John Locke

una fredda, equilibrata moderazione

🪪 Cenni sulla vita

📔 Opere principali di John Locke

titolo originale titolo tradotto anno
Essays on the Law of NatureSaggi sulla legge di natura1664
An Essay on TolerationSaggio sulla tolleranza1667
An Essay concerning humane UnderstandingSaggio sull'intelletto umano1689
Epistola de tolerantiaLettera sulla tolleranza1689
A Second Letter Concerning Tolerationseconda Lettera sulla tolleranza1690
Two Treatises of GovernmentDue trattati sul governo1690
The Educational WritingsPensieri sull'educazione1693
The Reasonabless of ChristianitySaggio sulla ragionevolezza del Cristianesimo1695

impostazione di fondo

Locke è uno dei più grandi filosofi inglesi, ed è il primo importante assertore dell'empirismo, cioè della teoria gnoseologica che nega al pensiero la capacità di superare in perfezione la modalità sensibile della conoscenza. La vera e valida conoscenza è allora solo la sensazione, di cui il pensiero non è che un pallido surrogato.

gnoseologia

Nel Saggio sull'intelletto umano Locke si ripropone una ricognizione critica dei limiti della ragione.

La ragione viene certamente svalutata rispetto a Cartesio e al razionalismo, tuttavia Locke ne riconosce un ruolo insostituibile: la ragione non inutile. Per spiegarlo egli usa le due immagini della candela e dello scandaglio. La ragione cioè è come una candela, che con la sua luce non riesce certo a farci vedere tutto il panorama come la luce del sole, ma basta pur sempre a rischiarare il percorso che dobbiamo fare nell'oscurità della notte. Così uno scandaglio non riesce a fornire una mappa completa dei fondali marini, ma basta a fornirci la conoscenza che eviti che la nostra nave si incagli in qualche secca. Insomma mentre la ragione, per la tradizione metafisica classica e il razionalismo, ci consentirebbe di conoscere gli aspetti ontologici universali dell realtà intera, e quindi avrebbe una funzione pienamente speculativa, teoretica, per Locke ha una funzione ontologica decisamente limitata: non le strutture universali, profonde, della realtà, ma solo l'immediata circostanza. Perciò alla ragione possiamo chiedere soprattutto di esserci guida nelle quotidiane scelte pratiche.

Si tratta di una sorta di inventario delle idee, nel presupposto che esse (e non le cose in sè stesse) siano i veri oggetti della nostra conoscenza. Così anche in Locke, come in Cartesio, Spinoza e altri vediamo un dualismo gnoseologico (idee/cose).

Locke sostiene: la negazione della presenza di idee a) innate e b) universali;

a) non abbiamo idee innate

Infatti:

b) non abbiamo idee universali

Per Locke l'astrazione è infatti intesa come separazione di un particolare da un altro, e non come il cogliere un universale dentro un particolare)

le nostre idee si distinguono come dallo schema seguente:

i vari tipi di idee in Locke
i vari tipi di idee in Locke

due sono i tipi di idee:

Tra le tre idee complesse quella di sostanza è quella che Locke critica più a fondo dicendo che non possiamo legittimamente parlare di sostanze; accade infatti che vedendo certe idee semplici costantemente associate [il rosso, il liscio, il rotondeggiante], immaginiamo che siano una medesima cosa [la mela, la sostanza-mela], a cui diamo un certo nome, poi pensiamo che a questo nome corrisponda una idea semplice)

possiamo perciò essere certi solo delle idee semplici: dunque che esista un mondo fatto di sostanze ("questa bella d'erbe famiglia e d'animali") non siamo certi, come non siamo certi dell'esistenza di altri soggetti spirituali (si tratta di un'opinione, non di conoscenza certa).

Incoerentemente coi questi presupposti empiristici Locke afferma che della esistenza di Dio possiamo essere certi, in base al principio di causalità, intuitivamente evidente: il puro nulla infatti non può produrre la realtà, questa occorre sia prodotta da un Ente eminentemente reale, cioè Dio.

politica: il liberalismo di Locke

lo stato

Lo stato è visto da Locke come garante, non come padrone, come assoluto; egli dunque si contrappone all'impostazione di Hobbes, che conduceva all'assolutismo; centrale infatti, in lui, come nel liberalismo, che da lui in qualche modo è derivato, è l'individuo con i suoi diritti.

