Henri Bergson

l'irriducibilità del vitale

🪪 Cenni sulla vita

Henri Bergson, nato a Parigi il 18 ottobre 1859, si laureò in lettere, e in matematica, conseguì il dottorato in filosofia, seguendo i corsi di Ollé-Laprune e di Boutroux. Insegnò in diversi Licei e poi, dal 1900 al 1924, al Collège de France. Personalità affascinante e parlatore fluente, sapeva risultare gradevole anche a un pubblico non accademico, che affluiva numeroso alle sue conferenze.

J. Chevalier, autore di una biografia di Bergson, racconta con accento emozionato l'atmosfera che aleggiava alle lezioni di Bergson: “La personalità di Bergson non era certamente estranea al suo successo. Il silenzio calava nell'aula, un fremito arcano percorreva gli animi, quando lo si vedeva apparire sul fondo dell'anfiteatro, sedersi sotto la luce di una lampada discreta, le mani libere e di solito giunte, privo di appunti, la fronte enorme, gli occhi chiari come due luci sotto le folte sopracciglia, i lineamenti delicati che esprimevano la potenza spirituale del volto e la forza immateriale del pensiero. La sua parola era calma, nobile e ritmica, al pari della sua prosa; di una straordinaria sicurezza e di una precisione sorprendente, con delle intonazioni cattivanti e musicali, e un difetto di aspirazione che era una sfumatura di civetteria”.

Di origine ebraica, la sua filosofia ebbe all'inizio forti venature di panteismo, per avvicinarsi poi sempre più alla Chiesa cattolica; ma non volle divulgare la sua conversione, ormai sostanzialmente compiuta, essendo quelli anni di persecuzione antiebraica. I nazisti, quando occuparono Parigi nel '40 lo trattarono con un certo riguardo, a motivo della sua età avanzata e della sua notorietà, ma egli non volle avvalersi di alcun privilegio, sottoponendosi alla schedatura. Morì nel 1941.

📔 Opere principali di Henri Bergson

titolo originale titolo tradotto anno
Essai sur les donnés immédiats de la conscienceSaggio sui dati immediati della coscienza1889
Matière et mémoireMateria e memoria1896
Le rire: Essai sur la signification du comiqueIl riso. Saggio sul significato del comico1900
Introduction à la metaphysiqueIntroduzione alla metafisica1903
L'évolution créatriceL'evoluzione creatrice1907
Les deux sources de la morale et de la réligionLe due fonti della morale e della religione1932

l'intento di fondo

La filosofia di Bergson può essere visto come contrapposta alla pretesa positivista di sottoporre tutto, anche l'uomo e la dimensione spirituale, all'oggettivazione scientifica. Contro lo scientismo positivista Bergson si ripropone quindi di salvaguardare la specificità e il primato dello spirito/coscienza sulla materia: l'esistenza di cui siamo più certi è senza dubbio la nostra.

Tuttavia la sua filosofia differisce dallo spiritualismo, diffuso in Francia lungo il corso del XIX secolo, e a cui alcuni storiografi ascrivono lo stesso Bergson, per la sua chiara prospettiva cosmica e non certo intimistica. L'uomo non va isolato dal cosmo naturale.

il tempo

La relativizzazione della scienza ha un punto di forza nella relativizzazione del modo con cui la scienza riduce una dimensione che per l'uomo reale è decisiva, il tempo.

La scienza infatti suppone un tempo spazializzato e discreto-discontinuo, in cui ogni istante è esterno all'altro, omogeneo, reversibile.

Bergson non nega che questo tempo spazializzato della scienza abbia una sua utilità, ma esso non rappresenta la realtà profonda del tempo, che è durata.

La vera dimensione del tempo, quello della vita, è colto dalla coscienza come durata, ossia come flusso continuo (non scindibile in atomi discreti), irreversibile, cumulativo (l'ora è influenzato dal prima), eterogeneo: Fuori di noi, esteriorità reciproca senza successione; dentro di noi, successione senza esteriorità reciproca.

