Goya: il sonno della ragione genera mostri (El sueño de la razón produce monstruos)

l'illuminismo

introduzione

«L'illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a sé stesso. Minorità è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! - è dunque il motto dell'illuminismo. Sennonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi.»

In termini generali si può dire che l'Illuminismo è stato un movimento culturale caratterizzato da una forte affermazione della ragione. Ma questa affermazione ha preso diverse accentuazioni, talora compatibili con la persistenza della fede tradizionale, talaltra no. Non c'è infatti stato un solo illuminismo: accanto a un pensiero più corrosivo della tradizione (cristiana in specie e religiosa in generale), prevalso soprattutto in Francia, è esistito anche un pensiero illuminista aperto alla fede, soprattutto in Italia e in Germania; in Inghilterra e Olanda si verifica per lo più una situazione intermedia: un pensiero non esplicitamente antireligioso, ma di fatto fortemente riduttivo della portata soprannaturale del Cristianesimo.

La citazione di Kant deve intendersi espressiva di questa terza posizione: egli non propone l'ateismo, e non nega un qualche apporto storicamente positivo del Cristianesimo, ma sostenendo che l'uomo “maturo” non deve mai farsi guidare da un altro nega alla radice la possibilità della fede soprannaturale; questa infatti implica strutturalmente la fiducia in un testimone, di cui fidarsi anche là dove non si capisca fino in fondo quello che egli propone.

Un Cristianesimo autentico non sostiene certo l'accecamento della ragione, ma l'attivazione piena di tutte le proprie capacità conoscitive, che non si riducono alla ragione scientifica (e men che meno alla sola scienza del matematizzabile), e che implicano un coinvolgimento anche affettivo-esistenziale per verificare nella propria vita, l'iniziale, imprescindibile seppur ragionevole, intuizione di affidabilità del testimone. Dunque la formula potrebbe essere: la ragione e la fede (/fiducia), dove “ragione” non si riduce a razionalità matematica, ma significa ragionevolezza integrale.

una distinzione

Occorre quindi distinguere:

  1. l'illuminismo corrosivamente anticristiano per il quale l'uomo rifiuta ogni guida; ma in tal modo egli non può condursi bene in una realtà che alla luce della “pura ragione” kantiana è oggettivamente assurda e disperante, per la presenza del male e per l'inevitabile risucchiamento di tutto nel nulla della morte;
  2. e un illuminismo invece inteso come purificazione dal fanatismo, dalla acritica accettazione di ciò che non è in alcun modo verificato: questo tipo di illuminismo è invece valorizzabile: la vera fede infatti non è superstizione, né oscurantismo.

l'illuminismo corrosivo

L'uomo senza Cristo non può vivere bene: e anche la proposta deista (Dio senza Cristo), fatta ad esempio a un certo punto da Voltaire è impraticabile, come prova il suo scarsissimo, pressoché nullo, seguito. In effetti un Dio creatore che, davanti alla sofferenza delle sue creature e al loro desiderio di felicità a cui non possono rispondere con le loro forze, se ne stia impassibile e silenzioso, non è credibile.

Non si può peraltro negare che qualche spunto di critica sia stato dato, dal Cristianesimo storico. In un certo senso la stima per la ragione è un suo frutto, un suo portato, che, anche per errori storici della Chiesa, gli si è rivoltato contro.

Per questo si può accogliere un modo corretto di intendere l'illuminismo.

un buon illuminismo

è quello che non nega la fede, ma corregge gli errori commessi da quei credenti che l'hanno confusa con il fanatismo, o almeno con un fondamentalismo intollerante, cioè con l'assolutizzazione di elementi non davvero soprannaturali, ma naturali, relativi, storico-contingenti.

Nel corso della sua storia gli uomini di Chiesa hanno, molto meno di quanto pensino i suoi nemici, ricorrentemente rischiato di assolutizzare del relativo, di soprannaturalizzare del naturale: esempi classici sono il caso Galileo e il caso Darwin. Ma è in generale innegabile che la tentazione costante di chi ha una certezza forte, sia di proiettarla su tutto, anche su ciò che, per l'oggettivo limite della umana conoscenza, dovrebbe essere piuttosto oggetto di prudente perplessità.

Un buon illuminismo allora può essere purificativo della fede. Un buon illuminismo non nega la fede, e nemmeno nega il miracolo. Ma cerca di smantellare l'intolleranza, intesa come indisponibilità a «rendere ragione» (S.Pietro) di ciò che uno spera e crede. Prendiamo l'esempio di un miracolo:

Più in generale non bisogna avere paura di usare tutti gli strumenti che la ragione e il progresso scientifico e tecnico mettono a disposizione. Bisogna accettare il rischio di fare i conti con una ragione “pubblica” e la scienza. Questo non va contro la fede, ma, se ben inteso, contro una riduzione comoda della fede, divenuta una rendita, che dispensa l'impegno della propria libertà.

esempi di buon illuminismo

è ad esempio quello del Vico, che in un imperante clima di scientismo matematista, richiama all'imprescindibile apporto della cultura umanistica.

Lo è anche quello di Beccaria, con la sua giusta critica, contenuta in Dei delitti e delle pene (1763) alla tortura e alla pena di morte.

Lo è in qualche modo anche quello di Gaetano Filangieri, con la sua critica all'arbitrio feudale.

Lo è anche quello di Montesquieu, a cui si deve la celebre teorizzazione della distinzione dei tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), su cui si basano le democrazie moderne.

esempi di illuminismo corrosivo

Oltre al già citato Voltaire, possiamo ricordare le posizioni pregiudizialmente anticristiane di D'Alembert (1717/83) e D'Holbach (1723/89).

Una svalutazione del Cristianesimo è presente anche nel Gibbon (1737/94), che gli imputa la colpa di aver provocato la crisi dell'Impero romano, di Kant, che ne nega ogni valore soprannaturale, di Rousseau, col suo naturalismo che nega sistematicamente la ferita inferta alla natura umana dal peccato orginale.

Anche il liberismo fisiocratico è permeato di naturalismo dimentico della drammatica dialettica peccato/redenzione, e perciò illuso di una spontanea bontà di dinamiche che in realtà sono intrise (anche) di egoismo.

Insipiente sembra anche la celebre affermazione di Lessing:

Se Dio tenesse nella sua destra tutta la verità e nella sua sinistra il solo tendere alla verità con la condizione di errare eternamente smarrito e mi dicesse: "Scegli", io mi precipiterei con umiltà alla sua sinistra e direi: Padre, ho scelto; la pura verità è soltanto per te.

La vera umiltà infatti sa accettare i doni, e se Dio, che è Padre, vuole darci il dono della certezza, indispensabile per ben governarci e non brancolare nelle tenebre, non è umiltà ma superbia il rifiutarla.

Un conto è opporsi agli abusi della certezza, alla convinzione di potere avere certezze facili e su tutto: allora lì sarebbe giusto richiamare alla paziente attenzione ai dati, anche nella loro framentarietà, e alla necessità di non dire evidente ciò che tale non è. Altro è, come sembra fare Lessing, contestare non questa o quella certezza, ma la stessa bontà della certezza in quanto tale, affermare il primato della ricerca sul possesso. Mentre una ricerca non ha senso se non per giungere al possesso.