Baruch Spinoza

o della compassata prudenza

🪪 Cenni sulla vita

La sua famiglia, di religione ebraica, era emigrata dal Portogallo in Olanda alla ricerca di un clima di maggiore libertà religiosa. Baruch (Benedetto) Spinoza nacque nel 1632, e venne educato ebraicamente, nella comunità di Amsterdam (studiò la lingua ebraica e il Talmud). Ma in tale fede non rimase a lungo: venuto a contatto con il pensiero rinascimentale e moderno (Bacone, Hobbes e soprattutto Cartesio), oltre che con i classici latini, abbandonò il teismo per abbracciare una concezione panteistica.

Questo lo mise in contrasto con la comunità ebraica, che a motivo della sua grande e riconosciuta intelligenza, si aspettava piuttosto da lui che diventasse un importante rabbino e teologo. Spinoza non si lasciò flettere dalla sua decisione, e sopportò anche il prezzo della scomunica (1656), che gli valse anche il rifiuto da parte della sua stessa famiglia di origine. Per le sue idee eterodosse subì anche un attentato da parte di un correligionario fanatico, che tentò di pugnalarlo. L'esito tragico fu scongiurato dalla pronta e agile reazione di Spinoza.

Respinto dai suoi, visse in modo dignitoso e sobrio, facendo un mestiere, il levigatore di lenti, che per la sua meccanica ripetitività gli lasciava la mente libera di riflettere su temi impegnativi come sono quelli filosofici. Peraltro ancora da vivo il suo vivace intelletto filosofico ricevette importanti riconoscimenti anche da personalità molto in vista, come il pittore Van der Spyck, uomini politici come i fratelli De Witt e scienziati come Huygens; gli venne anche offerta una cattedra universitaria, nella prestigiosa sede di Heidelberg, da lui rifiutata per timore di un condizionamento alla sua libertà di pensiero.

Morì nel 1677 di tubercolosi.

📔 Opere principali di Baruch Spinoza

titolo originale titolo tradotto anno
Tractatus de intellectus emendationeTrattato sull'emendazione dell'intelletto1661
Tractatus theologico-politicusTrattato teologico-politico1670
EthicaEtica1677
Korte Verhandeling van God, de Mensch en deszelvs WelstandBreve trattato su Dio, l'uomo e la sua felicità[postumo]

il fine della filosofia

Postquam me experientia docuit, omnia, quae in communi vita frequenter occurrunt, vana et futilia esse; cum viderem omnia, a quibus et quae timebam, nihil neque boni neque mali in se habere, nisi quatenus ab iis animus movebatur; constitui tandem inquirere, an aliquid daretur, quod verum bonum et sui communicabile esset, et a quo solo reiectis ceteris omnibus animus afficeretur; imo an aliquid daretur, quo invento et acquisito continua ac summa in aeternum fruerer laetitia. (De emendatione intellectus, I, 1) [traduzione] Avendomi l'esperienza insegnato che tutte le cose che capitano [più] frequentemente nella vita sono vane e futili, e vedendo che tutte le cose che temevo non avevano niente in sè di bene o di male, se non in quanto da esse l'animo fosse mosso; mi risolsi a cercare se si desse qualcosa, che fosse davvero del bene e fosse comunicabile, e dal quale soltanto, abbandonato tutto il resto l'animo potesse venir preso; se insomma si desse qualcosa, trovata e raggiunta la quale, io potessi fruire una interminabile e perfetta letizia per l'eternità.

Il brano citato esprime molto efficacemente quello che per Spinoza è il fine della filosofia: non tanto organizzare o trasformare la società, come era almeno implicitamente in Cartesio, quanto offrire all'individuo una via di accesso alla felicità, comunque vada il mondo.

Quello che Spinoza dice di cercare non è niente di meno che una continua ac summa in aeternum (...) laetitia, una letizia perfetta (summa) e permanente (continua, in aeternum); si tratta di qualcosa, avendo il quale tutto il resto impallidisce come insignificante (reiectis ceteris omnibus), e senza del quale tutto non avrebbe valore.

