Arthur Schopenhauer

o l'assurdità della vita

🪪 Cenni sulla vita

La sua famiglia era di origine olandese, il padre ricco commerciante di Danzica (ove Arthur nacque il 22 febbraio 1788). Il giovane Arthur viaggiò molto, per imparare le lingue e poter proseguire il lavoro del padre: fu così in Francia (Le Havre 1797/9), a Karlsbad, Praga, Olanda, Inghilterra, Svizzera, Austria, Slesia e Prussia.

Morto il padre per suicidio (1805) ereditò una fortuna cospicua, che gli permise di vivere di rendita, studiando: prima al ginnasio (di Gotha, e poi di Weimar), poi all'università di Gottinga (1809/11), dove conobbe G.E.Schulze, che lo introdusse a Kant e a Platone, e Berlino (1811/13), dove seguì Schleiermacher, Fichte e il filologo F.A.Wolf.

Per la guerra raggiunse a Weimar la madre, Johanna Henriette, che (romanziera) vi teneva un salotto letterario, frequentato anche da Goethe, e si laureò a Jena nello stesso 1813, con una tesi Über die vierfache Wurzel des Satzes vom zureichenden Grunde, apprezzata da Goethe. Ivi conobbe anche l'orientalista Friedrich Mayer, estimatore delle Upanishad.

Ruppe ben presto con la madre, che aveva accolto in casa un amante, nel 1814.

Si trasferì così a Dresda e qui pubblicò Die Welt als Wille und Vorstellung, suo capolavoro, scritto nel 1818 e pubblicato nel 1819. Dopo un viaggio in Italia, ottenne la libera docenza a Berlino nel 1820, discutendo con Hegel, col quale venne a diverbio; e a Berlino rimase, frustrato per la concorrenza hegeliana, a causa della quale le sue lezioni erano disertate, fino al 1831, quando vi si diffuse un'epidemia di colera.

Allora si trasferì a Francoforte, dove rimase fino alla morte, sopraggiunta nel 1860. Di tale periodo sono La volontà della natura (1836), I due problemi fondamentali dell'etica (1841) e il brillante e popolare Parerga et paralipomena (1851). Tali opere gli guadagnarono riconoscimenti pubblici e maggior successo delle opere precedenti. Morì nel 1860, a Francoforte sul Meno.

Come scrive Abbagnano "nessun successo immediato arrise all'opera di Schopenhauer, che dovette aspettare più di vent'anni per pubblicare la seconda edizione de Il Mondo come volontà e rappresentazione, edizione che egli arricchì di un secondo volume di note e supplementi. (...) Soltanto dopo il 1848, in concomitanza con un'ondata di pessimismo che colpì l'Europa, cominciò la "fortuna" della sua filosofia". E in generale la fortuna della sua filosofia tende ricorrentemente a coincidere con periodi in cui l'umanità occidentale avverte il bisogno di una spiegazione della realtà che ne evidenzi la tragicità.

📔 Opere principali di Arthur Schopenhauer

titolo originale titolo tradotto anno
Über die vierfache Wurzel des Satzes vom zureichenden GrundeSulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente1813
Die Welt als Wille und Vorstellung Il Mondo come volontà e rappresentazione1819(1),1844(2), 1859(3)
Über den Willen in der NaturSulla Volontà nella Natura1836
Über die Freiheit des meschliches WillensSulla libertà della volontà umana1839
Über das Fundament der MoralSul fondamento della morale1840
Die beiden Grundprobleme der Ethik I due problemi fondamentali dell'Etica1841
Parerga et paralipomena[letteralmente: aggiunte accessorie e cose tralasciate]1851

