un ritratto di Nietzsche

La morale e la religione

secondo Nietzsche

icona per espandere il menu interno

la morale

Per Nietzsche la morale non è qualcosa di assoluto, una legge che scende dal cielo, da Dio:

dove voi vedete cose ideali
io vedo cose umane, ahi troppo umane.

Essa è piuttosto proiezione di interessi e dinamismi umani, particolari. Perciò la coscienza, lungi dall'essere la voce di Dio nel petto dell'uomo è, più prosaicamente, la voce di alcuni uomini nell'uomo. Non vi è dunque nei valori morali un contenuto assoluto, trascendente, ma solo il riverbero di interessi e di tendenze relative e terrene, essi sono il risultato di determinate prospettive di utilità per il mantenimento e il rafforzamento delle forme di dominio umano.

La morale, in tal senso, è stata originariamente espressione dei forti, che si autoaffermavano senza scrupoli, è stata cioè morale dei signori, i cui valori erano i valori vitali: la fierezza, la salute, la forza, la gioia. I signori dominavano gli altri esseri umani senza provarne alcun senso di colpa, ben contenti di tale dominio.

A un certo punto però si è prodotto un rovesciamento dei valori: i valori dei signori sono stati visti come antivalori e si sono affermati i valori degli schiavi: il disinteresse, la carità, il perdono, l'abnegazione. Nietzsche indica nel risentimento l'origine di tali valori, della morale dei deboli, dei malati, degli sconfitti, risentiti contro la vita. Il risentimento è un autoavvelenamento dell'animo che si produce in chi, debole e vile, non sa reagire adeguatamente, affidandosi alla sua vitalità spontanea e aggressiva, alle sfide del contesto. In tal modo alla lunga egli si convince che il suo comportamento, frutto in realtà di debolezza e viltà, sia l'unico ad essere virtuoso: ed eleva così il valore del perdono e della remissività a valori supremi. Gettando disorientamento e confusione nella società tutta.

I primi ad affermare i valori degli schiavi sono stati gli Ebrei, che Nietzsche descrive come un popolo animato dall'odio dell'impotenza, dall'odio contro la vita, per cui solo i deboli, i poveri sono i buoni, i devoti. Il Cristianesimo ne ha poi preso il testimone, approfondendo il risentimento ebraico e producendo un tipo umano autotormentato, pieno di sensi di colpa, arrabbiato contro la vita.

la religione e la morte di Dio

«O, Komm zurück,
Mein unbekannter Gott!»

Quello di Nietzsche è un ateismo radicale. Dio in effetti è l'emblema di ogni prospettiva che colloca il valore della realtà oltre la vita (presente), Dio è perciò la negazione della vita e la quintessenza di quelle certezze trascendenti, che appunto tendono a negare valore alla vita nel suo immediato darsi.

Non si può propriamente dare una prova della non-esistenza di Dio, ma si può evidenziare come sia nata l'idea di Dio (metodo genealogico, già impiegato nella interpretazione della morale): essa è stata creata come rassicurante rimedio al caos e alla contraddizione che caratterizzano la realtà. L'uomo, non potendo sopportare la contraddizione, la crudeltà, la disarmonia del mondo, si sarebbe inventato un Dio provvidente e buono, che assicura che il mondo sia armonico e buono, razionale. Quella di Dio è dunque una bugia consolatoria, la nostra più lunga menzogna, frutto della paura davanti alla cruda verità della realtà: non esiste nessuna Provvidenza, nessuna rassicurante certezza di una qualche garantita bontà del reale.

è vero comunque che Nietzsche ha una segreta, profonda nostalgia dell'Assoluto, come testimoniano questi versi:

«All meine Tränenbäche laufen zu Dir den Lauf!
Und meine letzte Herzensflamme -
Dir glüht sie auf!
O, Komm zurück,
Mein unbekannter Gott!
Mein Schmerz! mein letztes Glück!
»

(F. Nietzsche, Dionysos - Dithyramben)

Ciò non toglie che il suo sia il più radicale ateismo della storia della filosofia. Per lui infatti Dio in quanto tale si oppone all'uomo: deve morire, affinché l'uomo viva.

Avete sentito di quell'uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”? - E poiché proprio là si trovano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “Si è forse perduto?” disse uno. “Si è smarrito come un bambino”? fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? E' emigrato?” gridavano e ridevano in una gran confusione. L'uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n'è andato Dio?” gridò “ve lo voglio dire! L'abbiamo ucciso - voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! [...] Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso”.

Schiele, agonia (part):
l'esito esistenziale del nichilismo nietzschiano è un pessimismo disperato

Dire che noi siamo gli assassini di Dio accentua il carattere volontaristico dell'ateismo: non si tratta di prendere atto che Dio non esiste, o di dimostrarne la non-esistenza (ciò è intrinsecamente impossibile e N. non tenta nemmeno una tale strada), quanto piuttosto di volere che Dio non esista, affinché possa esistere l'uomo, o meglio il Superuomo (l'uomo come superuomo, ossia come “dio” egli stesso). Si tratta allora di una impresa titanica: “non è affare di poco”.

Perciò Nietzsche si schiera contro gli atei volgari (i ridanciani) che non si rendono conto della posta in gioco, e credono che sia facile "sbarazzarsi" di Dio. Mentre si tratta di un'opera immane, da far tremare le vene ai polsi:

«Come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare, bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per cancellare l'intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare?
Con che acqua potremo lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande per noi la grandezza di questa azione?»
(La Gaia scienza, fr.125)

interpretazioni della morte di Dio

  • Secondo alcuni, tra i quali Vattimo, si tratterebbe di una presa d'atto storica;
  • secondo altri, tra i quali Abbagnano, si tratta invece di una tesi metafisica.

interpretazioni del nichilismo

  • Alcuni pretendono che la negazione di un Assoluto non significhi negare ogni valore;
  • ma altri interpreti, più avvedutamente, ritengono che, al di là delle intenzioni, forse, di N,, negare i valori assoluti, propri del Cristianesimo e della religione, significa negare ogni valore. La tragica conclusione nella pazzia della parabola filosofica di N. è in tal senso significativa.

📂 In questa sezione