Non si può negare la bellezza di queste frasi, che sembrerebbero vibrare di un afflato mistico, se non fosse che nel suo pensiero Spinoza raffredda tale ipotesi, costruendo un sistema di pensiero, che abbiamo chiamato della fredda rinuncia; vedremo che ciò che egli propone come letizia è un'algida devitalizzazione del desiderio.

il metodo

Spinoza porta a compimento, estremizzandolo con lucida coerenza, il progetto cartesiano di matematizzazione del sapere. Se in Cartesio il momento induttivo e di ricerca aveva avuto un ruolo importante, dominando tutta la pars destruens del suo sistema, in Spinoza non si dà luogo a dubbio o a ricerca, ma tutto il sapere filosofico si dipana partendo da evidenze e assiomi, con geometrica concatenazione. La sua Ethica è ordine geometrico demostrata. Si tratta del tentativo più sistematico di costruire una filosofia con un metodo geometrico, come se i suoi concetti primordiali e le sue evidenze originarie avessero la stessa chiarezza e indubitabilità dei concetti e dei postulati euclidei.

metafisica: la Sostanza

Per substantiam intelligo id, quod in se est, et per se concipitur: hoc est id, cuius conceptus non indiget conceptu alterius rei, a quo formari debeat.

Per Deum intelligo ens absolute infinitum, hoc est, substantiam constantem infinitis attributis, quorum unumquodque aeternam, et infinitam essentiam exprimit. (Ethica, I, 1, 3 e 6)[traduzione]

Per sostanza intendo ciò che esiste in sè stesso e per sè stesso viene concepito, ossia ciò, il cui concetto non richiede concetto di altra cosa per essere inteso.

Per Dio intendo un essere assolutamente infinito, cioè una sostanza constante di infiniti attributi, ognuno dei quali esprime la sua infinita ed eterna essenza.

Spinoza porta a fondo un'idea che già Cartesio aveva sviluppato (definendo la sostanza come res quae nulla alia re indigeat ad existendum), di sostanza come assoluta indipendenza, ontologica (quod in se est) e gnoseologica (quod per se concipitur): per Aristotele la sostanza era qualcosa di relativamente indipendente, era ciò che, per così dire, sta in piedi da sé, a differenza degli accidenti che a lei devono appoggiarsi, in Spinoza la sostanza è assolutamente indipendente.

Perciò, per lui, la sostanza è

Esiste dunque una sola Sostanza, infinita, unica, eterna, ossia Dio. Ma se è così quelle che ci sembrano essere sostanze autonome, cioè le cose di cui è fatto il mondo, non sono in realtà delle vere sostanze, ma solo delle esternazioni, delle espressioni dell'unica Sostanza infinita. Perciò tra Dio e il mondo non c'è reale distinzione: Dio è immanente al mondo (panteismo).

la Sostanza e il mondo

Il panteismo spinoziano è più radicale di quelli antichi: ad esempio Plotino almeno riconosceva all'Uno un carattere latentemente personale, così pure gli stoici; Spinoza invece fa della Sostanza-Dio più un Ciò che un Tu. è vero che tra i suoi attributi c'è anche il pensiero, ma si tratta di un pensiero imbalsamato in una necessità irriformabile. A Zeus poteva capitare di volere qualcosa senza poterlo, senza poter andare contro il Fato, il “Dio„ spinoziano, che pure potrebbe tutto, non può in realtà volere niente.

In effetti la necessità campeggia come cifra del rapporto tra “Dio„ e il mondo: la Sostanza non può che esprimersi nei suoi infiniti attributi, articolati nella capillare determinatezza dei modi. è escluso che la Sostanza-Dio possa fare qualcosa di altro o di diverso da quello che di fatto fa.

Un primo corollario è che non esiste perciò creazione libera: Dio non poteva non creare il mondo, nè poteva farlo diversamente da come lo ha fatto.

Ulteriore corollario è che non esiste Provvidenza: il mondo non è frutto di una scelta intelligente, ma di una necessità, seppure di una necessità di una Sostanza tra i cui attributi c'è qualcosa che Spinoza chiama Pensiero.

Alla radice di tutto dunque sta la Sostanza, che si esprime in infiniti attributi. Di questi la mente umana conosce solo due, il Pensiero e l'Estensione (evidente eredità cartesiana).

A loro volta ogni attributo si articola in modi, che sono come la sua capillare estrinsecazione: l'attributo Pensiero si articola in quei modi che sono le idee, l'attributo Estensione in quei modi che sono le cose.

la conoscenza

«Ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum»
(Ethica, II, pr. VII)

il dualismo

Spinoza accetta il dualismo gnoseologico, esplicitamente tematizzato da Cartesio, che poneva il problema della corrispondenza delle nostre idee, a cui si arresterebbe il pensiero (vedi negazione dell'intenzionalità), alle cose extramentali, che sarebbero irraggiungibilmente al-di-là del pensiero.