i riferimenti del suo pensiero

Furono Kant, da cui prese la distinzione tra fenomeno e noumeno, interpretandola però in modo difforme dallo stesso Kant, attribuendo al fenomeno una valenza di illusorietà a quello sconosciuta (dato che al contrario per il filosofo di Koenigsberg proprio del fenomeno e anzi solo del fenomeno si può dare conoscenza rigorosamente scientifica e valida), Platone (da cui trasse la concezione delle idee, anche qui però intese in modo originale, "forme eterne sottratte alla caducità dolorosa del nostro mondo" (Abbagnano) come strato ontologico intermedio tra il centro della realtà, che è cieca Volontà, e l'apparenza fenomenica più superficiale), e la filosofia indiana, da cui appunto trae la decisiva convinzione del carattere ingannevole del mondo sensibile, che altri filosofi occidentali avevano sì in precedenza definito imperfetto, e al limite prossimo al nulla (Parmenide, Platone, Plotino), ma mai giudicato deformante inganno. []. Secondo Abbagnano "dell'Illuminismo lo interessano il filone materialistico e quello dell'ideologia, da cui eredita la tendenza a considerare la vita psichica e sensoriale in termini di fisiologia del sistema nervoso. Inoltre da Voltaire desume lo spirito ironico e brillante e la tendenza demistificatrice nei confronti delle credenze tramandate. Dal Romanticismo Schopenhauer trae alcuni temi di fondo del suo pensiero, come ad esempio l'irrazionalismo, la grande importanza attribuita all'arte e alla musica, e, soprattutto, il tema dell'infinito, cioè la tesi della presenza, nel mondo, di un Principio assoluto di cui le varie realtà sono manifestazioni transeunti. Altro motivo indubbiamente romantico è quello del dolore. Tuttavia mentre il Romanticismo, sul piano filosofico, mostra una tendenza globalmente ottimistica, che si concretizza in un tentativo di dialettizzare o riscattare il negativo tramite il positivo (Dio, lo Spirito, la storia, il progresso eccetera) Schopenhauer appare decisamente orientato verso il pessimismo, di cui è uno dei maggiori teorici. Decisiva importanza, anche se indiretta, gioca pure l'idealismo, vera "bestia nera" e "idolo polemico" dello schopenhauerismo."

la critica all'idealismo

Schopenhauer critica in generale i tre grandi ciarlatani idealisti, e in particolare Hegel, sicario della verità, la cui filosofia è mercenaria, al servizio dello Stato:

«Hegel, insediato dall'alto, dalle forze al potere, fu un ciarlatano di mente ottusa, insipido, nauseabondo, illetterato, che raggiunse il colmo dell'audacia scodellando i più pazzi e mistificanti non sensi».

«il suo pensiero è “una buffonata filosofica”».

1a) il mondo come rappresentazione ...

Noi non conosciamo le cose in sé stesse (vediamo non il sole né la terra), ma in quanto sono rapportate al soggetto, dipendenti dal soggetto, "interne" ad esso (conosciamo l'occhio che vede il sole, la mano che sente il contatto con la terra), e il soggetto filtra la realtà con le tre forme a priori (che il soggetto pone mediante la sensibilità e l'intelletto, analogamente a Kant, con la differenza che per S. esse hanno una matrice fisiologica, piuttosto che trascendentale)

scultura indiana: Ganesh
>scultura indiana: Ganesh

La realtà sensibile è perciò fenomeno, nel senso di apparenza, in parentela stretta col sogno, analogamente a Pindaro (l'uomo è il sogno di un'ombra), Sofocle, Shakespeare (noi siamo di tale stoffa, come quella di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita è chiusa in un sonno), Calderòn, o, con espressione di derivazione indiana, velo di Maya.

«è Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra che egli prende per un serpente» (Il mondo come volontà ..., paragrafo 3)

Ma c'è il modo per giungere alla realtà in sé stessa, che è volontà.

