando” le nazioni dalla soggezione a poteri sopranazionali: d'ora in poi le Chiese sarebbero state nazionali e soggette al potere politico dello stato nazionale. Questo spiega anche perché diversi sovrani, da molti principi tedeschi ai Re scandinavi e al Re d'Inghilterra non si lasciarono sfuggire tale ghiotta occasione e trascinarono con sé intere nazioni lontano dal cattolicesimo e dalla fastidiosa visibilità di Roma.

3. autonomia del profano

Un'ultima istanza valorizzata, questa volta si potrebbe dire suo malgrado, dal protestantesimo era quella di una autonomia dell'ambito profano. La cultura rinascimentale aveva affermato questa istanza, per cui il sapere scientifico deve avere le sue leggi (Galileo soprattutto avrebbe esplicitato questa idea), l'economia le sue (abbiamo prima accennato alla legittimazione del profitto, svincolato da considerazioni etiche), la politica le sue (si veda Machiavelli). In generale si rivendica con sempre più forza l'autonomia della natura dalla grazia, dal soprannaturale: se il medioevo concepiva unitariamente, pur distinguendoli, tali due livelli, ora la sfera profana, naturale pretende di non rapportarsi più al soprannaturale e alla fede. Per cui la vita non è più vista come prova e passaggio verso un ulteriore, ma ha un valore in sé stessa; il mondo non è più segno di Altro, teofania, ma è oggetto, in sé consistente; l'agire umano non è più bisognoso di un aiuto superiore per attuare la sua pienezza, ma attinge dalle proprie energie quanto basta (si veda quanto dice Montaigne sulla morte, da lui vista come un che di totalmente naturale). Il protestantesimo rispondeva di fatto anche a tale aspirazione, che pure in sé stessa era lontana dalle intenzioni, soprannaturalistiche, dei Riformatori. Vi rispondeva in quanto separava il problema della salvezza eterna da quello dell'agire mondano: quest'ultimo non è determinante ai fini di quella (infatti l'uomo non si salva, anche, in virtù delle sue opere, ma solo della sua fede), l'agire nel mondo diventa così sganciato dal riferimento all'Eterno, e si trova a doversi regolare su parametri essenzialmente mondani.

Così, come ha evidenziato Weber, l'economico acquista una sua indipendenza dall'etico e dal religioso e il capitalismo può trovare una autorevole legittimazione; così in campo etico la cosiddetta istintività si trova a non essere più giudicata e l'uomo moderno può conoscere questa nuova idea di una istintività naturale a cui può abbandonarsi senza problemi di coscienza.

tratti essenziali della Riforma di Lutero

1. decisività del problema della salvezza in Lutero

Lutero
Lutero

Se da un certo punto di vista, come abbiamo ricordato, il successo della Riforma protestante può essere spiegato col suo attagliarsi a qualcosa di esteriore, le mutate esigenze dei "nuovi tempi", ossia all'individualismo, all'iniziale statalismo e alla crescente divisione tra sacro e profano, nella persona di Lutero ha agito principalmente un motivo interiore. In generale si sì può dire, da un lato, le nuove idee attecchirono fu perché a una parte importante dei gruppi in ascesa nella nuova epoca il cattolicesimo, con le sue istanze di comunionalità, di autorità, e ,in una parola, di dipendenza dall'oggettivo, cominciava a stare troppo stretto.

Ma, d'altro lato, quello che soprattutto muove Lutero non fu qualcosa di esteriore, in particolare gli errori e le deficienze morali della Chiesa cattolica, che pure non mancavano (basti pensare ai Papi che immediatamente precedettero Lutero, Alessandro VI, Giulio II e Leone X, troppo "mondani"), e nemmeno la stessa vendita delle indulgenze pare sia stata decisiva per innescare lo sdegno del Riformatore, come se lui vi avesse visto la prova definitiva dell'irreversibile allontanamento del cattolicesimo dalle origini cristiane. Certo tale fattore non è assente, ma non è l'unico né il principale che spinge l'inquieto monaco di Wittemberg a rompere con Roma.

Non è infatti dalla constatazione di qualcosa di esterno e oggettivo che prende le mosse la Riforma di Lutero. È dentro di lui, nella sua interiorità, nella sua soggettività, che si gioca l'essenziale della partita. È dentro di lui che si compie il dramma che poi sboccherà nella scelta di sfidare il Papato, lacerando rovinosamente e profondamente la Cristianità occidentale. Questa è una tesi dimostrata da autorevoli e documentati storici della Riforma come il Lortz e lo Jedin.