Anche per Spinoza le idee arrestano a sé il pensiero, ma noi sapremmo che esse sono esattamente ricalcate sulle cose, dal momento che entrambe, idee e cose, promanano, con rigoroso ordine e perfetta precisione, dalla medesima fonte, la Sostanza.

Avendo infatti detto che Pensiero ed Estensione sono attributi che esprimono la medesima Sostanza, Spinoza ritiene di avere con ciò la soluzione al problema della corrispondenza tra idee e cose: tra loro c'è parallelismo, le idee, modi del Pensiero, procedono parallelamente alle cose, modi dell'Estensione.

i gradi della conoscenza

Se tutte le idee sono dunque in qualche modo corrispondenti a qualche livello di realtà, non tutta la conoscenza umana è collocata sul medesimo piano: si deve passare una conoscenza più imperfetta (benchè non falsa) a quella più perfetta.

Tre sono i gradi che egli distingue:

la conoscenza intuitiva (o intellectus, νοῦς)
quella che giunge al centro della realtà, non discorrendo, ma immediatamente, intuitivamente
la conoscenza razionale (o ratio, διάνοια)
quella propria delle scienze, che cerca di definire e argomentare, avvalendosi di idee chiare e distinte, a differenza dell'opinione, ma portandosi con fatica da un aspetto all'altro della realtà
l'opinione
ossia la conoscenza confusa, empirica (quella di cui ci serviamo quotidianamente, essendo praticamente indispensabile, ma teoreticamente povera)

la via alla liberazione

Per Spinoza la letizia, che abbiamo visto essere il fine da lui cercato consegue il fatto di raggiungere e assestarsi nella conoscenza perfetta e adeguata, ossia nel vedere le cose sub specie aeternitatis, nella prospettiva dell'eterno, in pratica significa capire e percepire che tutto ciò che accade (e che ci accade) è necessaria estrinsecazione dell'unica, infinita Sostanza, rinunciando perciò a ribellarsi alla realtà, e lasciando cadere ogni atteggiamento di ira, ansia, invidia, recriminazione, tristezza.

il primato del conoscere

Voluntas et intellectus unum, et idem sunt (Ethica, II, pr. XLIX, corollario)

Non c'è spazio all'ascesi nell'etica spinoziana, non c'è lotta drammatica della libertà: tutto è necessario. Alla conoscenza adeguata consegue necessariamente una purificazione delle passioni. Come dice il Berti: Quando il conatus è accompagnato da un’idea oscura e confusa dà luogo, secondo Spinoza, a un appetito, cioè a una passione; quando invece esso si accompagna a un’idea chiara e distinta dà luogo alla volontà, e la passione scompare. Il modo dunque per liberarsi dalle passioni consiste nell’avere un’idea chiara e distinta circa lo sforzo di conservare e potenziare il proprio essere, cioè nel sapere come fare per ottenere questo risultato, così che il superamento delle passioni è dato dalla conoscenza.. Non si tratta di sforzarsi di volere il bene, ma di aderire al cammino della conoscenza, che risalendo verso la necessità di tutto, come promanante dalla Sostanza, vede l'assurdità di certe passioni (come accennavamo: l'ira, l'invidia, la tristezza, ma anche l'umiltà, la superbia, l'odio) e con ciò stesso, senza lotta alcuna, le neutralizza.

verso quale meta

Nec ridere, nec lugere, neque detestari, sed intelligere

Fondamentale, nella morale spinoziana, è il tema delle passioni. Esse sono necessarie, pertanto non vanno valutate eticamente, vanno invece descritte e studiate. Il che non significa però abbandonarvisi acriticamente: la conoscenza ci guida a discernere in esse che cosa davvero ci aiuta e che cosa no.

Le passioni basilari sono la gioia (che nasce dalla coscienza del proprio potenziamento) e la tristezza (che nasce dalla coscienza del proprio depotenziamento), a cui si aggiungono l'amore (verso la causa esterna che ci potenzia) e l'odio (verso la causa esterna che ci depotenzia), e via via tutte le altre passioni.

