Filosofia moderna

La terza grande epoca della storia della filosofia in realtà ha come denominatore comune non tanto l'antropocentrismo, quanto il valore della soggettività: il nemico non è tanto il Cristianesimo (lo è solo per una parte della filosofia moderna), quanto l'oggettivismo scolastico, maldestramente sposato da buona parte dei vertici della Chiesa cattolica.

Se in comune tutta la modernità ha una stima per il soggetto, tale stima trova due possibili strade: una che si ricongiunge alla tradizione cristiana (e in particolare ad Agostino), la via di un umanesimo teocentrico, la via di Pico della Mirandola, di Marsilio Ficino, di Erasmo, di Tommaso Moro, di Niccolò Cusano, del Beato Angelico, di Michelangelo, di Pascal;

l'altra si allontana da tale tradizione, rompe col Medioevo, e si procede verso un antropocentrismo sempre più spinto: è la via di Pomponazzi, di Lorenzo Valla, di Montaigne, di Giordano Bruno, di Spinoza, di Hume, di Voltaire, di Rousseau (e a livello artistico, probabilmente, di Masaccio, di Raffaello).

A metà strada, trasversalmente divisi tra l'una e l'altra anima della modernità, pensatori come Campanella, Cartesio, Locke, Leibniz e Kant. Questi pensatori in effetti sono da un lato in larga complici e succubi della deriva razionalista e immanentista della corrente antropocentrica: per loro la ragione del soggetto è criterio e filtro, e non apertura all'oggettivo; e tuttavia tutti si sforzano di lasciare comunque aperto almeno un pertugio verso la trascendenza di Dio.

Importante poi è, all'inizio dell'epoca moderna, la rivoluzione scientifica, e gli sforzi di Bacone e soprattutto di Galileo di riflettere sul metodo della scienza.