Il Papa giusto: Pio XII

contro le ingiuste accuse contro Pio XII

Un’accurata documentazione in difesa di papa Pacelli. Contro chi ancora lo vuole antisemita e tenero col regime nazista. Cinquant’anni di apprezzamenti da parte di ebrei di tutto il mondo. E ora la richiesta che venga riconosciuto come “giusto”

«Il Talmud insegna che “chiunque salvi una vita, gli sarà riconosciuto secondo le Scritture come se avesse salvato il mondo intero”. Più di ogni altro leader del ventesimo secolo, Pio XII adempì a questo detto del Talmud, quando era in gioco la sorte dell’Ebraismo europeo. Nessun altro papa è stato apprezzato tanto diffusamente dagli ebrei, e non a torto. La loro gratitudine, come quella dell’intera generazione dei sopravvissuti all’Olocausto, testimonia che Pio XII fu, veramente e profondamente, un “giusto gentile”».
Rabbino di New York, David Dalin è una delle personalità di spicco del mondo ebraico statunitense. Un suo libro,
Religion and State in the American Jewish Experience, è stato indicato come uno dei migliori lavori accademici del 1998. Ha tenuto diverse conferenze sui rapporti ebraico-cristiani nelle università di Hartford Trinity College, George Washington e Queens College di New York. Con l’articolo pubblicato su The Weekly Standard (settimanale che rappresenta la massima espressione dell’élite neoconservatrice americana) del 26 febbraio 2001, il Rabbino David Dalin chiede che Pio XII venga riconosciuto come “giusto”, in virtù di quanto ha fatto per salvare gli ebrei dall’Olocausto. Ne pubblichiamo ampi stralci.

Anche prima della morte di Pio XII nel 1958, in Europa lo si accusava di essere stato favorevole al nazismo - un luogo comune della propaganda comunista contro l’Occidente.
L’accusa scomparve per alcuni anni sotto l’ondata di omaggi, provenienti sia dagli ebrei che dai gentili, che seguì la morte del Papa, per rispuntare ancora nel 1963 con l’apparire de Il Vicario, una pièce di uno scrittore tedesco di sinistra (già appartenente alla Hitler Jugend), rispondente al nome di Rolf Hochhuth.
Il Vicario
era un’opera molto fantasiosa e altamente polemica, in cui si sosteneva che la preoccupazione di Pio XII per le finanze vaticane lo aveva lasciato indifferente allo sterminio della popolazione ebraica in Europa. Ma la pièce di Hochhuth destò ugualmente una notevole attenzione nell’opinione pubblica, scatenando una controversia che si protrasse fino a tutti gli anni ’60. E ora, trascorsi più di trent’anni, quella controversia è scoppiata di nuovo all’improvviso, per ragioni non immediatamente chiare.
Ma la parola “scoppiata” non descrive abbastanza l’attuale ondata di polemiche. Negli ultimi diciotto mesi sono usciti nove libri che parlano di Pio XII: Hitler’s Pope di John Cornwell, Pius XII and the Second World War di Pierre Blet, Papal Sin di Garry Wills, Pope Pius XII di Margherita Marchione, Hitler, the War, and the Pope di Ronald J. Rychlak, The Catholic Church and the Holocaust, 1930-1965, di Michael Phayer, Under His Very Windows di Susan Zuccotti, The Deformation of Pius XII di Ralphy McInerny e recentemente Constantine’s Sword di James Carroll.
Poiché quattro di questi volumi - quelli di Blet, Marchione, Rychlak e McInerny - si schierano in difesa del Papa (e due, quelli di Wills e Carroll, coinvolgono Pio XII solo come una parte di un più vasto attacco contro il cattolicesimo), il quadro può apparire equilibrato. Di fatto, leggendo tutti e nove questi libri si può concludere che i difensori di Pio XII hanno le argomentazioni più forti.
Eppure proprio i volumi che diffamano il Papa sono risultati al centro dell’attenzione.(…)