In effetti lo possiamo constatare da diversi indizi: Lutero ad esempio nella sua visita a Roma nel 1510 non si mostra affatto scandalizzato per ciò che vi vede, ossia una città in grande fervore artistico e culturale con il Papa (che vi chiamava i più grandi pittori e architetti del tempo) più impegnato in preoccupazioni mondane che in una seria attività pastorale. Nelle sue lettere e nel suo diario non si trova una sola parola di biasimo per il Papa e la Curia. Egli, più attento ai suoi moti interiori che a ciò che vedeva intorno a sé, è invece entusiasta di trovarsi a Roma, entusiasta come un santo pazzo (secondo le sue stesse parole).

Ancora, che non fosse tanto ciò che egli constatava fuori di lui la molla più profonda della sua azione, lo vediamo da una analisi delle sue tesi sulle indulgenze, che comunemente viene vista come il manifesto della rottura con il Papato. In realtà il senso di tali tesi è ancora interpretabile in qualche modo come cattolico: Lutero, nel denunciare l'abuso delle indulgenze, che venivano proposte come sicuramente accordate ai propri defunti per il solo fatto di pagare un'offerta, può ancora essere letto come cattolico. Non è lì il punto di non ritorno.

Decisiva è stato in lui la drammatica questione della salvezza.

2. la concezione luterana

a. la salvezza come problema centrale

Lutero fu a lungo angosciato dal problema della salvezza: come può l'uomo salvarsi, se il male è così potente in lui? La Chiesa cattolica, in teoria, diceva: in virtù della grazia e dei meriti di Gesù Cristo e delle opere buone, frutto della cooperazione della volontà umana alla grazia; anche se poi, nei fatti, l'accento era tutto sulla (buona) volontà umana, vista come facilmente capace di coerenza, e nella predicazione concreta questo toccava delle punte di superficialità, che non potevano non urtare l'animo tragicamente serio di Lutero. Per Lutero del resto era la stessa teoria cattolica a peccare di superficialità: per lui, se all'uomo è chiesto di essere buono, di operare il bene, allora siamo inevitabilmente perduti, poiché tale e tanto è il nostro male (la concupiscenza è invincibile, anche dopo il battesimo), da rendere inesorabile la condanna eterna.

È vero che in questa sua impostazione lo sguardo è incentrato sul soggetto, più che sul gioioso stupore per l'imprevedibile novità di Cristo, che vuole il nostro bene. Ma un certo oblio del cristianesimo come avvenimento oggettivo imprevedibile era già nel cattolicesimo che egli si trovava davanti. Era il frutto di una secolare, progressiva, mondanizzazione e riduzione del cristianesimo, a cui si è accennato sopra. Certo, ben diverso era il di Pietro, che pur cosciente del suo peccato, era tutto incentrato sulla Persona che ha davanti; ma, purtroppo, all'interno della Chiesa e della teologia cattolica era andato smarrendosi il senso di stupore per la novità dell'Evento di Cristo, per incentrarsi invece di più sulla capacità di coerenza umana.

La sua soluzione a tale problema è nota: non le opere, ma la fede salva (sola fides). La mia umanità, decaduta in seguito al peccato originale e irrimediabilmente chiusa nella sua peccaminosa corruzione, che ne altera tanto la conoscenza quanto la volontà, non può operare quanto occorre per la salvezza. Posso allora solo sperare in una Misericordia la cui efficacia risanante viene decisamente ovattata.

b. Chiesa, Sacramenti e Scrittura

Ne segue che il rapporto con Dio e con Cristo, poggia ora, più che sulla esteriorità della Chiesa, percepita come intaccata dalla fragilità umana, sulla propria interiorità. Se l'umanità non è efficacemente riplasmata dalla Grazia, la Chiesa visibile perde la caratteristica di essere un brandello di umanità specificamente plasmato dello Spirito, segno del tutto speciale della Presenza; se ne accentua la dimensione umana, col rischio di essere vista essenzialmente come associazione di coloro che credono in Cristo, senza che la loro ontologia sia profondamente riplasmata. .

Anche la Bibbia più che essere letta e interpretata “dentro” la Chiesa e grazie il suo Magistero, dovrà essere letta e meditata personalmente da ogni cristiano, che ne ricaverà delle indicazioni, non sostituibili da nessuna autorità esterna (dottrina del libero esame). .