1b) ... e come volontà

esistenza della Volontà

Ne posso essere certo in quanto

  1. ho accesso diretto alla mia volontà, che sperimento essere la mia più intima essenza, facente tutt'uno con il moto del mio corpo (che posso infatti conoscere o oggettivandolo, o dall'interno, come mosso dalla volontà).
    Io sono volontà, volontà di vivere (Wille zum Leben), impulso prepotente;
  2. per analogia estendo questo a tutto il reale: osservando nei fenomeni naturali

    «l'impeto violento e irresistibile con cui le acque si precipitano negli abissi, ... l'ansia con cui il ferro vola verso la calamita, la violenza con cui i poli elettrici tendono a riunirsi ...[riconosciamo] quell'identica essenza che in noi persegue i suoi fini al lume della conoscenza, ma che qui non ha che impulsi ciechi, sordi, unilaterali e invariabili».

sua essenza

Come ricorda Abbagnano: essendo al di là del fenomeno, la Volontà presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappresentazione, in quanto si sottrae alle forme proprie di quest'ultimo: lo spazio, il tempo e la causalità.

La volontà è a) unica. Lo è in quanto esiste al di fuori dello spazio e del tempo, che dividono gli enti, perciò si sottrae intrinsecamente a ciò che egli chiama "principio di individuazione". Infatti la Volontà non è qui più di quanto non sia là, più oggi di quanto non sia stata ieri o sarà domani. Essa, dice Schopenhauer, "è in una quercia come in un milione di querce".

è b) eterna. Essendo oltre la forma del tempo, la Volontà è anche eterna e indistruttibile, ossia un Principio senza inizio né fine. Per questo, Schopenhauer scrive che «alla Volontà è assicurata la vita» e paragona il perdurare dell'universo nel tempo ad un "meriggio eterno senza tramonto refrigerante", oppure all'"arcobaleno sulla cascata", non toccato dal fluire delle acque (op.cit., paragrafo 54).

 Schiele, la morte e la ragazza (part.):
per S. la vita è assurda.

c) La Volontà è inconscia. "la Volontà primordiale è inconscia, poiché la consapevolezza e l'intelletto costituiscono soltanto delle sue possibili manifestazioni secondarie. Di conseguenza, il termine Volontà, preso in senso metafisico-schopenhaueriano, non si identifica con quello di volontà cosciente, ma con il concetto più generale di energia o di impulso (e in questo senso si comprende perché Schopenhauer attribuisca la volontà anche alla materia inorganica e ai vegetali)."

d) ma soprattutto essa è assurda e cieca. Essendo al di là della categoria di causa, e quindi di ciò che Schopenhauer denomina "principio di ragione", la Volontà si configura anche come una Forza cieca, senza un perché e senza uno scopo. Mentre per Aristotele e Tommaso d'Aquino, come per tutta la filosofia cristiana, la volontà segue la ragione, nel senso che vuole ciò che la ragione (o meglio la conoscenza in generale) le presenta come bene (nihil volitum quin praecognitum), per Schopenhauer la Volontà è totalmente svincolata dalla conoscenza. La Volontà cioè vuole senza un perché, senza un motivo, senza ragione: perciò essa è assurda.

La motivazione sarebbe che noi possiamo cercare la "ragione" di questa o quella manifestazione fenomenica della Volontà, ma non della Volontà in se stessa, esattamente come possiamo chiedere ad un uomo perché voglia questo o quello, ma non perché voglia in generale. Tant'è che a quest'ultima domanda l'individuo non potrebbe rispondere che "voglio perché voglio", ossia, traducendo la frase in termini filosofici, " perché c'è in me una volontà irresistibile che mi spinge a volere". Infatti, la Volontà primordiale non ha una mèta oltre se stessa: la vita vuole la vita, la volontà vuole la volontà, ed ogni motivazione o scopo cade entro l'orizzonte del vivere e del volere (op.cit., paragrafo 29).
Ma questa osservazione, si può osservare, non dimostra ciò che vorrebbe: anche per le filosofie che ammettono una sensatezza del volere non è possibile determinare con esattezza perché si voglia ciò che si vuole necessariamente; lo evidenzia molto bene Blondel: non possiamo non volere, e non possiamo "controllare" conoscitivamente, razionalmente, questa spinta profonda, che è spinta, in fondo, alla felicità, "accendendola" e "spegnendola" a piacimento. Questo non toglie che la spinta alla felicità, che anima ogni volere sia profondamente sensata: la felicità è la realizzazione della nostra natura, dunque coincide col bene, voluto da Colui che ci ha creati destinandoci alla autorealizzazione, verso cui ci guida il desiderio di felicità.
Insomma non è vera l'equazione: necessità=irrazionalità; il desiderio della felicità, anima della volontà, è un dinamismo necessario che è al tempo stesso profondamente razionale e sensato.
Pensiamo quindi che questa convinzione di Schopenhauer poggi piuttosto sui dati fenomenici che lui stesso riporta, come appare dai brani che citiamo qui sotto.

