preparazione di soldati americani dopo l

Il mondo dopo l'89

verso la Terza Guerra Mondiale?

La sintesi che propongo in questa pagina è solo un abbozzo, che conto di integrare successivamente.

una pericolosa illusione

La guerra fredda, com'è noto, si è conclusa con la sconfitta del totalitarismo comunista ad opera della democrazia occidentale. Almeno questo è quello che, con Fukuyama, abbiamo a lungo pensato. Sottovalutando il fatto che la Cina, pur aprendo ampi spazi alla democrazia economica continuava, fallito il tentativo di rovesciare il totalitarismo con piazza Tien An Men, ad essere politicamente un regime a tutti gli effetti totalitario; e sottovalutando anche il fatto che la stessa Russia, dopo iniziali, promettenti aperture, con Gorbaciov prima e con questa, almeno, è la tesi della Politkovskaja, ne La Russia di PutinEltsin poi, ha nettamente virato, con Putin, verso una forma di strisciante neo-totalitarismo, con oppositori e giornalisti assassinati, o incarcerati da una magistratura che è tutto fuorché indipendente, con torture nelle carceri, con violazioni ripetute del principio costituzionale della non rieleggibilità del capo dello Stato, col sostegno a regimi come quello serbo capaci di rare atrocità, perpetrate del resto anche dallo stesso esercito russo, ad esempio in Cecenia, e mi limito alla punta dell'iceberg.

L'Occidente ha a lungo chiuso gli occhi sul fatto che c'era della brace sotto la cenere. E che la democrazia non poteva ancora cantar vittoria.

Questo rifiuto occidentale di guardare il male nell'altro nasce dal rifiuto di ammettere il proprio male. Perché l'Occidente, e gli USA in particolare, ha le sue colpe, per quanto non paragonabili a quelli dei regimi neo-totalitari. Vediamole, ripercorrendo quelli che sono, da un punto di vista della politica internazionale, gli snodi fondamentali del dopo '89.

Una disinvolta spavalderia

prima guerra del Golfo e dintorni

Il primo grave errore fatto dagli USA (presidente il e anti-abortista, per inciso: non basta essere anti-aborto per essere sotto ogni aspetto dei buoni presidentirepubblicano G.Bush senior) fu la prima guerra del Golfo.

I fatti della prima guerra del Golfo, in sintesi

l'Irak guidato da Saddam Hussein, sunnita e nel cui governo erano presenti anche dei cristiani, come Tarek Aziz, invade e annette il Kuwait (agosto 1990), praticamente senza incontrare resistenza da parte di quel piccolo Stato, ricchissimo per il petrolio, ma militarmente debole. La motivazione è che tale regione, rimasta sotto controllo inglese diverso tempo dopo l'indipendenza irachena, era a tutti gli effetti (culturali, storici e geografici) irachena. Saddam paragonò in effetti l'annessione del Kuwait alla allora recente unificazione tedesca.

aerei USA in azione sull'Irak
aerei USA in azione sull'Irak: la prima guerra del Golfo fu combattuta essenzialmente con bombardamenti

Gli USA però non ci stanno. Ammoniscono Saddam di lasciare il Kuwait ripristinandone l'indipendenza. Saddam Hussein respinge gli ultimatum americani, appoggiati da risoluzioni ONU, a quindi scatta, nel gennaio del 1991, l'Operazione Tempesta nel deserto (Desert Storm). Dopo una fitta e prolungata azione aerea, che distrusse la capacità militare, e prostrò l'economia, dell'Irak, gli americani, appoggiati dall'Arabia saudita, che li ospitano sul loro territorio, scacciano gli iracheni dal Kuwait, e pongono all'Irak condizioni piuttosto pesanti, essenzialmente delle zone in cui era vietato il volo agli aerei irachenino-fly zones a Sud (per proteggere la minoranza sciita) e a Nord (per proteggere la minoranza curda). In realtà però, più che proteggere tali minoranze, gli americani puntano a indebolire Saddam Hussein, del quale curdi e sciiti sono nemici; e pertanto tali gruppi etnico-religiosi sono poco o tanto aizzati a ribellarsi al governo centrale di Baghdad, la cui risposta militare non potrà che essere azzoppata.

