Parmenide
l'inesorabile solidità del reale
pensiero
- Bisogna seguire non i sensi, ma il pensiero, per giungere alla verità;
- e il pensiero ci attesta l'essere, che l'essere è, e il non-essere non è;
Ci sono infatti due vie:
- quella giusta dice:
ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι
- quella sbagliata dice invece:
ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι
- quella giusta dice:
- se il non-essere non è, nemmeno può essere ciò che dal non-essere è composto;
- il divenire e la molteplicità sono composti di essere e di non-essere (infatti divenire significa non-essere più quello che si era, ed essere quello che non si era; e le molte cose sono molte appunto perché ognuna non è le altre)
- dunque il divenire e la molteplicità non sono (non sono reali)
- dunque i sensi che ci attestano il divenire e la molteplicità ci ingannano.
- Tuttavia una certa qual forma di realtà Parmenide la riconosce anche al mondo sensibile (diveniente e molteplice);
- ma la vera realtà è l'essere, uno, eterno, ingenerato, incorruttibile, immutabile.
per esistenzializzare
La poesia di Leopardi che citiamo qui sotto documenta il carattere non astratto del problema a cui la riflessione di Parmenide accenna: ora siamo, tra breve (almeno apparentemente) non saremo. E il non-essere fa problema, se siamo semplici come lo sono i bambini, il non essere fa problema. Non lo fa solo a chi si creda e finga astuto, ma di una falsa, ingannevole, satanica astuzia.
SOPRA IL RITRATTO DI UNA BELLA DONNA SCOLPITO NEL MONUMENTO SEPOLCRALE DELLA MEDESIMA Tal fosti: or qui sotterra Polve e scheletro sei. Su l'ossa e il fango Immobilmente collocato invano, Muto, mirando dell'etadi il volo, Sta, di memoria solo E di dolor custode, il simulacro Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo, Che tremar fe', se, come or sembra, immoto In altrui s'affisò; quel labbro, ond'alto Par, come d'urna piena, Traboccare il piacer; quel collo, cinto Già di desio; quell'amorosa mano, Che spesso, ove fu porta, Sentì gelida far la man che strinse; E il seno, onde la gente Visibilmente di pallor si tinse, Furo alcun tempo: or fango Ed ossa sei: la vista Vituperosa e trista un sasso asconde. Così riduce il fato Qual sembianza fra noi parve più viva Immagine del ciel. Misterio eterno Dell'esser nostro. Oggi d'eccelsi, immensi Pensieri e sensi inenarrabil fonte, Beltà grandeggia, e pare, Quale splendor vibrato Da natura immortal su queste arene, Di sovrumani fati, Di fortunati regni e d'aurei mondi Segno e sicura spene Dare al mortale stato: Diman, per lieve forza, Sozzo a vedere, abominoso, abbietto Divien quel che fu dianzi Quasi angelico aspetto, E dalle menti insieme Quel che da lui moveva Ammirabil concetto, si dilegua. Desiderii infiniti E visioni altere Crea nel vago pensiere, Per natural virtù, dotto concento; Onde per mar delizioso, arcano Erra lo spirto umano, Quasi come a diporto Ardito notator per l'Oceano: Ma se un discorde accento Fere l'orecchio, in nulla Torna quel paradiso in un momento. Natura umana, or come, Se frale in tutto e vile, Se polve ed ombra sei, tant'alto senti? Se in parte anco gentile, Come i più degni tuoi moti e pensieri Son così di leggeri Da sì basse cagioni e desti e spenti?
il discepolo, Zenone di Elea
⚖ Per un giudizio
- Parmenide è il primo a riconoscere con nettezza una dimensione fondamentale della realtà:
- in termini scientifici il principio di identità / non contraddizione
- in termini esistenziali, la permanenza di una struttura intelligibile e, potremmo dire, di una bellezza/bontà del reale: la realtà è solida, non affonda, non si sbriciola, nè lo potrebbe. Su tutto domina ciò che resta, e ciò è bello.
Senza sapere come, Parmenide intravvede che dietro tutto ciò che cambia, più forte di tutto ciò che cambia, c'è qualcosa che resta, l'Eterno.
- Il limite del suo pensiero è di affermare in modo unilaterale la permanenza dell'essere, il che lo porta a concepire un Eterno non distinto dal mondo (immanente), e concepito come finito.
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L'essere di Parmenide