Cristianesimo e filosofia

l'incontro tra fede cristiana e filosofia

Il Cristianesimo non è una filosofia, ma un Avvenimento. L'Avvenimento di Dio che si è fatto Uomo (cfr. Gv, 1, 14): Gesù Cristo.

teologicamente

la fede

A tale avvenimento l'uomo si rapporta adeguatamente con la fede, che è il riconoscimento della Presenza eccezionale del divino in un certo umano, ossia, per i contemporanei di Cristo, il riconoscimento che quell'Uomo era Dio, e per gli uomini dei secoli successivi il riconoscimento che nell'umanità della Chiesa alberga un fattore divino, che trasforma l'umanità a lei appartenente sanandone le ferite morali e in qualche modo divinizzandola.

La fede è un dono: non è esito di una applicazione della ragione, anche se implica e valorizza la ragione, compiendone la più profonda aspirazione, che è quella di trovare un senso esauriente alla realtà e all'esistenza. In termini più precisi, per il Cristianesimo la fede è l'habitus con cui la grazia soprannaturale, impressa nell'uomo dallo Spirito Santo, perfeziona la ragione rendendola capace di qualcosa di cui le sue forze non sarebbero capaci, ossia appunto il riconoscimento della Presenza del divino nell'umano, in quell'Uomo e in coloro che Gli appartengono.

fede e ragione

Tra fede cristiana e ragione c'è, per il Cristianesimo, armonia: le due conoscenze provengono infatti dalla stessa Fonte, Dio, e quanto all'oggetto, esiste, per così dire, una concentricità tra l'oggetto della ragione, l'ambito creaturale naturale e quello della fede, l'avvenimento soprannaturale di Cristo.

grafico su fede e ragione
fede e ragione non sono in alternativa, ma “concentriche”

storicamente

Il Cristianesimo ha avuto grande stima per la razionalità e la criticità. Non per nulla la scienza si è sviluppata proprio all'interno di una civiltà di matrice cristiana.

Obiezioni sul “caso Galileo” e l'evoluzionismo non coglierebbero nel segno: a parte il fatto che la Chiesa, intesa come “personale” umano storicamente dato in una certa epoca non rappresenta in modo perfetto il Cristianesimo su questioni marginali e non dogmatiche (la Chiesa è infallibile sul dogma, sul resto c'è un margine di possibile errore storico), c'è da notare come la Chiesa ha anche in quei casi affermato che tra fede e ragione non ci può essere contrasto, osservando come tanto nel caso dell'eliocentrismo quanto in quello dell'evoluzionismo non vi fossero ancora prove scientifiche certe.

L'atteggiamento non è stato “non se ne parla nemmeno” (invitando a credere ciecamente), ma piuttosto: “dateci delle prove, come finora non avete fatto”. Il Bellarmino ad esempio è esplicito in questo senso (vedi la scheda su Galileo).

la condanna di razionalismo e fideismo

In effetti la Chiesa ha sostenuto che tra fede e ragione c'è armonia e complementarità, e che, se si danno casi di apparente contrasto, è necessariamente perchè uno dei due termini non è inteso rettamente, ossia si pretende che sia dogma qualcosa che dogma non è, oppure che sia scienza qualcosa che scienza non è.

Non è che le due conoscenze siano sullo stesso piano: per l'uomo concreto l'assoluto reale è la fede, ma si tratta di una fede di cui uno deve continuamente cercare le ragioni, nella adeguatezza alla domanda di felicità cui la proposta di fede dice di rispondere.

Per questo la Chiesa ha condannato due eccessi opposti, relativamente al problema del rapporto fede/ragione, ossia il razionalismo, che riduce la fede, e il fideismo, che comprime la ragione.

la gnosi

Il razionalismo, nei primi secoli del Cristianesimo, assume essenzialmente la forma della gnosi, ossia quella impostazione che pur non rinnegando formalmente la fede, la ritiene semplicemente un momento provvisorio di un cammino che alla fine porta la ragione alla piena comprensione di ogni mistero.