Einstein, Golda Meir, Herzog…

Stranamente quasi tutti quelli che perseguono oggi questa linea - dagli ex-seminaristi John Cornwell e Garry Wills all’ex-prete James Carroll - sono ex-cattolici o cattolici contestatori. Per i leader ebrei della generazione precedente la campagna contro Pio XII sarebbe stata oltremodo sconvolgente. Durante e dopo la guerra, molti ebrei famosi - Albert Einstein, Golda Meir, Moshe Sharett, Rabbi Isaac Herzog e tantissimi altri - espressero pubblicamente la loro gratitudine verso Pio XII. Nel suo libro del 1967, Three Popes and the Jews, il diplomatico Pinchas Lapide (che prestò servizio come console di Israele a Milano e intervistò gli italiani sopravvissuti all’Olocausto) dichiarò che Pio XII «diede un contributo sostanziale a salvare 700.000, ma forse addirittura 860.000 ebrei da morte certa per mano dei nazisti». (…)
In fondo, il volume del 1967 di Lapide resta ancora l’opera più efficace scritta da un ebreo sull’argomento, e nei trentaquattro anni trascorsi dalla sua uscita molto materiale si è reso disponibile negli archivi vaticani e altrove. Sono state raccolte molte testimonianze dirette e un numero impressionante di interviste con sopravvissuti all’Olocausto, cappellani militari e civili cattolici. Dati i recenti attacchi, è venuto il momento di schierarsi nuovamente in difesa di Pio XII.(…)
Nel gennaio 1940, per esempio, il Papa diede istruzione alla Radio Vaticana di rivelare le «spaventose crudeltà della selvaggia tirannide» che i nazisti stavano infliggendo agli ebrei e ai cattolici polacchi. Riportando notizia della trasmissione una settimana dopo, il Pubblico difensore degli ebrei di Boston l’apprezzò per quello che era: «Una esplicita denuncia delle atrocità perpetrate dai tedeschi nella Polonia occupata dai nazisti, dichiarandola apertamente come un affronto alla coscienza morale dell’intera umanità». Il New York Times scrisse nel suo editoriale: «Ora il Vaticano ha parlato, con un’autorità che non può essere messa in discussione, e ha confermato i peggiori presagi di terrore che emergono dalle tenebre della Polonia». In Inghilterra il Manchester Guardian elogiò il Vaticano come «il più energico difensore della Polonia torturata».

«Spiritualmente semiti»

Qualsiasi lettura onesta e puntuale delle circostanze di fatto dimostra come Pio XII non mancasse mai di esprimere la propria critica al nazismo. Si pensi solo ad alcuni punti salienti della sua opposizione prima della guerra.
Dei quarantaquattro discorsi pronunciati da Pacelli in Germania come nunzio apostolico tra il 1917 e il 1929, quaranta denunciavano qualche aspetto dell’ideologia nazista emergente.
Nel marzo del 1935 Pacelli scrisse una lettera aperta al vescovo di Colonia definendo i nazisti «falsi profeti con l’orgoglio di Lucifero». In quello stesso anno si scagliò contro le ideologie «possedute dalla superstizione della razza e del sangue» davanti a una enorme folla di pellegrini a Lourdes. Due anni dopo, in Notre-Dame a Parigi, chiamò la Germania «quella nobile e potente nazione che sarà condotta fuori strada da cattivi pastori, ad abbracciare un’ideologia razzista».
I nazisti erano «diabolici» - così diceva in privato agli amici. Hitler è «totalmente ossessionato», disse a suor Pascalina, che fu la sua segretaria per tanti anni. «Tutto ciò non è un vantaggio per lui, è un distruttore… quest’uomo è capace di camminare sui cadaveri». Incontrando nel 1935 l’eroico antinazista Dietrich von Hildebrand, Pio XII dichiarò: «Non c’è possibilità di conciliazione» tra il cristianesimo e il razzismo nazista, poiché «sono come fuoco e acqua». (…)
Fu nel periodo in cui Pacelli era il consigliere particolare del suo predecessore Pio XI che il pontefice fece la famosa dichiarazione del 1938 davanti a un gruppo di pellegrini belgi affermando che «l’antisemitismo è inammissibile; spiritualmente noi siamo tutti semiti». E fu ancora Pacelli a scrivere la bozza dell’enciclica di Pio XI Mit brennender Sorge, una condanna della Germania tra le più aspre che la Santa Sede abbia mai pronunciato. Di fatto, negli anni ’30, Pacelli fu ampiamente diffamato nella stampa nazista come il cardinale di Pio XI «amico degli ebrei», a causa delle oltre cinquanta lettere di protesta da lui inviate ai tedeschi come Segretario di Stato vaticano. A ciò vanno aggiunti alcuni episodi salienti dell’azione di Pio XII durante la guerra.