Cambia anche la concezione dei sacramenti, la cui efficacia viene notevolmente ridimensionata. In particolare l'Eucarestia, da segno della presenza visibile di Cristo, viene vista prevalentemente come ricordo dell'Ultima Cena: il pane e il vino non si trasformano nel Corpo e nel Sangue del Signore, ma per Lutero questi ultimi si aggiungono ai primi. Si può vedere in ciò una corrispondenza con le tesi generali del luteranesimo: come il pane e il vino non si trasformano nel Corpo e Sangue di Cristo, così la nostra umanità rimane in una situazione di irrimediabile, prevalente fragilità.

c. il rapporto con lo stato e la storia

Allorché Lutero, di fronte alle due grandi ondate di ribellione al potere costituito, da lui (involontariamente) suscitate, ossia la rivolta dei cavalieri e quella dei contadini, si rese conto di non avere doti organizzative tali da poter gestire efficacemente la realtà dell'ambito civile, decise di dare piena delega allo Stato; anzi, lo fece non solo per l'ambito profano, ma anche per la gestione della stessa chiesa riformata.

In effetti, una chiesa di cui si ridimensioni fortemente la componente divina, soprannaturale, si avvicina ad essere una associazione mondana (simile a tante), ed è perciò comprensibile che non possa accampare alcuna prerogativa di indipendenza nei confronti dello stato, che è la suprema istituzione mondano-profana.

Inoltre Lutero, in forza della sua negazione del libero arbitrio, travolto dal peccato originale e non più presente nella natura decaduta e corrotta dei figli di Adamo, è portato a vedere la storia come uno snodarsi necessario di eventi, dietro cui si cela inevitabilmente la Volontà di Dio, che tutto regge. Ne segue una problematicità ad opporsi alla volontà dello Stato, per quanto ingiusta possa apparire, in quanto essa è comunque espressione della Volontà di Dio.

Così, verso la storia, l'atteggiamento luterano è di sostanziale rassegnazione: tutto ciò che accade, anche il male, è «maschera di Dio» (Gottes Mummerei). Per questo, ad esempio, Lutero ebbe a sconsigliare di opporsi ai Turchi che dilagavano in Europa, in quanto inviati da Dio stesso a punire la corrotta Cristianità.

aspetti cronologici

Abbiamo visto che Lutero avvertiva angosciosamente il problema della propria salvezza, constatando dolorosamente la propria incapacità di essere coerente con la legge di Dio. A un certo punto, leggendo S.Paolo (il mio giusto vive di fede), egli ebbe una intuizione: è chiaro, se guardo alle opere non potrò mai salvarmi, quindi non sono le opere che salvano, ma la fede: solo la fede e la sola fede salva. È questo il punto di partenza profondo della Riforma, più che l'indignazione per la scandalosa pratica della vendita delle indulgenze.

la vendita delle indulgenze e la reazione di Lutero

Quest'ultima fu comunque l'occasione concreta su cui Lutero cominciò a sfidare Roma. In effetti anche in Germania si era diffusa la pratica di presentare le donazioni in favore del Papato (che allora raccoglieva offerte per la costruzione di una nuova, imponente basilica di S.Pietro a Roma) come capaci di assicurare meccanicamente l'indulgenza, cioè il perdono dei peccati per i propri cari defunti: si sintetizzava tale concetto nel motto appena la monetina tocca il fondo della cassetta, l'anima si leva verso il cielo (Sobald das Geld im Kasten klingt, die Seele in den Himmel springt!), insomma la monetina scende e l'anima sale. Si dimenticava così la dimensione più importante di una sana pratica delle indulgenze, che è il coinvolgimento attivo del soggetto, l'impegno di una preghiera e di una vita santa, a vantaggio di un automatismo (donazione → risultato) oggettivamente scandaloso. Così faceva ad esempio il predicatore domenicano Johann Tetzel.

Lutero affigge le 95 tesi a Wittenberg
Lutero affigge le 95 tesi a Wittenberg

Contro tale pratica non del tutto a torto insorge Lutero, con le 95 tesi apposte il 31 ottobre 1517, sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg. Tali tesi, pur con sottolineature unilaterali e ambiguità, poteva ancora essere intese in senso cattolico: si nega alla Chiesa il potere di vincolare le decisioni divine, il Papa può abrogare una pena da lui stesso inflitta, ma non un castigo deciso da Dio.

lo scontro

Il Papa Leone X reagì in modo duro, non concedendo nulla a Lutero, con la bolla Exsurge Domine (giugno 1520), ordinando che gli scritti di Lutero fossero bruciati.