il conseguente pessimismo

Dal momento che la realtà del mondo è apparenza assurda, non vi è in essa spazio alcuno per un senso. Non vi è senso nelle cose, e nemmeno l'attività dell'uomo, essa stessa guidata da una volontà, in cui si riverbera la Volontà cieca, può creare alcun senso. Vi è perciò in Schopenhauer il rifiuto di ogni ottimismo:

a) cosmico

Ossia quello delle religioni, con la loro idea di Provvidenza.

Ogni volere scaturisce da bisogno, ossia da mancanza, ossia da sofferenza. A questa dà fine l'appagamento; tuttavia per un desiderio che venga appagato, ne rimangono almeno dieci insoddisfatti; inoltre la brama dura a lungo, le esigenze vanno all'infinito; l'appagamento è breve e misurato con mano avara. Anzi, la stessa soddisfazione finale è solo apparente: il desiderio appagato dà tosto luogo a un desiderio nuovo: quello è un errore riconosciuto, questo un errore non ancora conosciuto. Nessun oggetto del volere, una volta conseguito, può dare appagamento durevole... bensì rassomiglia soltanto all'elemosina, la quale gettata al mendico prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento.

La realtà è una

«arena di esseri tormentati e angosciati, i quali esistono solo a patto di divorarsi l'un l'altro, dove perciò ogni animale carnivoro è il sepolcro vivente di mille altri e la propria autoconservazione è una catena di morti strazianti (...)

Se si conducesse il più ostinato ottimista attraverso gli ospedali, i lazzaretti, le camere di martirio chirurgiche, attraverso le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi, i campi di battaglia e i tribunali, aprendogli poi tutti i sinistri covi della miseria, dove ci si appiatta per nascondersi agli sguardi della fredda curiosità, e da ultimo facendogli ficcar l'occhio nella torre della fame di Ugolino, certamente finirebbe anch'egli con l'intendere di qual sorte sia questo meilleur des mondes possibles. Donde ha preso Dante la materia del suo Inferno, se non da questo mondo reale? E nondimeno n'è venuto un inferno bell'e buono. Quando invece gli toccò di descrivere il cielo e le sue gioie, si trovò davanti a una difficoltà insuperabile: appunto perché il nostro mondo non offre materiale per un'impresa siffatta».

«A diciassette anni, ancora privo di ogni cultura, fui colpito dalla miseria della vita così profondamente come Buddha nella sua gioventù, quando vide per la prima volta la malattia, la vecchiaia, il dolore e la morte. La verità che del mondo mi parlava chiaro e tondo, ebbe presto il sopravvento sui dogmi ebraici che mi erano stati inculcati; e la mia conclusione fu che questo mondo non poteva essere l'opera di un ente assolutamente buono...

Verrà un tempo in cui la dottrina di un Dio come creatore sarà considerata in metafisica, come ora, in astronomia, si considera la dottrina degli epicicli

Dei mali della vita ci si consola con al morte, e della morte con i mali della vita. Una gradevole situazione (...)

Noi ci consoliamo delle sofferenze della vita pensando alla morte, e della morte pensando alle sofferenze della vita».

