Parmenide

Parmenide

l'inesorabile solidità del reale

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pensiero

  1. Bisogna seguire non i sensi, ma il pensiero, per giungere alla verità;
  2. e il pensiero ci attesta l'essere, che l'essere è, e il non-essere non è;

    Ci sono infatti due vie:

    • quella giusta dice: ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι
    • quella sbagliata dice invece: ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι
  3. se il non-essere non è, nemmeno può essere ciò che dal non-essere è composto;
  4. il divenire e la molteplicità sono composti di essere e di non-essere (infatti divenire significa non-essere più quello che si era, ed essere quello che non si era; e le molte cose sono molte appunto perché ognuna non è le altre)
  5. dunque il divenire e la molteplicità non sono (non sono reali)
  6. dunque i sensi che ci attestano il divenire e la molteplicità ci ingannano.
  7. Tuttavia una certa qual forma di realtà Parmenide la riconosce anche al mondo sensibile (diveniente e molteplice);
  8. ma la vera realtà è l'essere, uno, eterno, ingenerato, incorruttibile, immutabile.

per esistenzializzare

La poesia di Leopardi che citiamo qui sotto documenta il carattere non astratto del problema a cui la riflessione di Parmenide accenna: ora siamo, tra breve (almeno apparentemente) non saremo. E il non-essere fa problema, se siamo semplici come lo sono i bambini, il non essere fa problema. Non lo fa solo a chi si creda e finga astuto, ma di una falsa, ingannevole, satanica astuzia.

SOPRA IL RITRATTO DI UNA BELLA DONNA
SCOLPITO NEL MONUMENTO SEPOLCRALE
DELLA MEDESIMA


Tal fosti: or qui sotterra
Polve e scheletro sei. Su l'ossa e il fango
Immobilmente collocato invano,
Muto, mirando dell'etadi il volo,
Sta, di memoria solo
E di dolor custode, il simulacro
Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo,
Che tremar fe', se, come or sembra, immoto
In altrui s'affisò; quel labbro, ond'alto
Par, come d'urna piena,
Traboccare il piacer; quel collo, cinto
Già di desio; quell'amorosa mano,
Che spesso, ove fu porta,
Sentì gelida far la man che strinse;
E il seno, onde la gente
Visibilmente di pallor si tinse,
Furo alcun tempo: or fango
Ed ossa sei: la vista
Vituperosa e trista un sasso asconde.
Così riduce il fato
Qual sembianza fra noi parve più viva
Immagine del ciel. Misterio eterno
Dell'esser nostro. Oggi d'eccelsi, immensi
Pensieri e sensi inenarrabil fonte,
Beltà grandeggia, e pare,
Quale splendor vibrato
Da natura immortal su queste arene,
Di sovrumani fati,
Di fortunati regni e d'aurei mondi
Segno e sicura spene
Dare al mortale stato:
Diman, per lieve forza,
Sozzo a vedere, abominoso, abbietto
Divien quel che fu dianzi
Quasi angelico aspetto,
E dalle menti insieme
Quel che da lui moveva
Ammirabil concetto, si dilegua.
Desiderii infiniti
E visioni altere
Crea nel vago pensiere,
Per natural virtù, dotto concento;
Onde per mar delizioso, arcano
Erra lo spirto umano,
Quasi come a diporto
Ardito notator per l'Oceano:
Ma se un discorde accento
Fere l'orecchio, in nulla
Torna quel paradiso in un momento.
Natura umana, or come,
Se frale in tutto e vile,
Se polve ed ombra sei, tant'alto senti?
Se in parte anco gentile,
Come i più degni tuoi moti e pensieri
Son così di leggeri
Da sì basse cagioni e desti e spenti?

il discepolo, Zenone di Elea

vedi scheda su Zenone

Per un giudizio

  • Parmenide è il primo a riconoscere con nettezza una dimensione fondamentale della realtà:
    • in termini scientifici il principio di identità / non contraddizione
    • in termini esistenziali, la permanenza di una struttura intelligibile e, potremmo dire, di una bellezza/bontà del reale: la realtà è solida, non affonda, non si sbriciola, nè lo potrebbe. Su tutto domina ciò che resta, e ciò è bello.
      Senza sapere come, Parmenide intravvede che dietro tutto ciò che cambia, più forte di tutto ciò che cambia, c'è qualcosa che resta, l'Eterno.
  • Il limite del suo pensiero è di affermare in modo unilaterale la permanenza dell'essere, il che lo porta a concepire un Eterno non distinto dal mondo (immanente), e concepito come finito.

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