La filosofia dell'Ottocento
Una ebbrezza antropocentrica
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L'uomo come infinito
Nell'Ottocento gran parte del pensiero filosofico sostituisce alla metafisica una progettualità umana, il progetto dell'uomo, un Uomo che ormai si crede dotato di poteri divini, crede di essere creatore della realtà.
Questo è quello che pensa, anzitutto, l'idealismo. I tre grandi idealisti sono Fichte (il primo a teorizzarlo), Schelling, e soprattutto Hegel, che a differenza degli altri due resterà idealista fino alla fine (della sua vita) e trasmetterà l'idea di un potere creatore dell'uomo al suo (solo in parte infedele) discepolo, Marx.
Karl Marx, com'è noto, ha formulato un progetto di riplasmazione totale della società, con effetti storici che non dovrebbero aver bisogno di essere sottolineati. Anche lui, quindi, ha pensato all'Uomo come divino.
Ma un potere divino lo attribuì all'Uomo anche Comte e in generale, la stragrande maggioranza dei filosofi positivisti, ad eccezione di quelli inglesi.
... o forse no
Si fanno però strada, a un certo punto, delle critiche a tale pretesa infinità dell'uomo:
- come con Kierkegaard
- o con Schopenhauer,
Questi pensatori avvertono come menzognera la pretesa che l'Uomo sia divino, e mettono invece in risalto la precarietà e la drammaticità della vita umana, che è per loro innanzitutto vita del singolo individuo, e non, come pensavano Hegel, Marx e Comte, vita collettiva, vita di una società in cui l'individuo si perderebbe come una goccia nell'oceano.