Per la gnosi alla fede si fermano i semplici, il popolo ignorante, ma il saggio gnostico sa che il livello delle fede, fatto di immagini simboliche, può e deve essere oltrepassato, per giungere al nucleo puramente razionale da tali simboli adombrato.

il fideismo

In qualche modo è l'eccesso opposto al razionalismo: per il fideismo la purezza della fede sarebbe contaminata dalla ragione. Basta credere, non occorre ragionare, anzi il ragionare appesantisce e corrompe la fede.

Emblematico di questo atteggiamento, condannato, come dicevamo, dalla Chiesa non meno duramente del razionalismo, fu nei primi secoli Tertulliano.

Per tale autore non ci può essere alcuna utilità nella cultura classica:

[9] Quid ergo Athenis et Hierosolymis? quid academiae et ecclesiae? quid haereticis et christianis? [10] Nostra institutio de porticu Solomonis est qui et ipse tradiderat Dominum in simplicitate cordis esse quaerendum. (...) [12] Nobis curiositate opus non est post Christum Iesum nec inquisitione post evangelium. [13] Cum credimus, nihil desideramus ultra credere. Che cosa ha a che fare Gerusalemme con Atene? Che cosa la Chiesa con l'Accademia? Che cosa i cristiani con gli eretici? La nostra istituzione viene dal portico di Salomone, lui che aveva trasmesso [la verità] che il Signore va cercato nella semplicità del cuore (...) Non abbiamo bisogno di curiosità, dopo Cristo ne di ricerca dopo il Vangelo.Allorché crediamo, niente altro desideriamo oltre al credere.

(Tertulliano, De praescriptione haereticorum, VII, 9-13)

La fede (“Gerusalemme“) non avrebbe, per Tertulliano, niente a che spartire con la ragione (“Atene”), e con la filosofia e la cultura classiche.

un incontro fecondo

Grazie alla sua impostazione il Cristianesimo ha consentito più di un millennio di incontro tra fede e ragione, tra fede e filosofia.

Dal III secolo fino al XIV/XV secolo la cultura filosofica occidentale è stata profondamente intrisa di elementi cristiani, senza perciò venir meno alla sua natura di ricerca razionale spregiudicata.

E anche nei secoli seguiti al cosiddetto Medioevo la filosofia, pur allontanandosi progressivamente dalle sue radici cristiane, si è comunque nutrita dell'eredità cristiana: il tema del primato della soggettività umana sulla natura, quello della giustizia sociale, quello della eguaglianza tra uomo e donna e tra tutti gli uomini, senza distinzione di razza, non sarebbero comprensibili al di fuori di una matrice cristiana. E infatti storicamente non si trovano in altre civiltà.

il debito della filosofia verso la fede

Molti sono gli elementi che il pensiero filosofico occidentale deve al Cristianesimo. Lo abbiamo detto dettagliatamente in un contributo sull'importanza della filosofia medioevale per il pensiero moderno e la sua irriducibilità alla filosofia greca (Cancellare il Medioevo filosofico?).

Qui ricordiamo in sintesi quali sono i principali elementi del debito verso il Cristianesimo.

una nuova idea del divino

Per la prima volta il divino non viene visto come finito, ma come infinita perfezione, e questo Mistero infinitamente perfetto è un Tu, un Tu per la prima volta non minaccioso o invidioso (ricordiamo come ad esempio Epicuro vedesse invece nel divino essenzialmente un pericolo da cui difendersi).

Il Mistero è un Tu buono, che avendo tutto, infinitamente più di quanto possiamo immaginare, non può volerci togliere niente, ma solo dare, in modo assolutamente gratuito.

Da notare che solo se il Mistero è infinito, ad esempio, la vita eterna può non essere una noia ... mortale: non si finirà mai di inoltrarsi nel Mistero, di conoscerlo sempre di più e di esserNe sempre più felici; ancora, se il Mistero è infinito può tutto, quindi può amare personalmente me e te di un amore infinito, così come può ascoltare la nostra preghiera come se fossimo l'unica creatura al mondo.