The New York Times

La sua prima enciclica, Summi Pontificatus, pubblicata in gran fretta nel 1939 per impetrare la pace, era in parte una dichiarazione che il ruolo proprio del papato era quello di intercedere presso entrambe le parti belligeranti, piuttosto che schierarsi per l’una o per l’altra. Ma citava anche molto acutamente san Paolo: «Non ci sono più ebrei né gentili», usando la parola «ebrei» specificamente nel contesto di un rifiuto dell’ideologia razziale. Il New York Times accolse l’enciclica con un articolo in prima pagina il 28 ottobre 1939: «Il Papa condanna i dittatori, i violatori dei trattati e il razzismo». Forze aeree alleate paracadutarono migliaia di copie del quotidiano sopra la Germania nel tentativo di ridestare sentimenti antinazisti.
Nel 1939-40 Pio XII funse da intermediario segreto tra i membri di una congiura tedesca anti-hitleriana e gli inglesi. Corse altrettanti rischi avvertendo gli Alleati dell’imminente invasione tedesca in Olanda, Belgio e Francia. (…)
Quando nel 1942 i Vescovi francesi pubblicarono lettere pastorali contro le deportazioni, Pio XII inviò il suo nunzio a protestare con il governo di Vichy contro «gli arresti disumani e le deportazioni degli ebrei dalle zone della Francia occupata in Slesia e in alcune parti della Russia». Radio Vaticana commentò per sei giorni di fila le lettere dei Vescovi - in anni in cui in Germania e in Polonia ascoltare Radio Vaticana era un crimine che alcuni pagarono con la pena capitale. («Pare che il Papa interceda per gli ebrei inseriti nelle liste di deportazione dalla Francia» - così titolava il New York Times il 6 agosto 1942. «Vichy cattura gli ebrei; ignorato l’appello di papa Pio», riportava il Times tre settimane dopo). (…)
Nell’estate del 1944, dopo la liberazione di Roma, ma prima della fine della guerra, Pio XII disse a un gruppo di ebrei romani che erano venuti a ringraziarlo per la sua protezione: «Per secoli gli ebrei sono stati trattati ingiustamente e disprezzati. È giunta l’ora in cui devono essere trattati con giustizia e umanità, Dio lo vuole e la Chiesa lo vuole. San Paolo ci dice che gli ebrei sono nostri fratelli. Ma dovrebbero essere anche accolti come amici».
Poiché questi e centinaia di altri esempi sono screditati uno per uno nei libri che recentemente hanno attaccato la figura di Pio XII, il lettore può perdere di vista la loro entità, il loro effetto complessivo che non lasciava alcun dubbio, meno di tutti tra i nazisti, sulla posizione del Papa. (…) Nell’editoriale del giorno successivo (1941) il New York Times dichiarò: «La voce di Pio XII è una voce solitaria nel silenzio e nell’oscurità che avvolge l’Europa in questo Natale… Chiedendo un “nuovo ordine autentico” basato su “libertà, giustizia e amore”, il Papa si è schierato apertamente contro l’hitlerismo». (…)
Nel valutare quali interventi Pio XII avrebbe potuto intraprendere, molti (tra i quali anch’io) avrebbero voluto vederlo pronunciare esplicite scomuniche. I nazisti, di tradizione cattolica, erano già incorsi automaticamente nella scomunica, con ogni loro atto, dalla mancata frequenza alla messa, alla mancata confessione di omicidi e al pubblico ripudio del cristianesimo. E, come risulta chiaramente dai suoi scritti e dalle sue conversazioni, Hitler aveva cessato di considerarsi cattolico - anzi, si considerava un anti-cattolico - già molto tempo prima di salire al potere.(…)

“Suicidio volontario”

