Il rapimento di Pio XII

Catturatelo! Ordine del Fuhrer

I progetti nazisti di occupazione del Vaticano e di deportazione del Papa alla luce di nuove testimonianze.
Per qualche mese il pericolo è reale

 

Qui mange du pape en meurt. Il detto nacque in Francia quando Napoleone, sacrilego rapitore di papa Pio VI che poi morì nelle sue mani, cadde in disgrazia. Ma né la fatale premonizione, né la scomunica comminata automaticamente a chi attenta al Papa ed alla Santa Sede intimorirono particolarmente, più di un secolo dopo, un altro potente di questo mondo: Adolf Hitler. Che cosa sappiamo oggi circa gli effettivi pericoli (uccisione, rapimento, deportazione) corsi da Pio XII durante la seconda guerra mondiale? La documentazione disponibile non consente di trarre conclusioni perentorie; insomma, piani dettagliati di evacuazione del Papa da Roma da parte dei nazisti non sono finora stati rinvenuti. E c'è da credere che difficilmente ciò accadrà in futuro. Cionondimeno esiste una serie di testimonianze, sia di parte nazista che di parte vaticana, che inducono a ritenere che davvero Adolf Hitler avesse partorito l'idea di violare il Vaticano e prendere in ostaggio, o "sotto protezione", il Papa.

3OGiorni è in grado di esibirne una, finora sconosciuta in Italia. Ma andiamo con ordine. Il merito di aver indagato l'argomento va principalmente allo storico gesuita statunitense Robert Graham, che in due articoli pubblicati nel 1972 su La Civiltà Cattolica (“Voleva Hitler allontanare da Roma Pio XII?”) affrontò per primo l'argomento. Tale iniziativa ebbe il merito oltre ad essere il primo serio esame comparato delle numerose ma frammentarie testimonianze emerse dall'abbondante memorialistica postbellica di indurre uno degli ultimi testimoni viventi a parlare. Si trattava del generale Karl Otto Wolff (19001984), fiduciario di Himmler, dal 1943 al 1945 capo delle SS e della polizia in Italia, unica personalità della alta nomenklatura nazista ad essere segretamente ricevuta dal Papa (10 maggio 1944), nonché interlocutore degli Alleati nel siglare la resa tedesca in Italia all'insaputa di Berlino. Costui, qualche mese dopo gli articoli di Granarti, dichiarò pubblicamente che Hitler gli aveva conferito l'ordine di invadere il Vaticano e deportare il Papa. Le cose sarebbero andate così.

L'8 settembre 1943 il maresciallo Badoglio aveva concluso con gli Alleati l'armistizio, mandando su tutte le furie Hitler, già molto inquieto per la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943. L'I 1 o il 12 settembre 1943 Wolff, appena nominato capo della polizia e delle SS in Italia, venne convocato al quartier generale tedesco nella Prussia orientale. Lì lo attendeva Heinrich Himmler, capo della polizia nazista, che lo informò degli accessi d'ira del Fuhrer per il voltafaccia degli italiani e dei suoi propositi di vendetta nei confronti della Casa Reale e del Vaticano, da lui sospettati di aver tramato. Himmler chiese a Wolff, nell'eventualità di un'occupazione del Vaticano, di sottrarre per lui dagli archivi le prove della “cristianizzazione violenta” della Germania; il capo della Gestapo immaginava che il Vaticano conservasse gelosamente come bottino le scritture runiche della mitologia pagana precristiana. Il successore designato di Hitler, Hermann Goering, noto per la sua inestinguibile avidità di opere d'arte, voleva invece mettere le mani sui tesori vaticani (“specialmente le statue di Michelangelo” precisò).