Alcune delle immagini scelte da Bergson per contrapporre i due tipi di tempo sono quella della corona, per rappresentare il tempo spazializzato, e del gomitolo, per il tempo della vita: la corona infatti è composta da grani gli uni eguali agli altri e gli uni esterni agli altri, e ben rappresenta la reversibilità con la sua forma circolare. Il gomitolo di lana invece rappresenta la durata come tempo non discontinuo, ma continuo (il filo è senza soluzione di continuità), fatto di istanti unici e irripetibili (ogni punto del filo è diverso dagli altri e ha un ruolo insostituibile), cumulativo e irreversibile (a differenza della corona che si può far scorrere indefinitamente, restando sempre identica a sé stessa, se un gomitolo viene disfatto non può più essere rifatto eguale).

l'unità di spirito e materia

Affrontando un tema molto presente nella tradizione filosofica francese dai tempi di Cartesio, quello del rapporto tra spirito e corpo, Bergson critica sia il dualismo cartesiano, sia il materialismo; tra materia e spirito infatti non vi è né separazione , né identificazione riduzionistica: lo spirito non può essere positivisticamente visto come epifenomeno del corpo, il cervello non spiega lo spirito: in una coscienza umana c'è molto di più che nel cervello corrispondente.

la memoria e il presente rese con un cono
la memoria e il presente rese con un cono

Piuttosto tra le due dimensioni vi è unità. Bergson lo dimostra ad esempio analizzando il fenomeno della sensazione, che non è qualcosa di puramente fisiologico. Percepire è infatti selezionare, attribuendo diversa importanza a ciò che entra nel nostro orizzonte percettivo, e questa selettività, che si nutre della memoria, è dimostrazione della presenza orientatrice dello spirito nella stessa attività, fisica, del sentire. Il corporeo è dunque permeato dallo spirituale.

La memoria in effetti è distinta in

E il rapporto tra passato e presente è illustrato con l'immagine di un cono che poggia sul piano non con la base ma col vertice: la base infatti è la memoria pura, la totalità del passato, gran parte del quale non è esplicitamente cosciente, benché in qualche modo sia presente, mentre il vertice è il presente, nel suo continuo avanzare.

Ne segue che la memoria, più che un regredire dal presente verso il passato, è piuttosto un avanzare del passato nel presente, in un perenne movimento di dilatazione (verso il passato) e di contrazione (verso il presente).

l'evoluzione

Non ci sono cose, ma solo azioni

Bergson critica due modi di concepire l'evoluzione, quello meccanicista (quale era quello di Darwin) e quello finalista.

In entrambi i casi il successivo è determinato dal precedente, e non si da mai nulla di realmente nuovo.

Per questo l'evoluzione sostenuta da Bergson è l'evoluzione creatrice, che appunto crea nuove forme, frutto dello slancio vitale.

La realtà in effetti è un tutto unitario, che fluisce in modo continuo e irreversibile; non si possono isolare, se non con l'astrattezza dei concetti, atomi di realtà parziali. In questo tutto distinguiamo la componente attiva e creativa, lo slancio vitale (élan vitale) e la componente inerziale e frenante, la materia. Quest'ultima è un fattore di inerzia, è élan vitale depotenziato, che ha perso creatività, e ora ostacola l'evoluzione del successivo slancio; come l'onda di risacca, che nel suo rifluire ostacola l'onda successiva.

La vita infatti è un dinamismo attivo che sempre si evolve, ma l'evoluzione non va intesa né in senso meccanicistico, come nel darwinismo, né in senso finalistico; anche una evoluzione intesa come finalizzata sarebbe comunque necessaria, sarebbe lo snodarsi di un preciso piano, di un disegno che precede la libertà, e non liberamente creatrice.

Invece per Bergson l'evoluzione è creatrice di sempre nuove forme, grazie all'élan vitale.

Così la vita, di continuo arricchentesi, si dirama come un fuoco d'artificio (una granata e non una palla di cannone), che sempre esplode in nuovi sottogruppi, sventagliandosi in direzioni differenti, come un fascio di steli, fino a giungere all'uomo.

l'uomo: istinto, intelligenza, intuizione

Bergson distingue questi tre gradi nell'attività umana che si rapporta al reale:

l'istinto

Chagall, pioggia
Chagall, pioggia

Esso utilizza strumenti organici, che trova a portata di mano, nell'immediato; è ripetitivo:

ha una struttura quasi immutabile, non potendo modificarsi senza una modificazione della specie

l'intelligenza

Essa appare nell'uomo, e costituisce l'homo faber, usando il concetto, che è valido praticamente, ma non speculativamente, non coglie la struttura profonda del reale. In questo senso Bergson la paragona al cinematografo, che fissa ciò che in realtà è unitario flusso in una successione di fotogrammi statici (ognuno dei quali fissa una situazione immobile): con ciò il sapere concettuale si illude di cogliere la realtà, la vita, che è continuità di divenire, ma solo di illusione si tratta.