Invano papa Giovanni Paolo II aveva levato la sua straziata «Nei giorni che precedono l’intervento della coalizione guidata dagli Stati Uniti, Papa Giovanni Paolo II lancia numerosi appelli per la pace nel Golfo Persico. Il 12 gennaio del 1991, nel discorso rivolto ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, afferma che “la pace è ancora possibile”: “L’ora è più che mai quella del dialogo, del negoziato, della preminenza della legge internazionale”. Il 15 gennaio scrive due messaggi indirizzati ai presidenti di Iraq e Stati Uniti. Rivolgendosi al capo di Stato iracheno sottolinea che “nessun problema internazionale può essere adeguatamente e degnamente risolto col ricorso alle armi”. “La guerra oltre a causare molte vittime – aggiunge – crea situazioni di grave ingiustizia che, a loro volta, costituiscono una forte tentazione di ulteriore ricorso alla violenza”. Nel messaggio al presidente statunitense, il Pontefice chiede di non risparmiare sforzi per “evitare decisioni che sarebbero irreversibili e porterebbero sofferenze a migliaia di famiglie di suoi concittadini e a tante popolazioni del Medio Oriente”. Le parole del Papa non vengono ascoltate. Prevale invece la voce delle armi. E, poche ore dopo l’inizio dell’operazione “Desert Storm” (Tempesta nel deserto), Papa Wojtyła lancia il 17 gennaio del 1991 un nuovo accorato appello per la pace nel Golfo Persico. L’occasione è un un incontro svoltosi con i collaboratori del vicariato di Roma.» (dal sito VaticanNews). Una guerra che formalmente poteva avere qualche giustificazione, perché l'Irak di Saddam Hussein aveva effettivamente compiuto una gravissima violazione del diritto internazionale, invadendo e annettendo uno stato sovrano, membro della Nazioni Unite, il Kuwait. Ma anche una guerra sostanzialmente preparata (anche) dagli americani su pressione soprattutto della destra israeliana, che voleva eliminare, o almeno neutralizzare, quello che considerava un pericoloso nemico, Saddam Hussein. Al quale venne fatto credere che se avesse invaso il Kuwait non gli sarebbe successo niente (lo riportò La Civiltà cattolica, autorevole e informata rivista dei gesuiti, poco tempo dopo). Una trappola, insomma.

La prima guerra del Golfo generò, anzitutto nel mondo arabo, ma poi un po' in moltissimi paesi non occidentali, un senso di ingiustizia subita ad opera dell'unica superpotenza mondiale rimasta (dopo il crollo dell'URSS), che si atteggiava un po' troppo arrogantemente a “gendarme del mondo”. Affermava il suo dominio incontrastato e unilaterale sul resto del mondo. E ciò non poteva non generare rancore e desiderio di vendetta.

la Yugoslavia

Qualcosa di analogo accadde anche nella crisi di dissolvimento della Yugoslavia.

Ripercorriamo brevemente i fatti. La Yugoslavia nasce come Stato artificiale dopo la Prima Guerra mondiale, mettendo insieme gli “slavi del sud” (yugo-slavi), divisi religiosamente (cattolici gli sloveni e i croati, ortodossi i serbi e i macedoni, parte cattolici, parte ortodossi e parte mussulmani“misti” i bosniaci), linguisticamente (persino con diverso alfabeto: cirillico i serbi, latino al Nord) ma soprattutto culturalmente, con il Nord più legato all'Europa occidentale e il Sud serbo legato alla Russia. Tale artificiosa unione aveva il senso di opporre all'Austria, da poco smembrata, una barriera abbastanza forte.

Durante la Seconda Guerra Mondiale avvengono fatti di efferata crudeltà tra croati e serbi, ma dopo la guerra il regime comunista di Tito riesce a imporre una apparente ritrovata unità, in nome dell'internazionalismo comunista. Ma la caduta del muro di Berlino segna il dissolvimento di molte entità plurinazionali artificialmente unite: si dividono, pacificamente, la Cechia dalla Slovacchia, si divide l'Unione Sovietica, anche lì in modo sostanzialmente pacifico, e si divide la Yugoslavia. E qui bisogna distinguere.

il pianto di una donna su una bara
una donna bosniaco-mussulmana piange su uno dei molti uccisi dai serbi

La Slovenia, nel 1991, riesca a staccarsi da Belgrado in modo quasi pacifico, ma già la Croazia viene costretta dalla Serbia a una guerra cruenta (dal 1991 al 1995) per strapparle dei territori, in cui erano presenti dei serbi. Il culmine della drammaticità però è raggiunto in Bosnia, dove è forte la presenza di mussulmani, oggetto di un particolare odio da parte serba. Lì vennero commessi gravi crimini contro l'umanità, attuando la cosiddetta “pulizia etnica”, oggetto poi di indagine e di un processo internazionale all'Aia, con la condanna dei leader serbi Milosevic e Karazic.