I sopravvissuti all’Olocausto, come Marcus Melchior, Rabbino capo di Danimarca, osservavano che «se il Papa avesse preso esplicitamente posizione, Hitler probabilmente avrebbe massacrato ben più di sei milioni di ebrei e forse dieci volte dieci milioni di cattolici, se solo ne avesse avuto la possibilità». Robert M.W. Kempner, rifacendosi alla propria esperienza durante il processo di Norimberga, affermò in una lettera alla redazione dopo che il Commentary pubblicò un estratto da Guenter Lewy nel 1964: «Ogni mossa propagandistica della Chiesa cattolica contro il Reich hitleriano sarebbe stato non solo un “suicidio volontario”…, ma avrebbe anche accelerato l’esecuzione capitale di un maggior numero di ebrei e sacerdoti».
Non si tratta di una questione puramente speculativa. Una lettera pastorale dei Vescovi olandesi che condannava «lo spietato e ingiusto trattamento riservato agli ebrei» fu letta in tutte le chiese cattoliche olandesi nel luglio del 1942. La lettera, nonostante le sue buone intenzioni, perciò molto probabilmente ispirata da Pio XII, ebbe risvolti inattesi. Come osserva Pinchas Lapide: «La conclusione più triste e che dà più da pensare è che mentre il clero cattolico in Olanda protestava più ad alta voce, apertamente e spesso contro le persecuzioni degli ebrei di quanto non facesse la gerarchia religiosa di qualsiasi altra nazione occupata dai nazisti, il contingente più numeroso di ebrei - circa 110.000 o il 79% del totale - fu deportato ai campi di sterminio proprio dall’Olanda». (…)
Certo, ci si potrebbe chiedere cosa poteva esserci di peggio del genocidio di sei milioni di ebrei. La risposta è: la carneficina di altre centinaia di migliaia. E il Vaticano lavorò proprio per salvare quelli che poteva. (…) Resta il fatto che mentre circa l’80% degli ebrei europei trovò la morte durante la Seconda Guerra mondiale, l’80% degli ebrei italiani ebbe salva la vita.
Nei mesi in cui Roma si trovava sotto l’occupazione tedesca, Pio XII istruì il clero italiano su come salvare vite con ogni mezzo possibile. (…) Dall’ottobre del 1943, Pio XII dispose che chiese e conventi in tutta Italia dessero nascondiglio agli ebrei. Come risultato - e nonostante Mussolini e i fascisti avessero ceduto alla richiesta di Hitler di iniziare le deportazioni anche in Italia - molti cattolici italiani disobbedirono agli ordini dei tedeschi.