L'intelligenza costruisce, andando oltre l'istinto, strumenti artificiali, di difficile uso, e lo fa con fatica, sì, e con imperfezioni, ma tali strumenti possono sempre essere perfezionati, e assumere le forme più diverse.

Essa va lontano, ma non ha presa sulla corposità del reale:

l'indole puramente formale dell'intelligenza la priva della zavorra necessaria a che possa posarsi sugli oggetti di maggior interesse speculativo

Estremo affinamento dell'intelligenza è la scienza, che fraziona la durata reale in parti astratte, traducendola in etichette e simboli, il cui valore è economico e non conoscitivo.

l'intuizione

è la sintesi: l'istinto divenuto disinteressato, cosciente di sè, capace di riflettere sul proprio oggetto e di ampiarlo indefinitamente. (L'evoluzione creatrice)

L'intelligenza divide il suo oggetto nella molteplicità dei concetti, che alterano l'unità fluida e continua del reale, l'intuizione invece cogliendo immediatamente il dato nella sua unitarietà, arriva al livello più vero e profondo della realtà.

Essa è simpatia, mediante cui ci si inserisce nell'interiorità di un oggetto per coincidere con ciò che c'è in esso di unico

morale e religione

Bergson affronta questo tema ne Les deux sources de la morale et de la réligion 1932

la morale

La morale ha due sorgenti possibili, ossia

Ora, per Bergson, il Cristianesimo prima e l'industrialismo poi permettono l'avvento di una società aperta, dinamica, democratica e non violenta, il cui fondamento è la morale aperta, basata sulla personalità creativa, l'eroe morale, appunto, come lo sono stati Socrate e Gesù.

La morale aperta ha come fine l'umanità intera, come contenuto l'amore per tutti gli uomini, e come caratteristica l'innovazione morale, secondo una ispirazione libera, oltre gli schemi fissi delle società chiuse.

Bergson ammise che l'avvento di una società basata su una morale aperta presenta dei rischi, ma nutrì la speranza in un nuovo salto evolutivo, che porti ad un amore universale.

come intendere questa proposta

La proposta di Bergson non va confusa con una “creatività” trasgressiva o arbitraria, né il suo eroe morale può essere accostato al Superuomo di Nietzsche: esiste infatti per lui un bene oggettivo, solo che deborda dagli schemi ristretti, in cui lo fossilizzano le morali chiuse, incapaci di guardare alla realtà nella totalità dei suoi fattori e nella novità del suo mai totalmente prevedibile zampillare.

Che sia così lo si vede dagli esempi di eroi morali, Gesù e Socrate, vincolati sì a un Bene assoluto, ma capaci di sfidare le pigre convenzioni del loro ambiente circostante (sia pensi a Gesù che pranza con Zaccheo o conversa con la Maddalena, personaggi intoccabili per i benpensanti dell'epoca).

la religione

Analogamente alla distinzione operata tra due tipi di morale, Bergson pone una distinzione tra due grandi tipi di religiosità:

Per un giudizio

Apprezzabile è la sua contestazione dello scientismo, che riduce l'uomo a oggetto esaurientemente indagabile e nega la trascendenza. Apprezzabile è anche il suo respiro non angustamente intimistico, ma cosmico.

Tuttavia Bergson si spinge troppo oltre nel suo ridimensionamento della ragione, negando al concetto una valenza rivelativa del reale, e riducendolo a mero strumento di una operatività trasformatrice.

La sua stima per la possibilità del nuovo, in sé giusta non arriva a individuare quale possa essere la fonte della novità, che in realtà è solo Dio come Infinito, lasciando la questione in un'ambiguità, che può essere vista come negatrice del principio di non contraddizione, per il quale dal meno non può venire il più.

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