Poi venne il turno di Hitler, il quale disse a Wolff, secondo la ricostruzione di quest'ultimo resa al tribunale ecclesiastico riunito per il processo di beatificazione di Pio XII: “Desidero che lei, nel quadro delle reazioni tedesche contro questo inaudito "tradimento Badoglio" , occupi, il più presto possibile, il Vaticano e la Città del Vaticano; metta al sicuro gli archivi ed i tesori d'arte che hanno un valore unico al mondo, e trasferisca al Nord papa Pio XII, insieme alla curia, "per sua protezione", affinché egli non possa cadere nelle mani degli Alleati e subire le loro pressioni e l'influenza politica. Secondo gli sviluppi politici e militari farò sistemare il Papa possibilmente in Germania o nel neutrale Liechtenstein. Quanto tempo le occorre per poter eseguire questa operazione il più presto possibile?”. Wolff, che non aveva alcuna voglia di compiere un'azione che avrebbe macchiato il suo nome nella posterità, tentò di guadagnare tempo prospettando al Führer le difficoltà logistiche dell'impresa. Hitler accettò il punto di vista ma chiese di avere aggiornamenti periodici sui preparativi.

All'inizio di dicembre Wolff non poteva più continuare con la sua tattica dilatoria e presentò il suo piano "napoleonico" ad Hitler: gli servivano duemila uomini da far venire appositamente dalla Germania per circondare il Vaticano ed eseguire il blitz, uno staff di professori tedeschi in grado di discernere rapidamente le cose di maggior valore tra i documenti e gli oggetti d'arte da trafugare, ed una squadra di ufficiali sudtirolesi in grado di tradurre all'istante dal tedesco all’italiano e viceversa. Inoltre servivano camion ed autobus per organizzare il trasporto del Papa, del suo entourage, dei numerosi rifugiati politici nascosti in Vaticano, di centomila quadri e di centinaia di casse di documenti. Wolff decise però a questo punto di affrontare direttamente con Hitler la questione dell'inopportunità di tale azione e usò un realistico argomento per dissuadere il suo capo: un atto contro il Vaticano ed il Papa, ultimo punto di riferimento rimasto in un'Italia allo sbando, avrebbe provocato una vera e propria rivolta di popolo, per domare la quale sarebbero occorse molte forze. Per non parlare, poi, delle reazioni dei cattolici tedeschi e nel mondo. Viceversa un rapporto non conflittuale con la Santa Sede sarebbe stato utile ad entrambi, garantiva Wolff. “Va bene, Wolff avrebbe concluso sorprendentemente Hitler, facendo tirare un sospiro di sollievo al gerarca nazista faccia ciò che lei ritiene opportuno come esperto della questione italiana, ma non dimentichi che dovrò ritenerla responsabile, qualora lei non potesse realizzare la sua promessa "garanzia" ottimistica. Buona fortuna, Wolff”.

Naturalmente sulla straordinaria testimonianza di Wolff gravano dei dubbi. Perché non ha parlato prima, quando maggiori erano le possibilità di avere conferme da altri testimoni viventi? Inoltre, qualcuno ha recisamente smentito le affermazioni di Wolff. Per esempio, un altro nazista "eccellente" sulla scena italiana dell'epoca, Eugen Dollmann (19001985), anch'egli uomo di fiducia di Himmler, nonché interprete di Hitler in Italia e ufficiale di collegamento tra Wolff e Kesselring. Dollmann asserì di non aver mai sentito alcunché riguardo ad un simile ordine di Hitler e ciò basterebbe a provarne l'inesistenza. Si sarebbe trattato piuttosto di manie del fanatico anticattolico Bormann, le quali però non avrebbero mai raggiunto una fase progettuale vera e propria. Anche il diplomatico tedesco Eitel Friedrich von Moellhausen, console del Terzo Reich a Roma durante la guerra, ha nettamente respinto le "rivelazioni" di Wolff, mettendo in dubbio l'autenticità, o quanto meno la fedeltà, della ricostruzione dei colloqui tra Wolff e Hitler.

Non c'è dunque nulla che possa "supportare" la tesi di Wolff di un vero e proprio Fùhrerbefehl, poi rientrato? Ebbene, qualche elemento sussiste. Sono le testimonianze di due personaggi alquanto diversi per ruolo e per punto di osservazione. La prima è quella dell'ambasciatore tedesco presso lo Stato italiano Rudolf Rahn, testimonianza inedita in Italia e che, per la sua importanza, pubblichiamo integralmente a pag. 65. In sintesi, Rahn è il primo a confermare l'esistenza dell'esplicito ordine di Hitler a Wolff.

