Plotino

l'impellente ascesa all'Invisibile, sacrificando il visibile

il platonismo fino a Plotino

Si possono distinguere le seguenti fasi, su cui peraltro non c'è totale concordanza tra gli studiosi:

  1. platonismo antico o Accademia, distinta in
    1. Accademia antica, immediatamente successiva a Platone, accentuò tratti pitagorico-matematici (Speusippo, 408ca-339 a.C., Senocrate, 396-314 a.C.),
    2. Accademia media, di indirizzo probabilistico (Arcesilao di Pritane, 315-241 a.C., Carneade di Cirene, 214-129 a.C.: si veda la scheda sullo scetticismo),
    3. Accademia nuova, di indirizzo eclettico (Filone di Larissa, Antioco di Ascalona, ad essa aderì in qualche modo anche Cicerone),
  2. medio-platonismo (dal I sec. a.C. al II sec. d.C., tra i suoi esponenti Plutarco, Galeno e Numenio, tra i suoi tratti, peraltro piuttosto eterogenei, un certo eclettismo e una accentuazione delle dimensione teologica, per cui ad esempio in etica proponeva l'assimilazione a dio),
  3. neo-platonismo: quello (soprattutto) di Plotino.

il contesto e la vita

Plotino è il fondatore del neoplatonismo, cioè quella ultima grande corrente della filosofia antica, ispirata appunto a Platone, ma influenzata dal Cristianesimo che ormai stava diffondendosi in modo decisivo nel bacino dell'Impero romano.

Plotino nasce nel 205 d.C., a Licopoli, in Egitto; seguì ad Alessandria d'Egitto la scuola di Ammonio Sacca (dal 232 al 243), che era frequentata anche da Origeneche sarebbe poi stato filosofo e teologo cristiano. Per un breve periodo, nel 243, seguì l'imperatore Gordiano in una sua spedizione a oriente, sperando di poter così meglio conoscere la filosofia persiana e indiana, ma la morte di Gordiano lo costrinse a cambiare programma. Dal 244 si trasferì a Roma, dove fondò una sua scuola, non scrivendo nulla fino al 254, allorché prese a scrivere dei trattati che furono poi ordinati (secondo un criterio sistematico) da Porfirio, suo discepolo, nella forma pervenutaci delle Enneadi.

La sua scuola si caratterizzò per una spiccata valenza esistenziale: non si trattava solo di insegnare una dottrina, ma una dottrina che aiutasse a vivere, slegandosi dagli impacci della materia e proiettandosi verso l'Invisibile. Progettò persino una sorta di monastero pagano, una “città filosofica”, che si sarebbe dovuta chiamare Platonopoli, in omaggio al grande maestro che aveva insegnato a volgersi verso il divino.

Anche in questo possiamo vedere da un lato l'influsso del Cristianesimo, dall'altro anche l'anelito mistico della tarda antichità, con la sua forte percezione della precarietà del mondo visibile.

Morì nel 270 d.C.

l'Uno

Se la centralità dell'invisibile, il suo primato sul visibile, accumuna Plotino a Platone, la differenza più grande è nel superamento del dualismo ontologico: per Platone tutta la realtà si riconduce a due fonti, la materia-chora e il mondo intelligibile; per Plotino invece tutto si riconduce a un unico principio, da cui tutto, inclusa la materia, scaturisce.

Alla radice di ogni realtà sta infatti l'Uno: le cose in tanto esistono, in quanto sono une, unitarie; nulla esiste che non sia in qualche modo uno, dunque l'unità, più che l'essere, è il costitutivo primario e fondamentale della realtà.

Ma l'Uno che è principio di tutto deve essere assoluta unità, con l'esclusione di ogni molteplicità.

L'Uno è perciò eterno, perfetto, infinito (questa è una novità per la filosofia greca, evidente influsso cristiano), ma non può essere pensante e volente, poichè tali attività comportano una divisione. Pensare infatti implica una distinzione tra pensante e pensato, così come volere tra volente e voluto.

Dunque l'Uno, pur essendo infinita Perfezione, non è Personalità, non è un Tu a cui ci si possa rivolgere. E qui affiora tutta la debolezza e l'inadeguatezza della posizione plotiniana, il difetto di umanità rispetto al Cristianesimo.

l'irradiazione delle cose dall'Uno

Non essendo intelligente né volente, l'Uno non può creare. Tuttavia tutto ciò che esiste deriva da lui: non, come dicevamo, per creazione, ma per irradiazione (perìlampsis). Si tratta di un processo necessario, e non libero, che Plotino paragona alla emanazione di odore da sostanze profumate, o di luce e calore dalla fiamma.

il Nous

La prima irradiazione dell'Uno è il Nous, che può venir tradotto sia con “Intelletto” sia con “Spirito”.