Fino all'indipendenza della Bosnia, che alla fine la Serbia dovette riconoscere, Stati Uniti e Occidente erano stati poco presenti. Immediato e fortissimo fu invece l'intervento nella questione del Kossovo, regione serba abitata da una nutrita presenza albanese. L'aviazione americana (senza intervento di terra) martellò i serbi con tale energia da costringere la Serbia a ritirarsi dal Kossovo, che divenne de facto indipendente dalla Serbia, senza peraltro diventare parte dell'Albania, ma dichiarando di garantire la compresenza al suo interno della comunità albanese e di quella serba.

Ora, l'intervento americano che strappò il Kossovo alla Serbia fu un intervento nel segno di un unilateralismo, solo appena attenuato dal sostegno di altri paesi occidentali. Senza cercare però il seppur minimo coinvolgimento della Russia, grande e storica amica della Serbia. Russia, che forse avrebbe potuto, se adeguatamente coinvolta, svolgere una funzione mitigatrice degli eccessi, pur gravissimi, perpetrati dai serbi, senza giungere all'attacco militare unilaterale.

un campanello d'allarme ignorato: l'11 settembre

le torri gemelle stanno per crollare
l'11 settembre: l'impatto sulle Twin Towers

Si arriva così alla vendetta: l'11 settembre. L'11 settembre è sì stato opera di un ristretto gruppo terroristico fondamentalista islamico, fatto anzi per lo più da arabi (sauditi), Al Quaeda. Tuttavia esso esprime un odio contro gli Stati Uniti, che va ben oltre i confini del mondo arabo-islamico, e può essere letto come la vendetta, la rivincita del mondo non-occidentale. Una vendetta e una rivincita che gli USA, e l'Occidente, non sono stati in grado di leggere come un monito a rivedere le proprie posizioni in un senso meno unilateralistico e meno arrogante. Io stesso, influenzato da certe voci (come il settimanale Tempi totalmente appiattito sulla linea di Bush), ho per diverso tempo pensato che l'Occidente non avesse poi molto da rimproverarsi e che il punto fosse sconfiggere (militarmente) il fondamentalismo islamico.

Coerentemente a questa linea, gli USA, ben lungi dal rivedere il proprio unilateralismo, lo hanno anzi, col (e anti-abortista, vedi sopra)repubblicano G.W. Bush junior, accentuato, con l'intervento in Afghanistan e con la seconda guerra del Golfo. Le conseguenze sono note: viene sì rovesciato il governo di Saddam Hussein, ma creando una situazione di instabilità. Che porterà alla fuga di masse enormi di cristiani iracheni. E porterà alla tragica esperienza dello Stato islamico, il Califfato di Al-Baghdadi, uno dei regimi più disumani che siano mai esistiti (probabilmente più del nazismo e più di Pol-Pot, direi).

una terza guerra mondiale a pezzi

Le conseguenze sono il rafforzarsi del fronte anti-occidentale, anche se la cosa passa pressoché inavvertita in Occidente. Ma quando papa Francesco parla di «Terza Guerra mondiale a pezzi» allude proprio a questo bradisismico emergere, e progressivo saldarsi, di pezzi di ribellione all'unilateralismo americano e all'egoismo occidentale.

Di fatto la Cina estende sempre più, negli ultimi 20 anni, la sua influenza sui paesi “poveri” e anche la Russia, dopo il successo delle sue “piccole guerre” unilaterali che la portano ad annettere la Crimea (2014) e a smembrare la Georgia, affila sempre più le sue armi, forte della miopia occidentale e della ricchezza del sottosuolo russo, che la garantisce una posizione di intoccabilità in quanto o meglio resa tale dalla miopia occidentaleinsostituibile sul piano energetico.