Decisivo è non essere schiavi delle passioni, ma liberi, il che avviene quando ci formiamo delle idee adeguate, cioè chiare e distinte, su ciò che davvero potenzia il nostro essere. Alcune passioni, come l'ira, l'invidia, l'odio, vanno dunque lasciate cadere, altre invece, come la gioia e l'amore (inteso peraltro non come trascinante spinta, ma come pilotato sentimento verso chi e ciò che ci potenzia), vanno coltivate, usandole secondo ragione, con la consapevolezza cioè che tutto promana necessariamente dalla Sostanza-Dio e che il problema fondamentale è aderire ad Essa.

Il vertice della vita etica è infatti l'amor intellectualis Dei, l'amore intellettuale verso Dio, ossia verso la Sostanza, amata appunto intellettualmente, capendo che tutto è necessario. In Dio poi si amano tutti gli uomini, che da Lui promanano. Così Spinoza recupera i precetti fondamentali del Cristianesimo, l'amore a Dio e al prossimo, pur spogliandoli di ogni fattore soprannaturale.

la religione

Come capirono bene i suoi correligionari Spinoza non crede in Dio. Solo che, invece di ammetterlo limpidamente ed onestamente egli usa tale parola, come del resto avrebbe fatto dopo di lui Hegel, anzi respinge come ingiusta l'accusa di ateismo, che gli venne rivolta.

Nel Tractatus theologico-politicus Spinoza fa i conti, tra l'altro, con quella che per ebrei e cristiani è Sacra Scrittura, la Bibbia, sostenendone una interpretazione razionalista, che dovrebbe andare oltre il senso letterale, per cogliere il valore profondo del testo, che sarebbe esclusivamente morale; infatti a suo avviso il testo sacro si contraddirebbe riguardo a tutto ciò ciò che di ontologico tratta (ossia la natura di Dio e del creato), mentre conterrebbe tesi non-contraddittorie e interessanti per quanto concerne l'etica.

Tra gli esempi di contraddizione che Spinoza crede di vedere nella Bibbia c'è il fatto che in alcuni passi si parla di un pentimento di Dio, mentre in altri se ne sottolinea l'immutabilità del volere. In realtà egli trascura una semplicissima spiegazione di tale apparente contraddizione, ossia che i passi in cui Dio viene detto pentirsi vanno letti in senso non letterale, come accondiscenza dell'autore sacro alla più immediata mentalità umana.

Altro, e più fondamentale esempio è quello dei miracoli: Dio è da un lato creatore della natura con le sue leggi e dall'altro in certi casi sospende e contraddice tali leggi. Sostiene Spinoza che credere nei miracoli significa credere che Dio possa andare «contro la sua stessa natura, cosa di cui nulla è più assurdo».

Dove sbaglia? Nell'aver già deciso che Dio coincida con la natura (finita): se così fosse la Natura non potrebbe contraddire la natura; ma se, come dice l'ebraismo e il Cristianesimo, Dio è al di sopra della natura, se Lui ha liberamente e gratuitamente scelto di crearla e di crearla così come è, non c'è più nessuna contraddizione nell'idea di miracolo. Si tratta della sospensione di una legge, che è stata liberamente decretata dal trascendente e sovranamente libero Creatore.

Del resto i miracoli non sono mai contraddittori coi principi supremi dell'essere (identità/non-contraddizione), ma solo eccedenti leggi naturali (liberamente scelte dalla Volontà creatrice): la Bibbia non parla di miracoli in cui 2+2 non faccia 4, ma di guarigioni straordinarie, di azioni ordinariamente non possibili alle energie umane e cose di questo tipo, cose sì straordinarie, eccedenti le leggi naturali, ma non contraddittorie.

La stessa resurrezione di Gesù non è contraddittoria: non viene detto infatti che Gesù sia (stato) al tempo stesso morto e risorto: è davvero morto, e dal venerdì pomeriggio all'alba della domenica di Pasqua era morto; poi è risorto. Evento straordinario, certo, ma non contraddittorio.

Per Spinoza tutte le religioni positive si equivalgono, nella misura in cui danno indicazioni morali simili (indifferente essendo il dogma, con le sue anche marcate differenze tra le une e le altre), anche se tutte, ebraismo incluso hanno una componente particolaristica, non sono cioè come tali applicabili a tutti gli uomini; solo il messaggio di Gesù Cristo, che Spinoza considera il più grande tra i “profeti”, anzi la bocca stessa di Dio, contiene dei precetti morali davvero universali, riassumibili nell'indicazione dell'amore al prossimo, il che fa del Cristianesimo la più alta forma di religione (positiva).