Rabat-Fohn

Roma, 155 conventi e monasteri diedero asilo a circa cinquemila ebrei. Almeno tremila trovarono rifugio nella residenza estiva del pontefice a Castel Gandolfo. Sessanta ebrei vissero per nove mesi dentro l’Università Gregoriana e molti furono nascosti nello scantinato del Pontificio Istituto Biblico. Centinaia di altri trovarono asilo all’interno del Vaticano stesso.
Seguendo le istruzioni di Pio XII, molti preti, monaci, suore, cardinali e vescovi italiani si adoperarono per salvare migliaia di vite di ebrei. Il cardinal Boetto di Genova ne salvò almeno ottocento. Il Vescovo di Assisi nascose trecento ebrei per oltre due anni. Il Vescovo di Campagna e due suoi parenti ne salvarono altri 961 a Fiume. (…)
Ma ancora una volta la testimonianza più eloquente è proprio quella dei nazisti. Documenti fascisti pubblicati nel 1998 (e riassunti nel volume Papa Pio XII di Marchione) parlano di un piano tedesco, denominato “Rabat-Fohn” che sarebbe dovuto scattare nel gennaio del 1944. Il piano prevedeva che l’ottava divisione di cavalleria delle SS, travestiti da soldati italiani, conquistassero San Pietro e «massacrassero Pio XII con tutto il Vaticano» e accenna esplicitamente alla «protesta del Papa in favore degli ebrei» come causa di tale rappresaglia.
Una storia analoga si può tracciare attraverso l’Europa. (…)
Ma il punto di partenza per questa discussione sta nella verità che la gente di quell’epoca, tanto i nazisti quanto gli ebrei, consideravano il Papa come il più importante oppositore dell’ideologia nazista nel mondo.
Già nel dicembre 1940, in un articolo del Time magazine, Albert Einstein rese omaggio a Pio XII: «Solo la Chiesa si è schierata apertamente contro la campagna di Hitler per la soppressione della verità. Non ho mai avuto un particolare amore per la Chiesa prima d’ora, ma adesso provo un grande affetto e ammirazione perché solo la Chiesa ha avuto il coraggio e la tenacia di schierarsi in difesa della verità intellettuale e della libertà morale. Sono perciò costretto a confessare che ora apprezzo senza riserve quello che un tempo disprezzavo».
Nel 1943 Chaim Weizmann, che sarebbe diventato poi il primo presidente dello stato di Israele, scrisse che «la Santa Sede sta prestando il suo potente aiuto laddove è possibile, per alleviare la sorte dei miei correligionari perseguitati».
Moshe Sharett, vice primo ministro israeliano, incontrò Pio XII alla fine della guerra e «gli dissi che era mio primo dovere ringraziare lui, e attraverso di lui la Chiesa cattolica, a nome del popolo ebraico per tutto ciò che hanno fatto nei vari Paesi per proteggere gli ebrei».
Il rabbino Isaac Herzog, Rabbino capo di Israele, inviò un messaggio nel febbraio del 1944 dichiarando: «Il popolo di Israele non dimenticherà mai ciò che Sua Santità e i suoi illustri delegati, ispirati dai principi eterni della religione, che stanno alla base della autentica civiltà, stanno facendo per i nostri sventurati fratelli e sorelle nell’ora più tragica della nostra storia, una prova vivente della Divina Provvidenza in questo mondo».
Nel settembre 1945 Leon Kubowitzky, segretario generale del Congresso ebraico mondiale, ringraziò personalmente il Papa per i suoi interventi, e il Congresso ebraico mondiale donò 20.000 dollari all’Obolo di San Pietro «come segno di riconoscenza per l’opera svolta dalla Santa Sede nel salvare gli ebrei dalle persecuzioni fasciste e naziste».

Benevolenza e magnanimità

Nel 1955, quando l’Italia celebrò il decimo anniversario della sua liberazione, l’Unione delle comunità ebraiche italiane proclamò il 17 aprile “Giornata di ringraziamento” per l’assistenza ricevuta dal Papa durante la guerra.(…)
Negare la legittimità della gratitudine espressa verso Pio XII equivale a negare la credibilità delle testimonianze personali e dei giudizi espressi sull’Olocausto stesso. «Più di tutti gli altri», richiamò Elio Toaff, un ebreo italiano che sopravvisse all’Olocausto e poi divenne Rabbino capo di Roma, «noi abbiamo avuto l’opportunità di sperimentare la grande benevolenza compassionevole e la magnanimità del Papa durante gli anni infelici della persecuzione e del terrore, quando sembrava che per noi non ci fosse più una via d’uscita».(…)
Il Talmud insegna che «chiunque salvi una vita, gli sarà riconosciuto secondo le Scritture come se avesse salvato il mondo intero». Più di ogni altro leader del ventesimo secolo, Pio XII adempì a questo detto del Talmud, quando era in gioco la sorte dell’Ebraismo europeo. Nessun altro papa è stato apprezzato tanto diffusamente dagli ebrei, e non a torto. La loro gratitudine, come quella dell’intera generazione dei sopravvissuti all’Olocausto, testimonia che Pio XII fu, veramente e profondamente, un “giusto gentile”.
(Traduzione a cura di Daria Rescaldani)


“Giusto tra le nazioni”

Nel pensiero ebraico i “giusti” sono coloro che affermano il valore dell’esistenza mettendo a rischio la propria vita. La difesa della vita è una legge che l’uomo trova iscritta in se stesso, tanto è vero che quando Dio domanda a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?», Caino risponde: «Sono forse il guardiano di mio fratello?», come se sapesse già di aver compiuto un atto riprovevole, sebbene non potesse ancora conoscere il comandamento «non uccidere». La difesa della vita quindi è una legge naturale, benché la sua pratica non sia imposta. Da qui l’attribuzione di “giusto” a chiunque - indipendentemente dalla religione professata - salvi una vita, e l’importanza che gli ebrei danno a questi uomini, tanto da riservar loro un giardino a “Yad Vashem”, il museo di Gerusalemme dedicato alla Shoah, dove piantano un albero per ogni “giusto”. Di tali persone - premiate con una medaglia e un attestato dello Stato d’Israele - si dice “Giusti fra le nazioni”, perché costituiscono il tramite di un riavvicinamento tra i popoli che sono stati vittima di una violenza e quelli che l’hanno perpetrata.