La risposta di Lutero fu altrettanto dura, nel dicembre di quello stesso 1520: bruciò in pubblico la bolla papale; era la rottura con Roma.

Lutero trovò allora protezione nel duca di Sassonia Federico il Savio, che lo convinse anche ad appellarsi all'imperatore Carlo V, a cui spettava di rendere esecutiva la condanna papale. Carlo V indisse una Dieta a Worms, nel 1521, a cui Lutero fu ammesso, munito di salvacondotto imperiale, che gli avrebbe dovuto evitare di fare la fine di Hus a Costanza poco più di un secolo prima.

Lutero a Worms tenne una linea intransigente, rifiutando di ritrattare alcunché, sostenendo di dover obbedire piuttosto alla sua coscienza che al papa. Così pur potendo allontanarsi immune da Worms (Carlo V fu fedele alla parola data), egli venne dichiarato da allora in poi nemico pubblico, così che chiunque avrebbe potuto ucciderlo impunemente. Deciso allora fu l'appoggio del duca di Sassonia (che lo portò al sicuro nel proprio castello della Wartburg, in Turingia), a cui si unirono molti altri principi tedeschi, e col consenso di una buona parte della popolazione tedesca, insofferente della dipendenza da Roma.

Una parte importante dei principi tedeschi in effetti aderì alla Riforma. Il motivo lo abbiamo già detto: in tal modo essi acquisivano un potere politico sulla nuova chiesa riformata, e potevano incamerare i cospicui beni economici della Chiesa stessa, e in particolare degli ordini religiosi, che la Riforma soppresse. Per cui Carlo V ebbe insuperabili difficoltà a estinguere l'incendio ormai scoppiato e dilagante in Germania.

le rivolte dei cavalieri e dei contadini

Si trattò di due fenomeni involontariamente provocati da Lutero, il cui messaggio veniva inteso come un generico ritorno allo spirito evangelico e come una conseguente rivolta contro le autorità costituite.

I primi a ribellarsi furono i cavalieri, cioè la piccola nobiltà, nel 1521-23. Si scatenò una vera e propria guerra civile, ma la grande feudalità ebbe buon gioco a reprimere rapidamente la rivolta, con plauso dello stesso Lutero.

Più difficile si rivelò reprimere la rivolta dei contadini (1524-25). A muoversi in effetti furono ingenti masse di contadini in un po' tutta la Germania, riuscendo a darsi una certa organizzazione e un programma preciso, compendiato nei 12 articoli, e una guida, che divenne Thomas Müntzer (1490-1525), di idee comunistiche (prima di morire gridò: tutte le cose appartengono a tutti).

Lutero stesso intervenne pesantemente contro i contadini in rivolta, chiedendo ai signori legittimi di schiacciarli senza pietà (Nessuna misericordia, nessuna pazienza verso i contadini, solo ira e indignazione). E alla fine la rivolta venne sanguinosamente sedata con la battaglia di Frankenhausen (1525), e Müntzer venne catturato, torturato e decapitato.

Per motivi analoghi a quelli a cui vi aderirono i principi tedeschi, aderirono alla Riforma luterana i Re di Svezia e di Danimarca-Norvegia.

Oltre Lutero

l'anglicanesimo

Un caso a sé quello dell'Inghilterra, che passò alla Riforma senza rinnegare, almeno all'inizio, i dogmi cattolici, ma semplicemente nella forma di uno scisma. Il pretesto è noto: la mancata concessione del divorzio a Enrico VIII. È vero che il papato aveva, per opporre tale diniego, anche dei motivi politici, cioè per non inimicarsi la Spagna (dato che la consorte legittima del Re era la spagnola Caterina di Aragona); tuttavia, anche da un puro punto di vista politico, sul piatto della bilancia, la possibile reazione della Spagna per un divorzio concesso, sarebbe comunque stata meno grave di quella minacciata da Enrico VIII. Appare difficilmente immaginabile che la Spagna rinnegasse il Cattolicesimo, mentre la perdita dell'Inghilterra, Paese in forte ascesa e prevedibilmente destinato a continuare tale ascesa, fu per il Papato un duro colpo. E perciò degno di nota come il Papa anteponesse, alla Ragion di Stato e al suo interesse politico, una questione di principio: il matrimonio è indissolubile, e non lo si può sciogliere nemmeno se a chiederlo è un Re.