Con Trump l'unilateralismo USA diventa non-interventista sul piano militare, ma rimane unilateralismo, che permette alla Russia di continuare ad affilare sempre più i propri coltelli e incattivisce la Cina, danneggiata economicamente dalle scelte doganali del miliardario. Scelte che non sono rivolte al rispetto dei diritti umani in Cina, ma solo ad assicurare una maggior salute economica alle aziende americane.

i pezzi si saldano

Il disastroso ritiro americano dall'Afghanistan nel 2021, ritiro concordato coi talebani da Trump, ma molto mal gestito da Biden, prepara l'invasione russa nel febbraio 2022: la Russia vede che l'Occidente è debole, e si accorda con la Cina per infliggergli un duro colpo. L'alleanza tra Russia e Cina, come pure quella con tutte le altre realtà anti-occidentali, è intrinsecamente instabile, perché sono uniti più contro che per. Non hanno un comune progetto positivo, ma solo un comune nemico. E se dovessero malauguratamente vincere, non tarderebbero a sbranarsi tra loro. Anche perché il presupposto culturale di tali paesi è l'assenza di verità e valori che possano essere riconosciuti come universali, e quindi comuni. Ma questa sarebbe una magra consolazione, se dovesse essere una buona ragione per abbassare la guardia o arrendersi.

L'invasione russa dell'Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022, ha tutte le carte in regola per essere solo l'inizio: la Cina comunista, alleata di Putin, ha già detto di volersi annettere Taiwan. E la Corea del Nord non cessa di affilare le sue armi. E l'Iran teocratico è sulla strada di fabbricarsi armi nucleari. Russia putiniana, Cina comunista, Corea del Nord, Iran: l'asse dei neo-totalitarismi uniti nella lotta contro l'Occidente, o meglio le democrazie (USA, Europa e Commonwealth, Giappone, Corea del Sud, Israele).

Per un giudizio

un autentico universalismo, unica via d'uscita

Che fare, dunque, di fronte questo attacco delle anti-democrazie contro la democrazia? Anzitutto correggere il più possibile i difetti che rendono la democrazia occidentale poco credibile: si tratta di rinunciare il più possibile all'egoismo e al particolarismo, che troppo spazio hanno avuto nelle nostre società e nelle scelte dei governi occidentali, e di pensare e agire nel modo più convinto e coerente possibile nel senso di una solidarietà universale. Senza questa componente etica, un puro sforzo politico o militare rischia di risultare inefficace o comunque di comportare dei danni, anzitutto sul piano umano ma poi anche su quello economico, che si potrebbero invece evitare.

Questo ha un prezzo. Ma, a ben vedere, si tratta di un prezzo comunque minore di quello che pagheremmo se continuassimo a regolarci in base a un miope egoismo. Il che è quanto dire che agire eticamente premia. Anche sul piano materiale. Il che, in termini teologici, è in fondo il concetto di «centuplo quaggiù»: fare il bene non è rilevante solo per l'al-di-là, ma fa bene anche per l'al-di-qua.

Poi, ma solo dentro a questo orizzonte umano ed etico, si dovrà porre mano a tutte le leve, economiche ma anche militari, per sconfiggere non tanto l'aggressore, ma il male che è nell'aggressore. Senza odio. Senza spirito di vendetta. Senza spargimenti di sangue che non siano davvero necessari. Usando anche le armi. Ma non solo e non soprattutto le armi. Che comunque dovrebbero essere sottratte alla produzione da parte di privati e prodotte solo dagli Stati, anzi solo dagli Stati democratici: ecco il senso profondo, a mio avviso, del richiamo di papa Francesco del 25/08/2022. Perché l'obbiettivo ultimo non può che essere quello di un mondo de-nuclearizzato e dove i paesi democratici si armino solo per difendersi e quelli non-democratici siano costretti, pena l'isolamento totale, a non possedere armi di offesa e siano sempre più spinti a democraticizzarsi. Diventando, così, come prevedeva giustamente Kant, pacifici. Probabilmente questo non sarà mai realtà al 100%, ma questo deve essere almeno l'obiettivo a cui avvicinarsi, a cui tendere.

📚 Bibliografia essenziale

Un testo importante per capire come la Russia sotto Putin sia regredita a una forma di semi-totalitarismo è il libro di Anna Politkovskaja.

🎬 Filmografìa