In questa seconda Ipostasi letteralmente “ciò che sta sotto”, si tratta dei tre livelli della realtà, lontanamente paragonabili alle Tre Persone della SS.Trinità si ha una prima forma di molteplicità, l'unità assoluta dell'Uno si comincia a frammentare. L'Intelletto infatti conosce l'Uno riverberandolo in una molteplicità di idee, e del resto la sua attività conoscitiva implica una distinzione tra soggetto e oggetto. è in sostanza il mondo intelligibile di Platone quello che Plotino vede racchiuso nell'Intelletto.

decisività della contemplazione

Da notare che ciò che sostiene nell'esistenza il Nous è proprio la contemplazione, che è conoscenza dell'Uno: non si tratta di un lusso, ma della fonte dello stesso essere.

Esistenzialmente ciò ha delle implicazioni importanti: ciò che vale per l'Intelletto vale, a maggior ragione per gli uomini, che sono chiamati appunti alla contemplazione come loro attività più nobile e di decisivo valore.

l'Anima e il mondo

Sempre per un processo di irradiazione attraverso il Nous promana la terza Ipostasi, l'Anima (Psyché). Questa si tripartisce tra un lato che si alimenta, contemplando, attraverso l'Intelletto, l'Uno, un secondo lato con cui l'Anima si autocontempla, e un terzo lato, volto, per così dire, verso il basso, con cui l'Anima permea la materia dando forma al mondo sensibile.

Sotto questo ultimo aspetto l'Anima è detta Anima Mundi. Il mondo è fatto dunque di anima e di materia. Quest'ultima rappresenta il livello più povero della gerarchia ontologica, il gradino più basso, di massimo depotenziamento dell'essere, al punto che confina col nulla: è un “quasi-nulla”, un “prope nihil”.

la materia e il male

Plotino ritiene (riprendendo un tema platonico) che la materia sia la radice del male, sia qualcosa di intrinsecamente cattivo, ma che il male (e qui vi è un debito verso il Cristianesimo) sia più una mancanza di essere che un essere positivo vero e proprio, infatti la materia è il grado di massimo impoverimento dell'essere.

è comunque prevalente la sottolineatura platonica: la materia, pur essendo prossima al nulla, non è il nulla, ma ha una qualche forma di realtà; dunque per Plotino, grecamente e non cristianamente, esiste una realtà cattiva.

il ritorno all'Uno

ἄφελε πάντα

Tutto dall'Uno procede, e all'Uno l'uomo, essere intelligente che partecipa del Nous e dell'Anima, desidera in qualche modo tornare, ripercorrendo a ritroso il cammino visto fin qui, risalendo la piramide ontologica dal gradino più basso, la materia, verso la sua sommità infinitamente perfetta.

L'uomo, in effetti, è essenzialmente la sua anima, che partecipa dell'Anima del mondo, e la sua stessa più bassa attività conoscitiva è un atto dell'anima. Anzi, poiché i corpi stessi sono un riflesso dell'intelligibile, la sensazione, che è attività spirituale, coglie dell'intelligibile (dentro il sensibile).

Ma la sensazione è solo il gradino più basso del cammino di ritorno all'Uno, che si basa poi soprattutto sulla riflessione filosofica: è la ragione filosofica che riconosce nell'Uno la sorgente prima di tutto, e la suprema Bellezza, che sola merita di essere ricercata per sè stessa.

Dunque si tratta anzitutto di coltivare la filosofia. A ciò peraltro deve affiancarsi un impegno pratico, cioè la coltivazione della virtù: non basta sapere che il vero Bene è l'Invisibile, se poi praticamente i nostri affetti e le nostre passioni sono polarizzati dal visibile; occorre perciò uno sforzo per liberarsi dall'attrattiva ingannevole della materia, come è sintetizzato nel consiglio riportato in esergo: àphele panta, cioè spogliati di tutto, solo così infatti uno si potrà poi riempire del Tutto, dell'Uno.

Al vertice di questo intreccio reciprocamente rimandante tra contemplazione razionale e azione (virtuosa) sta la suprema conoscenza possibile in questa vita, ossia la contemplazione metarazionale, immediata, dell'Uno, una sorta di esperienza mistica naturale, che Plotino stesso chiama estasi.