Enrico VIII si fece proclamare, con l'Atto di supremazia (1534), capo supremo della Chiesa d'Inghilterra, o Chiesa anglicana, non sottomessa al Papa, vietò il pagamento delle decime a Roma, pretese per sé il diritto di scomunicare e di designare i candidati all'episcopato, soppresse i monasteri e ne requisì i beni per poi rivenderli e assicurarsi in tal modo il prezioso appoggio politico di nobili e piccola e media borghesia, interessati all'acquisto. Da notare che il filosofo Tommaso Moro, già cancelliere del re, rifiutò di aderire alla politica del sovrano e pagò con la vita tale scelta.

Ma quello operato da Enrico VIII era più uno scisma, come abbiamo detto, che una rottura sul piano dottrinale. Questa si compì col figlio Edoardo VI (1547-53). Questi fece approvare il Book of Common Prayer (1549), una dottrina e una liturgia ufficiali, in cui confluivano sia elementi luterano (prevalenti), sia elementi zwingliani e calvinisti.

Una parentesi fu rappresentata dal regno di Maria (1553-58), figlia di Caterina d’Aragona e moglie del re di Spagna Filippo II: tale sovrana, cattolica, bloccò per qualche tempo, in modo peraltro maldestro, la Riforma cercando di attuare una restaurazione del cattolicesimo in Inghilterra.

Alla morte di Maria la sorellastra Elisabetta (1533-1603, figlia di Anna Bolena e protestante) riportò anche ufficialmente l'Inghilterra al protestantesimo. Nel 1559 Elisabetta fece nuovamente approvare dal Parlamento l'Atto di supremazia, con cui si ripristinava la legislazione antipapale di Enrico VIII, e l'Atto di uniformità, che ristabiliva la riforma liturgica di Edoardo VI. Nei Trentanove articoli di fede (1562) furono elaborati i tratti specifici dell'anglicanesimo, in qualche modo sintesi tra le posizioni teologiche cattolica luterana e calvinista.

il calvinismo

Diverso dal passionale e istintivo Lutero, il freddo e lucidamente calcolatore Calvino (1509/64) elaborò una nuova Riforma, che non faceva appello ai principi e ai Re, ma alla coscienza degli individui, specialmente appartenenti alle élites (economiche, sociali o intellettuali).

Centrale, in Calvino, è l'idea di predestinazione: se l'uomo non ha più libero arbitrio, chi decide tutto è Dio. Dio che governa infallibilmente non solo il mondo naturale, ma anche la vita e il destino degli uomini, predestinando gli uni alla eterna salvezza, gli altri alla eterna dannazione.

Tuttavia ciò non comporta alcuna conseguenza fatalistica: anche se il suo destino è già scritto, l'uomo deve impegnarsi in tutti i modi per diventare certo della sua predestinazione alla salvezza. In effetti lo sforzo non può essere teso a meritare la salvezza (essa è già decisa), ma solo ad esserne certo. Qual è, dunque, il segno, per l'uomo, della propria predestinazione alla salvezza eterna?

E' il successo: da qui l'insistenza calvinista sull'importanza del successo, anche economico, come segno; e di qui la totale decolpevolizzazione del profitto, che ha autorizzato Max Weber a indicare nel calvinismo un potente impulso ideologico al capitalismo. Se il cattolicesimo aveva in passato frenato sul valore di un arricchimento individuale sganciato da riferimenti comunitari, ora non solo non sussiste più alcun freno, ma viene attivato un potente incentivo: guadagnare, in questa vita, è garanzia anche di salvezza nell'altra, e definitiva, vita.

Inoltre Calvino volle che le realtà dominate dalla sua nuova interpretazione del Cristianesimo, come Ginevra, «la Città dei Santi», fossero governate con ferrea disciplina per far osservare il più possibile la legge morale. Al contrario di Lutero, che affidava la stessa chiesa allo stato, Calvino pretese che lo stato fosse sottomesso alla sua chiesa.

Nota bene. Lo sforzo calvinista di moralizzare non solo la vita pubblica, ma anche quella privata, va ben oltre l'idea tradizionalmente cattolica. Per il Cattolicesimo, anche nel Medioevo, pur auspicandosi che tutti, sempre e ovunque accolgano la proposta di Cristo, non si concepiva una imposizione forzata di un certo livello di moralità. Il progetto di Calvino è meno rispettoso del valore della coscienza individuale, e mette a repentaglio la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata; in qualche modo può essere visto come un inquietante prodromo di una mentalità totalitaria, che nel '900 avrebbe seminato amari frutti di violenza e di sopraffazione.

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Quello che più spinse Lutero a intraprendere la “Riforma”

Riguardo al potere politico Lutero

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