Resta comunque fermo che il messaggio stesso di Cristo è interamente riconducibile a delle verità razionalmente conoscibili, e in generale che le religioni positive non possono avere una pretesa di verità in ciò che di dogmatico affermano: l'unica religione giusta pertanto è quella naturale, razionale.

la politica

Sempre nel Tractatus theologico-politicus Spinoza affronta il tema politico; tra le sue tesi principali ricordiamo quanto segue:

Per un giudizio

Pur essendovi un'esigenza giusta nella aspirazione di Spinoza alla pace, così da non essere sommerso da false preoccupazioni, è poi sbagliato il prescindere da qualcosa che pure è reale. Niente di reale, per quanto sgradevole e apparentemente assurdo, può essere ignorato. Se i beni finiti sono inferiori al Bene infinito, ciò non toglie che quest'ultimo rifulge anzitutto in quelli, che devono essere attraversati fino in fondo, cogliendone il valore di segno, ma non disprezzati. È ingiusto pretendere una indifferenza totale davanti a qualunque cosa accada.

A monte di questo errore etico, sta l'errore ontologico di pensare in termini panteistici: come si può negare alle cose che i sensi ci attestano una reale autonomia? Ma è questo che fa Spinoza non riconoscendo alle cose il carattere di sostanze, per affermare una sola Sostanza.

📖 Testi on-line

dall'Ethica

le prime definizioni

I. Per causam sui intelligo id, cuius essentia involvit existentiam, sive id, cuius natura non potest concipi, nisi existens.

II. Ea res dicitur in suo genere finita, quae alia ejusdem naturae terminari potest. Ex. gr. corpus dicitur finitum, quia aliud semper majus concipimus. Sic cogitatio alia cogitatione terminatur. At corpus non terminatur cogitatione, nec cogitatio corpore.

III. Per substantiam intelligo id, quod in se est, et per se concipitur: hoc est id, cujus conceptus non indiget conceptu alterius rei, a quo formari debeat.

IV. Per attributum intelligo id, quod intellectus de substantia percipit, tanquam ejusdem essentiam constituens.

V. Per modum intelligo substantiae affectiones, sive id, quod in alio est, per quod etiam concipitur.

VI. Per Deum intelligo ens absolute infinitum, hoc est, substantiam constantem infinitis attributis, quorum unumquodque aeternam, et infinitam essentiam exprimit.

Dio e il mondo

Quicquid est, in Deo est, et nihil sine Deo esse, neque concipi potest. (Ethica, I, pr. XV)

Ex necessitate divinae naturae, infinita infinitis modis (hoc est, omnia, quae sub intellectum infinitum cadere possunt) sequi debent.(Ethica, I, pr. XVI)

Deus ex solis suae naturae legibus, et a nemine coactus agit.(Ethica, I, pr. XVII)

Deus est omnium rerum causa immanens, non vero transiens. (Ethica, I, pr. XVIII)

In rerum natura nullum datur contingens, sed omnia ex necessitate divinae naturae determinata sunt ad certo modo existendum, et operandum.(Ethica, I, pr. XXIX)

la mente e la volontà

In Mente nulla datur volitio, sive affirmatio, et negatio praeter illam, quam idea, quatenus idea est, involvit. (Ethica, II, pr. XLIX)

passioni, libertà e virtù

Ex virtute absolute agere nihil aliud in nobis est, quam ex ductu rationis agere, vivere, suum esse conservare (haec tria idem significant), idque ex fundamento proprium utile quaerendi.(Ethica, IV, pr. XXIV)

Homo liber de nulla re minus, quam de morte cogitat, et ejus sapientia non mortis, sed vitae meditatio est.(Ethica, IV, pr. LXVII)

Mentis Amor intellectualis erga Deum est ipse Dei Amor, quo Deus se ipsum amat, non quatenus infinitus est, sed quatenus per essentiam humanae Mentis, sub specie aeternitatis consideratam, explicari potest, hoc est, Mentis erga Deum Amor intellectualis pars est infiniti amoris, quo Deus se ipsum amat.(Ethica, V, pr. XXXVI)

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