«...alla fine tutti quanti siamo e restiamo soli»

«Alla natura sta a cuore solo la nostra esistenza, non il nostro benessere».

«Ogni sera siamo più poveri di un giorno».

«Dal punto di vista della giovinezza la vita è infinita; dal punto di vista della vecchiaia è un brevissimo passato»

«Si può dire quello che si vuole! Il momento più felice di chi è felice è quando si addormenta, come il momento più infelice di chi è infelice è quando si risveglia».

«A parte poche eccezioni, al mondo tutti, uomini e animali, lavorano con tutte le forze, con ogni sforzo, dal mattino alla sera solo per continuare ad esistere: e non vale assolutamente la pena di continuare ad esistere; inoltre dopo un certo tempo tutti finiscono. è un affare che non copre le spese».

«Se è stato un Dio a creare questo mondo, non vorrei essere lui: la sofferenza nel mondo mi spezzerebbe il cuore».

«Chi ama la Verità odia gli dèi, al singolare come al plurale».

b) storico

Ossia il progresso, come in Hegel, Comte, Marx e altri):

Munch, l'urlo
Munch, l'urlo

«in realtà la storia ci inganna facendoci credere che le cose cambino sostanzialmente, mentre ha ragione l'Ecclesiaste: non vi è nulla di nuovo sotto il sole in ogni tempo fu, è e sarà sempre la stessa cosa»

«Mentre la storia ci insegna che in ogni tempo avviene qualcosa di diverso, la filosofia si sforza di innalzarci alla concezione che in ogni tempo fu, è, e sarà sempre la stessa cosa».

c) sociale

Quello secondo cui l'uomo è naturalmente buono verso gli altri:

«Ogni giubilo eccessivo nasce sempre dall'illusione di aver trovato nella vita qualcosa che è impossibile trovarvi, e cioè la pacificazione definitiva del tormento (...)

chi considera bene .. scorge il mondo come un inferno, che supera quello di Dante in questo, che ognuno è diavolo per l'altro.

(...)l'uomo è l'unico animale che faccia soffrire gli altri al solo scopo di far soffrire

(...)Ciò che rende gli uomini socievoli è la loro incapacità di sopportare la solitudine e se stessi. (...) Tutti i pezzenti sono socievoli, da far pietà».

«Vi è dunque, nel cuore di ogni uomo, una belva, che attende solo il momento propizio per scatenarsi ed infuriare contro gli altri»

«Come l'uomo si comporti con l'uomo, è mostrato, ad esempio, dalla schiavitù dei negri. Ma non v'è bisogno di andare così lontani: entrare nelle filande o in altre fabbriche all'età di cinque anni, e d'allora in poi sedervi prima per dieci, poi per dodici, infine per quattordici ore al giorno, ed eseguire lo stesso lavoro meccanico, significa pagar caro il piacere di respirare. Eppure questo è il destino di milioni, e molti altri milioni ne hanno uno analogo (...)

la vita è un continuo oscillare tra dolore e noia»

2) la liberazione

una falsa via: il suicidio

Schopenhauer rifiuta il suicidio come via alla liberazione per due motivi : 

  1. perché il suicidio, lungi dall'essere negazione della volontà, è invece un atto di forte affermazione della volontà stessa in quanto il suicida vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate (ivi, paragrafo 69), per cui anziché negare veramente la volontà egli nega piuttosto la vita;
  2. perché il suicidio sopprime unicamente l'individuo, ossia una manifestazione fenomenica della Volontà di vivere, lasciando intatta la cosa in sé, che pur morendo in un individuo rinasce in mille altri, simile al sole che, appena tramontato da un lato, risorge dall'altro." (Abbagnano)

la vera strada

Essa ha come momenti principali

a) l'arte

mentre la conoscenza, e quindi la scienza, è continuamente irretita nelle forme dello spazio e del tempo, ed asservita ai bisogni della volontà, l'arte, secondo Schopenhauer, è conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle Idee, ossia alle forme pure o ai modelli eterni delle cose. (Abbagnano). Così l'arte è pura contemplazione, non asservita a fini pratici, e dunque alla Volontà, essa contempla il mondo sub specie aeternitatis, oltre lo spazio e il tempo.