Certo, un'altra conseguenza del fatto che il Mistero è infinito è appunto che il Mistero è ... mistero, per cui pur essendo creatore di tutto permette quel mistero grave che è il male, la sofferenza, la morte. Noi non capiamo come, ma Lui sa trarre anche dal male un bene maggiore. Se invece il divino fosse finito, quindi a misura della nostra razionalità, non sarebbe possibile attribuirGli la creazione, anche perché il male risulterebbe incompatibile con la sua (finita) perfezione.

un nuovo rapporto tra il divino e il mondo

è l'idea di creazione, assolutamente sconosciuta ai greci, e la conseguente idea di provvidenza, per cui ogni minimo aspetto dell'esistenza umana non è abbandonato al caso, ma è sotto lo sguardo buono di un Padre che può tutto.

Per i Greci infatti il massimo che si poteva dire è che il mondo è buono in generale, nei suoi aspetti universali, ma la contingenza singolare e concreta è il dominio della casualità. Per il Cristianesimo invece “non cade foglia che Dio non voglia”, come si esprimeva la saggezza popolare.

un nuovo rapporto tra il soggetto e il mondo

L'uomo non è più una “cosa tra le cose”, un ente naturale accanto ad altri, ma è il centro e il senso del creato.

La natura gli è nettamente subordinata.

un nuovo rapporto tra anima e corpo

L'uomo non è un'anima accidentalmente unita a un corpo (e magari a uno dei tanti corpi, come nella concezione pitagorica e platonica, che suppone la metempsicosi), ma è inscindibile unità corporeo-spirituale.

Non si tratta dunque di fuggire dalla materia, ma di valorizzare la vita come essa è, nella sua fragile ma in qualche modo sacra concretezza.

un nuovo rapporto tra conoscenza e affettività

Decisivo non è più ciò che si conosce in seguito a ricerca razionale, ma l'adesione affettiva al dato che si offre come vero.

In un mondo enigmatico e in gran parte tenebroso, la ricerca razionale era decisiva, ma in un mondo dove il Senso ultimo si è Lui stesso rivelato, basta avere il cuore buono per riconoscerLo, tutti hanno la luce bastante per questo.

una nuova morale
Da un lato si fa strada il concetto, sconosciuto come tale ai greci, di dovere (a Dio, che è Creatore di tutto e tutto ci ha dato, dobbiamo tutto), senza che d'altro lato esso si configuri, come sarà in Kant, come immotivato: Dio ci chiede di fare certe cose non per arbitrario capriccio, ma perché vuole il nostro bene, che Lui solo conosce fino in fondo, e in cui consiste anche la nostra perfetta felicità. L'idea di dovere quindi si coniuga perfettamente con l'cioé la concezione secondo cui il motivo dell'agire morale è la ricerca della felicità.
dignità ed eguaglianza degli esseri umani

Per un concezione, come quella precristiana, che ritiene l'uomo come frutto del caso, l'umanità in generale e ogni individuo particolare non hanno alcun valore assoluto. Per il Cristianesimo invece il Mistero infinito ha voluto creare il cosmo per l'uomo e ha voluto ogni singolo uomo, amandolo gratuitamente di un amore infinito. Qui poggia la dignità e il valore dell'uomo.

Se poi uno vale perché amato dall'Infinito, allora non contano più, sono secondarie, le differenze dovute all'intelligenza, alla ricchezza, alla posizione sociale. Una fondamentale eguaglianza accumuna tutti gli uomini. Così non era nemmeno per i più illuminati tra i filosofi greci; pensiamo ad Aristotele, che pone una differenza qualitativa tra greci e barbari, tra schiavi e liberi, e tra uomini e donne.

un nuovo fondamento della socialità

Per il Cristianesimo da un lato, contro tentazioni individualistiche, la socialità è qualcosa di naturale, e di buono, e lo stato è esso pure in sé stesso positivo; d'altro lato lo stato non è un assoluto, essendo strumentale alla affermazione della dignità della persona.

Perciò, da un lato l'individuo trova il suo vero bene solo in qualcosa che è al contempo il bene degli altri, ed è spinto ad avere come orizzonte il mondo; dall'altro lo stato è relativizzato: non ogni legge positiva è giusta, né lo è qualsiasi decisione delle istituzioni statali: essendo fatti da uomini, anche gli stati, se gli uomini che li compongono sono malvagi, possono diventare delle bande di furfanti.