la filosofia analitica
una filosofia modellata sulla scienza
che cosa è
L'espressione filosofia analitica, più che una vera e propria corrente, indica uno stile, un metodo comune, che si è andato imponendo nel mondo filosofico anglosassone del XX secolo, le cui linee portanti sono
- il rigetto della pretesa di generalizzazioni totalizzanti, tipiche delle filosofie “continentali”, che ricorrono a concetti confusi ed ambigui;
- la ricerca di una riflessione che analizzi nel modo più chiaro quanto inevitabilmente gli esseri umani pensano, come documentato dal loro linguaggio;
- la centralità della analisi del linguaggio implica la centralità della logica: questa, da branca secondaria (logica “minor”), diventa l'architrave della filosofia, anzi in un certo senso diventa la filosofia;
- la tendenza a fare della ricerca filosofica un lavoro cumulativo e collaborativo, ad immagine del lavoro scientifico, opera di una comunità di ricercatori, che tiene conto dei contributi di chiunque partecipi all'impresa della ricerca;
La filosofia analitica si propone essenzialmente dunque come analisi, analisi del linguaggio, non solo del linguaggio scientifico, come proponeva il neoempirismo logico, ma del linguaggio quotidiano, ordinario.
Si è parlato a questo proposito di una svolta linguistica, un linguistic turn; già Kant aveva proposto che la filosofia invece che analizzare l'essere, il reale extramentale, fonte di interminabili problemi e di inconcludenti diatribe, analizzasse le categorie logiche del pensiero umano (non più occupandosi di come stiano le cose, “in sè”, ma di come noi, inevitabilmente, le conosciamo, in base alla nostra struttura soggettiva); la filosofia analitica in un certo senso spinge oltre il progetto kantiano, da un lato ancora troppo ambizioso e dall'altro vago e discutibile: non si tratta di analizzare presunte categorie logiche radicate in una soggettività trascendentale (che è comunque un elemento ontologico), ma, in modo al contempo più modesto e più incontestabile (perché al di qua da ogni pretesa di definire l'ontologia) le modalità del nostro effettivo pensare, quali sono inequivocamente testimoniate dal nostro modo effettivo di parlare.
coordinate spazio-temporali
La filosofia analitica inizia propriamente in Inghilterra, all'università di Cambridge (il Trinity College), nei primi decenni del '900, grazie all'insegnamento di Moore, Russell e del “secondo” Wittgenstein, e si diffonde poi anche all'università di Oxford, e poi negli Stati Uniti (specie dagli anni della Seconda Guerra Mondiale) e in altri paesi anglofoni (come Australia e Canada).
Tematiche trattate dalla filosofia analitica
l'intersoggettività
è un tema sviluppato soprattutto da Davidson, che ritiene fondamentale il principio di carità: non saremmo in grado di interpretare il linguaggio del prossimo se non gli attribuissimo la capacità di discernere il vero. Perciò l'idea di una incommensurabilità fra linguaggi, o una fondamentale discrepanza tra i nostri schemi mentali e quelli di un altro, viene dichiarata priva di senso.
è vero, da un lato che non esistono lingue, intese come complessi di lemmi e di regole esattamente identiche per un numero molto elevato di individui, quelli che parlano quella lingua: in realtà ognuno parla un suo “idioletto”; d'altro lato, tuttavia, abbiamo la capacità di aggirare le storture che ognuno inserisce nella comunicazione linguistica, grazie appunto al principio di carità, cogliendo il senso che ha inteso comunicarci. Il linguaggio infatti è essenzialmente intersoggettivo e comunicativo
Non esiste conoscenza senza pensiero, e non esiste pensiero senza intersoggettività.
l'intenzionalità
Questo tema, implicitamente trattato per primo da Aristotele, ed espressamente svolto dalla Scolastica, per essere poi ripreso da Brentano e Husserl nel '900, è stato fatto oggetto di ricerca da diversi analitici, tra cui soprattutto Searle, Putnam, Anscombe, Dennett.
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⚖ Per un giudizio
Dell'impostazione analitica è senz'altro apprezzabile lo spirito collaborativo, l'idea di una grande impresa comune, in cui lo sforzo di ogni partecipante non va perso ma viene a contribuire a un'opera che progressivamente si perfeziona. Troppo spesso però gli analitici trascurano chi non appartiene alla loro stessa impostazione (emblematica è la dimenticanza del pensiero di Maritain relativo all'intenzionalità, da lui pur ampiamente e acutamente trattata).
La volontà di chiarire il linguaggio e di eliminarne il più possibile la componente di ambiguità è pure apprezzabile, purché condotta con discernimento: esiste nel linguaggio una inevitabile componente di allusività, e in qualche modo di poeticità: la bellezza (non riducibile alla logica), come ha teologicamente sostenuto von Balthasar, ha una insostituibile rilevanza in ciò che riguarda il senso ultimo della realtà.
Così come occorre non trascurare le componente dell'affettività, così ben sottolineata da Blondel: le verità relative al senso ultimo non possono essere (solo) freddamente analizzate, ma richiedono una adesione simpatetica, che solo la libertà, in ultima analisi, può fornire.
Occorre poi chiarire che l'aspirazione ineliminabile dell'animo umano è alla verità, che non è «ciò che inevitabilmente pensiamo», ma «ciò che davvero esiste». In questo senso ci sembra inaccettabile l'eliminazione della metafisica e la riduzione della filosofia a (riflessione sulla) scienza.