Il secondo teste a favore di Wolff si chiama Franz Spoegler, nel 1943 Oberstuermfuehrer (tenente) delle Waffen SS; costui era all'epoca ufficiale di collegamento tra Mussolini con la sua scricchiolante Repubblica di Salò da una parte e l'ambasciatore Rahn e il generale Wolff dall'altra. Spoegler ha raccontato (cfr. Alto Adige, 2 e 3 giugno 1973) che l'atteggiamento temporeggiatore di Wolff rispetto all'Aktion Papst aveva suscitato dei sospetti nelle alte sfere naziste e che Himmler aveva deciso di far spiare Wolff per scoprire se dietro le sue tergiversazioni si nascondesse del sabotaggio. Fu scelto a tale scopo un capitano delle SS di nome Weisse che si recò in Italia e individuò in Spoegler, allora intercettatore telefonico a Verona, quartier generale nazista in Italia, la persona adatta. Weisse faticò non poco a convincere che l'uomo da sorvegliare era nientemeno che Wolff, numero uno in Italia; è proprio in tale contesto che Weisse gli confidò che “il Fiihrer doveva prendere sotto la sua protezione il Papa e i cardinali”. “Innanzitutto spiegò Weisse, cui probabilmente Himmler aveva parlato dell'insano progetto, all'incredulo Spoegler agli occhi del mondo apparirà che Pio XII ha scelto liberamente la sede provvisoria del Liechtenstein, per allontanarsi dal teatro della guerra. E poi lei pensa che russi, americani od inglesi tollererebbero all'interno delle zone da loro controllate l'esistenza palese ed indisturbata di un covo di cospirazione?”. Qualche tempo dopo, verso il dicembre 1943 cioè proprio quando Wolff era riuscito a far recedere Hitler dal suo pazzesco progetto Spoegler ricorda di aver intercettato una telefonata fra Wolff ed un colonnello delle SS in cui quest'ultimo disse: “Meno male che quella brutta faccenda di Roma è rientrata”. Spoegler non comunicò a Berlino il compromettente colloquio. Wolff e Spoegler si incontrarono dopo la guerra ed il generale confidò all'ex tenente sudtirolese che sapeva di essere sotto controllo e che aveva tremato non poco quando l'incauto colonnello si era espresso in quei termini.

Fino ad oggi quelle di Rahn e di Spoegler sono le uniche conferme, entrambe peraltro non dirette e totali, del Fiihrerbefehl impartito a Wolff.

aspettando il blitz

Molte circostanze provano che il Vaticano si preparava al peggio. Un articolo de La Civiltà Cattolica

Che atmosfera regnava in Vaticano, soprattutto durante i mesi dell'occupazione nazista di Roma? Si credeva veramente al pericolo di un ratto del Papa da parte di Hitler? Sono molte le circostanze dalle quali si evince che la Santa Sede, provvista di canali informativi privilegiati, considerava la situazione allarmante al punto da dover assumere delle contromisure.

Preoccupazioni erano sorte già nel 1941, quando in un incontro tra i due ministri degli Esteri dell'Asse, von Ribbentrop e Ciano, da parte tedesca si era sostenuto che “nella nuova Europa non dovrebbe esservi posto per il papato”. L'8 maggio dello stesso anno, in Vaticano vennero discusse le misure per conferire poteri speciali ai Nunzi pontifici, nel caso che la Santa Sede fosse impedita nelle comunicazioni. L'8 giugno un ufficiale tedesco, il conte von Kageneck, di stanza a Roma, fece sapere che a Berlino si preparavano piani contro la Santa Sede. Da allora ci fu un crescendo di voci, culminato nel periodo dell'occupazione nazista di Roma dopo l'armistizio di Badoglio (8 settembre 1943). “Dare ordini alla Guardia Svizzera che in ogni evenienza non faccia uso di armi da fuoco” si, legge in una eloquente nota del 9 settembre di monsignor Montini, Sostituto della Segreteria di Stato. Nel 1963 il cardinale Egidio Vagnozzi rivelò al New York Times che agli officiali della Segreteria di Stato era stato impartito l'ordine di tenere le valigie pronte per casi di emergenza.