Mentre per l'uomo comune, il proprio patrimonio conoscitivo è la lanterna che illumina la strada, per l'uomo geniale è il sole che rivela il mondo.

Schopenhauer cataloga le arti partendo dal gradino inferiore, le arti figurative, come l'architettura, legata alla materie inerte, la pittura, legata al mondo vegetale e animale, e la scultura, legata al corpo umano, per passare poi attraverso la poesia, che si incentra sull'uomo, e giungere infine alla vetta dell'arte, che è la musica, che escludendo assolutamente lo spazio, è l'arte dell'interiorità, ed esprime la stessa Volontà nella sua intima essenza. Essa è metafisica in suoni. A questa concezione si rifarà Richard Wagner, che nel 1854 dedicò a Schopenhauer L'Anello del Nibelungo.

b) la compassione

L'arte è una forma di liberazione solo temporanea. Più stabile è la moralità. Con Kant egli pensa che l'agire morale debba essere disinteressato, indipendente da fini ulteriori; da Kant però lo divide la convinzione che a guidare l'agire morale disinteressato debba essere non la ragione, ma un sentimento: appunto la compassione (Mitleid). Essa rompe la catena di egoismi che mette ogni individuo contro l'altro, causando inutile e assurda sofferenza, e conduce a com-patire con l'altro simpateticamente, così che si annulli il principio di individuazione, ci si apra all'altro e se ne condivida il destino: L'amore autentico è sempre compassione; e ogni amore che non sia compassione è egoismo.

Da essa scaturiscono due virtù: la giustizia, che impedisce l'egoismo che danneggia gli altri, con la sua massima neminem laedere, e la carità, con cui positivamente cerchiamo di fare del bene agli altri (omnes quantum potes iuva).

c) l'ascesi

Essa nasce dall'"orrore" dell'uomo per l'essere di cui è manifestazione il suo proprio fenomeno, per la volontà di vivere, per il nocciolo e l'essenza di un mondo riconosciuto pieno di dolore (ivi, paragrafo 68), è l'esperienza per la quale l'individuo, cessando di volere la vita ed il volere stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere: Con la parola ascesi... io intendo, nel senso più stretto, il deliberato infrangimento della volontà, mediante l'astensione dal piacevole e la ricerca dello spiacevole, l'espiazione e la macerazione spontaneamente scelta, per la continuata mortificazione della volontà (ibidem). Essa comporta la perfetta castità (essendo la sessualità il più potente legame che tiene vincolati gli uomini alle catene della Volontà), la rinuncia ai piaceri, l'umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio e l'automacerazione.

d) la noluntas

Essa è il culmine della liberazione:

il deliberato infrangimento della volontà,... per la continuata mortificazione della volontà (...)
Quel che rimane dopo la soppressione completa della volontà - dice Schopenhauer alla fine della sua opera - è certamente il nulla per tutti coloro che sono ancora pieni della volontà. Ma per gli altri, in cui la volontà si è distolta da se stessa e rinnegata, questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee è, esso, il nulla

Per un giudizio

Schopenhauer da un lato evidenza bene, contro il superficiale ottimismo dell'antropocentrismo moderno e contemporaneo, come la condizione umana sia contrassegnata da aspetti di drammaticità. Non è d'altro lato accettabile la radicalità del suo pessimismo, irrazionalista e ateo, perché contraddice tanto la fede quanto la ragione, che non ci presenta il mondo e la vita come esclusivamente intessuti di miseria e di ombre ma anche e ancor più di luce e di una promessa di piena felicità, che se non è perfetta in questa vita, qui trova un possibile anticipo, nella misura della semplicità del cuore umano, che mendica Cristo, Dio fattosi Uomo.