 

Storia di Anna

$autore="Paola Navotti";

Mercoledì 7 marzo, presso il Centro di Documentazione Ebraica (Cdec) di Milano, si è svolta la cerimonia di assegnazione della medaglia dei giusti tra le nazioni, alla signora Anna Sala - non di religione ebraica - che dall’inizio del 1943, per diciotto mesi, aiutò la famiglia ebrea Nissim Levi a scampare alla persecuzione nazista. La storia di questa coraggiosa donna è stata raccontata e commentata dalla presidentessa del Cdec, Liliana Picciotto; da Anna Sonnino, unica della famiglia “salvata” presente alla cerimonia; infine, dal vice ambasciatore d’Israele a Roma, Tibor Schlosser, a cui ha regalato il libro di don Giussani Che cos’è l’uomo perché te ne curi?, e che ha espresso parole di stima e di ringraziamento per l’immedesimazione di don Giussani nella tradizione del popolo ebraico.
Tra i presenti: Roberto Yarach, neo presidente della comunità ebraica di Milano, e Nedo Fiano, ebreo sopravvissuto ad Auschwitz, che nella celebrazione della recente “Giornata della memoria” tenuta nel Duomo di Milano, ha impressionato tutti urlando in tedesco i comandi che per un anno ha sentito nel lager.
«Ciò che più mi impressiona - dice la signora Sonnino - è che non siamo stati noi a cercare Anna, ma è stata lei». Originaria di Varese, Anna Sala si iscrive alla facoltà di Lingue a Ca’ Foscari di Venezia, dove incontra due ragazze ebree di Padova con le quali stringe subito amicizia, e che la invitano a frequentare la loro casa e gli amici della comunità ebraica. Quando cominciano a essere applicate le leggi razziali, temendo per l’incolumità delle sue amiche, Anna si impegna a proteggerle: inizialmente pensa di portarle in Svizzera, ma la formazione partigiana in cui militava (“Giustizia e Libertà”) avvisa di fucilazioni e arresti proprio al confine. Anna decide, allora, di nascondere la famiglia Nissim a Cunardo, paese tra Luino e Varese, dove nessuno li conosceva. Tale nascondiglio distava parecchia strada dalla stazione, ma Anna arrivava regolarmente, qualche volta a piedi, altre in bicicletta. Portava da mangiare, da vestire, perfino i giocattoli per le due bambine - ora anziane - che, nei messaggi letti da Anna Sonnino, raccontano di come nelle loro favole le fate avessero sempre il nome di Anna. La mamma delle due bambine, Ada, che aveva partorito neanche un mese prima della fuga, scrive: «Solo la forza di Anna mi convinse a partire». «Anna non voleva che ci rintanassimo in casa, continuava a ripeterci che dovevamo vivere. Riuscì perfino a portarmi al cinema», ricorda la signora Sonnino.
Con tono ufficiale ma per nulla affettato, il vice ambasciatore d’Israele dice di sentirsi «piccolo» ogni volta che si trova testimone di simili storie: «Se fossi stato al suo posto, cosa avrei fatto? Perché l’hai fatto tu e non un altro? Io non rappresento soltanto lo Stato d’Israele, ma la mia famiglia, che è ebrea: non posso non chiedermi chi sarei stato durante la persecuzione: un delatore o un salvatore?». Questa domanda è stata condivisa da tutti.
Un particolare mi ha colpito: che gli ebrei siano un popolo, che si sentano di un’unica famiglia, mi è sembrato evidente dal fatto che, al mio arrivo, la persona che conoscevo mi ha subito presentato a quelle che conosceva lei, con la premura che hanno le padrone di casa.