Funzione dello stato è solo quella di garantire tali diritti, lasciando poi agli individui il ruolo di protagonisti della vita associata.

Oltre che ad Hobbes Locke si contrapponeva, per motivi simili, a Robert Filmer (1588-1653), che aveva sostenuto, nel Patriarca o il potere naturale dei re, una concezione “paternalistica” di Stato, che legittimava l'assolutismo. Per Filmer infatti la società è come una grande famiglia, i cui membri non sono eguali, ma sono sottomessi all'autorità del padre, ossia del Re; questi, discendente di Adamo, eredità l'autorità da Dio concessa al progenitore.

Locke a tale concezione antiegualitaria, contrappose un egualitarismo coerente: lo stesso Adamo, per lui, non ha avuto da Dio alcuna speciale autorità sugli uomini, così come non l'ha il Re, dato che tutti gli uomini sono uguali, in quanto tutti dotati di ragione, e come non l'ha, sui membri della sua famiglia, il padre. L'autorità politica si basa, in effetti, non su un diritto divino, ma sul consenso di tutti, che delegando del potere al sovrano non abdicano ai loro diritti, ma li affidano a quello, perché li tuteli. In altre parole alla base del potere statale sta un vero e proprio contratto sociale tra tutti i cittadini, che deve essere garantito da una costituzione, vincolante, oltre che per i cittadini, anche per il sovrano, e in cui sia presente (in questo Locke anticipa Montesquieu) una divisione dei poteri: legislativo, affidato al parlamento (che deve fare leggi conformi al diritto naturale), esecutivo, affidato al Re e «federativo», cioè in pratica giudiziario (deve infatti far rispettare i patti, o foedera).

la proprietà

Coerentemente con tale centralità dell'individuo vi è in lui una netta affermazione del diritto di proprietà:
da un lato è vero che Dio ha dato il mondo agli uomini in comune, e che tutti hanno diritto a quanto necessita per la propria sussistenza,
d'altro lato con il proprio lavoro (emanante da quella propria persona, che ci appartiene personalmente) ognuno acquisisce un diritto a godere in proprietà ciò che ha riplasmato, avendolo tolto dallo stato comune in cui la natura lo ha posto (da Due trattati sul governo)

la tolleranza

è poi teorizzata da Locke la "tolleranza": bisogna distinguere "tra materia religiosa e materia civile" e "tra Chiesa e Stato" (Lettera sulla tolleranza).
Ci sono però delle eccezioni al principio di tolleranza: esso non si applica a chi va contro la Chiesa, ma a chi va contro il fondamento di quello stato, che garantisce "la vita, la libertà, l'integrità fisica (..) e la proprietà" dei cittadini, ossia a quanto segue:

  1. a ciò che intacca la socialità umana e i suoi buoni costumi;
  2. a chi pretende dei privilegi particolari per la propria setta;
  3. a chi si sottomette ad un sovrano straniero (come il papa, o un re cattolico);
  4. all'ateismo, che disgrega la società (nega il fondamento del giuramento, della parola data)

Per un giudizio

😧 Inaccettabile è l'empirismo, di cui peraltro Locke non svolge tutte le implicazioni negative (ammettendo, incoerentemente con le sue premesse, la dimostrabilità dell'esistenza di Dio). Il principio empiristico, secondo cui il pensiero non solo comincia con la sensazione, ma non può andare oltre, dunque non può sollevarsi al di sopra del qui ed ora, misconosce la possibilità di raggiungere un giudizio vero, stabile e universale.

😧 Inaccettabile è anche la sua negazione della conoscibilità della sostanza: così la realtà si sbriciola in una congerie di "schegge", senza nesso, senza possibile continuità di esperienza e di storia.

😧 Discutibile è la sua concezione di tolleranza, che mira all'universalità, ma rischia di essere funzionale al dominio di un particolare.

😃 Va peraltro riconosciuta a Locke un certo attaccamento alla concretezza e al buon senso: virtù di cui molti filosofi hanno difettato.


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