Si tratta di una conoscenza non discorsiva, ma immediata, e perciò non è possibile descriverla a parole: ostis eiden, oiden ò lego (chiunque ha visto, sa quello che dico), insomma solo vedendo si può capire. Non a caso l'Uno, che è infinito, può essere colto solo da una conoscenza non-concettuale: il concetto è commisurato al finito, l'infinito può solo essere esperito in una conoscenza sopradiscorsiva.

📖 Testi on-line

La vita dell'uomo divino è “fuga di solo a solo”

é questo il significato della famosa prescrizione dei misteri: “non divulgare nulla ai non iniziati”: proprio perché il Divino non dev'essere divulgato, fu proibito di manifestarlo ad altri, a meno che questi non abbia già avuto per se stesso la fortuna di contemplare.
Poiché, dunque, non erano due, [5] ma il veggente era una cosa sola con l'oggetto visto (“unito”, dunque, non “visto”), chi allora divenne tale quando si unì a Lui, se riuscisse a ricordare, possederebbe in sé un'immagine di Lui; egli però, in quel momento, era uno di per sé e non aveva in sé alcuna differenziazione né rispetto a se stesso né rispetto alle altre cose; non c'era in lui alcun movimento; [10] né collera né desiderio erano in lui, una volta salito a quell'altezza, e nemmeno c'era ragione o pensiero; non c'era nemmeno lui stesso, insomma, se proprio dobbiamo dir così. E invece, quasi rapito o ispirato, è entrato silenziosamente nella solitudine e in uno stato che non conosce turbamenti, e non si allontana più dall'essere di Lui, né [15] più si aggira intorno a se stesso, essendo ormai assolutamente fermo, identico alla stessa immobilità.

Egli ha trasceso ormai le stesse cose belle, anzi, ha trasceso il Bello stesso e il coro delle virtù: è simile ad uno che, entrato nell'interno del penetrale, abbia lasciato dietro di sé le statue collocate nel tempio, quelle statue che, quando egli uscirà nuovamente dal penetrale, gli si faranno avanti [20] per prime, dopo aver avuto l'intima visione e dopo essersi unito non con una statua, con una immagine, ma con Lui stesso: quelle statue che sono, dunque, di secondo ordine.

Quella però non fu una vera visione, ma una visione ben diversa, un'estasi, una semplificazione, una dedizione di sé, brama di contatto, quiete e studio [25] di adattamento; solo così si può vedere ciò che v'è nel penetrale; ma se si guarda in altra maniera, tutto scompare.

Tutto ciò è soltanto un'immagine, un modo allusivo, di cui si servono i profeti sapienti per indicare come il Dio supremo va contemplato; ma un saggio sacerdote che comprenda l'allusione, può giungere alla vera visione solo che entri all'interno del penetrale. [30] Anche se non vi entra, cioè se pensa che questo penetrale sia qualcosa di invisibile, la sorgente e il Principio, egli sa tuttavia che solo il Principio vede il Principio e che solo il simile si unisce al simile; e non trascurerà alcuno degli elementi divini che la sua anima è capace di contenere, già prima della visione; e il resto, poi, lo esigerà dalla visione stessa; [35] ma il resto, per chi ha trasceso tutto, è Colui che è prima di tutte le cose.

L'anima, infatti, non può mai arrivare al non-essere assoluto; se scende in basso, scende al male, e cioè verso il non-essere, ma non al non-essere assoluto; invece, se corre sulla via opposta, giunge non ad un altro ma a se stessa; e così, poiché non è in un altro, [40] non può essere in nulla ma solo in se stessa; “ma essere in sé sola e non nell'essere”, vuol dire “in Lui”; e il contemplante diventa non essenza, ma “al di là dell'essenza”, poiché si unisce a Lui.

Se uno si vede già trasformato in Lui, egli possiede dunque in sé un'immagine di Lui e se passa da sé, che è copia, [45] all'originale, ha toccato finalmente il termine del suo viaggio. Ma se decade dalla contemplazione, egli può risvegliare la virtù che è in lui e, meditando sul suo ordine interiore, ritroverà la sua leggerezza e salirà all'Intelligenza sulla via della virtù e, mediante la saggezza, a Lui.

Questa è la vita degli dei e degli uomini divini e beati: [50] distacco dalle restanti cose di quaggiù, vita che non si compiace più delle cose terrene, fuga di solo a solo.

Per un giudizio

Plotino rappresenta la documentazione di una classicità “pagana”, che deve fare i conti con il Cristianesimo. E che è grande nella misura in cui ne accetta gli stimoli positivi (finalmente viene recepita la verità che il divino è Infinito), ma mostra tutti i suoi limiti nelle ancora molte chiusure: il Vertice della realtà non è un Tu, e il destino ultraterreno dell'uomo non è soddisfacentemente chiarito.