Esistono inoltre varie testimonianze (Cesidio Lolli, giornalista de L'Osservatore Romano, il cardinale Mario Nasali! Rocca di Corneliano, prelato domestico di Sua Santità, monsignor Alberto Arborio Mella di Sant'Elia, maestro di Camera del Papa) che convergono nella descrizione dell'atteggiamento di papa Pacelli. Secondo loro Pio XII era perfettamente al corrente dei pericoli di rapimento che incombevano su di lui, ma era fermamente convinto che il suo posto fosse a Roma e più volte dichiarò esplicitamente che non avrebbe abbandonato la Città Eterna.

Tuttavia l'entourage del Papa si preoccupò di approntare anche delle vie di fuga. Tempo fa l'ingegnere Lamberto Stoppa, allora direttore dei servizi tecnici del Vaticano, confidò a 30GIORNI che suor Pascalina Lehnert, l'influentissima religiosa al servizio di Pio XII, lo aveva incaricato di scavare un tunnel di collegamento tra il Palazzo dei Convertendi, su via della Conciliazione, ed il Corridoio di Borgo. Infatti il passaggio venne costruito ed esiste ancora oggi.

Un ulteriore segno dell'atmosfera di tensione che si respirava nei Sacri Palazzi si trova in un articolo pubblicato su La Civiltà Cattolica nell'aprile 1944. In esso l'autore, il padre M. Scaduto, parlava delle misure adottate da Leone XIII quando questi pensò seriamente di abbandonare il Vaticano per sottrarsi alle soperchierie dello Stato italiano. Infatti papa Pecci emanò nel 1882 delle misure segrete che a) attribuivano al Vicegerente ampie facoltà, estese al caso di Sede vacante e suddelegabili; b) provvidenze di indole generale per il governo della Chiesa universale per il caso in cui il Papa, prigioniero di " un governo anticlericale, fosse impedito di comunicare con la Chiesa; e) disposizioni che consentivano una sollecita e canonica elezione del Sommo Pontefice qualora la vacanza della Sede apostolica avvenisse in tempo di persecuzione. Eugenio Pacelli, allora monsignore, aveva collaborato alla preparazione di tali misure. È evidente il valore allusivo di questo articolo, probabilmente ispirato da Tardini.

Non sono naturalmente mancate notizie fantasiose sull'argomento. Per esempio, in un libro di qualche anno dopo la fine della guerra (Nazzareno Padellare, Pio XII, 1949) si descrive un Concistoro d'addio tenuto nella Cappella Sistina il 9 febbraio 1944, dopo che l'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede von Weizsaecker, padre dell'attuale presidente della Germania, aveva suggerito al Papa di mettersi in salvo dalle minacce hitleriane. Di entrambi gli eventi, però, non v'è traccia negli archivi vaticani. In realtà, il 9 febbraio Pio XII aveva riunito i cardinali prima di inoltrare protesta formale contro il governo italiano per la recente (5 febbraio) violazione della neutralità del monastero di S. Paolo fuori le mura, perpetrata dai fascisti con il consenso tedesco. In un'altra pubblicazione (Jacques Delaunay, Les grandes controverses de notre temps, 1967) si racconta che nella primavera del 1943 il Papa convocò a Roma il patriarca di Lisbona, cardinale Gongalves Cerejeira, per dargli istruzioni sulla convocazione di un Conclave in Portogallo per eleggere un nuovo Papa nel caso che i tedeschi lo avessero arrestato. Anche su questo punto mancano però riscontri probanti. Va infine considerato che durante il conflitto la centrale propagandistica inglese incaricata di produrre notizie false in funzione antinazista, lavorò a pieno ritmo. E uno degli argomenti preferiti dalla lies factory per gli effetti che poteva produrre sulle popolazioni cattoliche era appunto la precaria sorte del Vaticano e del Papa.

30GIORNI, N.7 LUGLIO 1991, pp. 64