Socrate

la scommessa sulla razionalità dialogica

«Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta»
(Apologia di Socrate, 38A)

🪪 Cenni sulla vita

Nacque ad Atene nel 469 ca., e vi morì 399 a. C. Figlio dello scultore Sofronisco e della lui stesso pare dicesse di avere ereditato dal mestiere del padre l'arte di scolpire i concetti, con le definizioni, e da quello della madre l'arte di far partorire ideelevatrice Fenarete. Sposò prima Mirto (sembra) e poi Santippe, sul cui carattere intrattabile insistettero i filosofi cinici (che peraltro erano avversi al matrimonio), e da cui ebbe, in tarda età, due figli.

Partecipò alla vita politica del suo tempo, simpatizzando per i Trenta Tiranni, di cui pure non condivise certi eccessi: ad esempio, quando fu pritano (giudice) non eseguì l'ordine, dato da quelli, di arrestare, per poi giustiziare, Leonte di Salamina; di fisico fortissimo, combatté durante la guerra del Peloponneso, a Potidea e a Delo, dimostrando coraggio. Testimoni riferirono di vederlo concentrarsi in sè stesso, come dimentico del mondo intorno a sè e insensibile anche al dolore (è Maritain a sottolineare questi aneddoti, vedendovi una prima origine esperienziale del concetto di anima, come interiorità non interamente condizionabile dall'esterno).

Di aspetto brutto e satiresco, ebbe però un fascino irresistibile per la sua forte personalità. Praticò il dialogo su temi filosofici, soprattutto sull'uomo e l'etica, nelle strade e nelle piazze di Atene. Una cerchia di discepoli, tra cui Alcibiade, Senofonte, Critone, Fedone, Platone, lo seguiva fedelmente. Da loro, a differenza di quanto facevano i sofisti, non si faceva pagare.

Al ritorno della democrazia egli venne guardato con sospetto, per le sue precedenti preferenze politiche. Accusato, pretestuosamente, di corrompere la gioventù con dottrine atee, fu sottoposto a processo. Tenne una linea di intransigente difesa della verità, rifiutando ogni accomodamento, quale gli veniva suggerito tra l'altro dal celebre oratore Lisia, che invano gli preparò un discorso difensivo conciliante. Condannato dapprima (con maggioranza risicata) come colpevole, e poi, quando gli venne chiesto quale pena suggerisse gli dovesse essere inflitta, egli chiese quello che gli appariva come la cosa più giusta, ossia di essere mantenuto a spese della città, senza considerare che con tale richiesta (di un premio invece che di una punizione) egli avrebbe verosimilmente provocato e irritato i suoi giudici. In tal modo egli fu condannato (da più ampia maggioranza dei giurati) a morte, mediante l'assunzione di un veleno, la cicuta, che dovette bere.

Affrontò tale morte con serenità, rifiutando l'esilio e la fuga, offertagli da Critone, con la complicità dei guardiani, per non violare le leggi della sua città; così facendo egli confermava nei suoi discepoli una ammirazione sconfinata. Ancora una volta infatti egli anteponeva la verità e la giustizia al suo immediato interesse materiale.

Platone, il suo discepolo (filosoficamente) più importante presenta lo spirito che animava il maestro come un voler insegnare agli uomini a conoscere e a curare se stessi, mettendogli in bocca queste parole:

«O miei concittadini di Atene, io vi sono obbligato e vi amo; ma obbedirò piuttosto al Dio che a voi; e finché io abbia respiro, e finché io ne sia capace, non cesserò mai di filosofare e di esortarvi e ammonirvi, chiunque io incontri di voi e sempre, e parlandogli al mio solito modo, così: “O tu che sei il migliore degli uomini, tu che sei Ateniese, cittadino della più grande città e più rinomata per sapienza e potenza, non ti vergogni tu a darti pensiero delle ricchezze per ammassarne quante più puoi, e della fama e degli onori; e invece della intelligenza e della verità e della tua anima, perché ella diventi quanto è possibile ottima, non ti dai affatto né pensiero né cura?”.

E se taluno di voi dirà che non è vero, e sosterrà che se ne prende cura, io non lo lascerò andare senz'altro, né me ne andrò io, ma sì lo interrogherò, lo studierò, lo confuterò; e se mi paia che egli non possegga virtù ma solo dica di possederla, io lo svergognerò dimostrandogli che le cose di maggior pregio egli tiene a vile e tiene in pregio le cose vili. E questo io lo farò a chiunque mi capiti, a giovani e a vecchi, a forestieri e a cittadini; e più ai cittadini, a voi, dico, che mi siete più strettamente congiunti.

Ché questo, voi lo sapete bene, è l'ordine del Dio,; e io sono persuaso che non ci sia per voi maggior bene nella città di questa mia obbedienza al Dio. Né altro in verità io faccio con questo mio andare attorno se non persuadere voi, e giovani e vecchi, che non del corpo dovete aver cura né delle ricchezze né di alcun'altra cosa prima e più che dell'anima, così che ella diventi ottima e virtuosissima; e che non dalle ricchezze nasce virtù, ma dalla virtù nascono ricchezze e tutte le altre cose che sono beni per gli uomini, così ai cittadini singolarmente come allo Stato.»

Platone, Apologia di Socrate, 29 d - 30 b (traduzione di M. Valgimigli).

La “questione socratica”

come conoscere il pensiero di uno che non ha scritto nulla?

perché non scrisse nulla

Socrate non ha voluto scrivere niente, perché diffidava della comunicazione scritta: essa infatti gli appariva come potenzialmente violenta e ingannevole. Infatti uno scritto non concede la possibilità di replica, né quella di chiedere dei chiarimenti. Come invece avviene quando ci si parla.

Egli puntò quindi tutto sul dialogo vivo.

come ricostruire il suo pensiero

Come possiamo allora sapere che cosa ha detto? Fondandoci sulle testimonianze di chi lo ha conosciuto: Aristofane, Policrate, Senofonte, Platone, e di chi, senza averlo conosciuto, ne ha sentito parlare da testimoni diretti, come Aristotele.

scrivano greco
Socrate non scrisse niente

Aristofane ne parla nella commedia Le nuvole (rappresentata ad Atene nel 423), presentandolo in prospettiva denigratoria, accostandolo ai sofisti e ai naturalisti (e in questo si riferisce probabilmente al periodo giovanile di Socrate). Socrate vi è descritto come un perdigiorno seduto a mezz'aria su un pensatoio e tutto intento a corrompere la mente dei giovani, insegnando loro tesi naturalistiche circa gli dèi, negatrici della tradizionale religione della polis.

Policrate fu un sofista e avversò Socrate accusandolo, nella Accusa contro Socrate del 393, di conservatorismo politico e di disprezzo per la democrazia. Queste notizie non toccano le tesi filosofiche di Socrate, ma rappresentano una forzatura caricaturale di atteggiamenti che in Socrate furono tutt'altro che centrali.

Senofonte fu discepolo di Socrate, ma non avendo una mente filosofica ne comprese ben poco il messaggio più profondo: il ritratto che ce ne lascia ne I Memorabili è perciò banalizzante e macchiettistico. Il maestro, che Senofonte ricorda con venerazione, viene descritto soprattutto nei suoi tratti esteriori di bonarietà e pazienza.

Platone oltre che essere discepolo di Socrate ebbe una intelligenza filosofica che gli consentì di penetrare appieno il senso del messaggio socratico; ma proprio per questo la filosofia del maestro viene vista attraverso l'ottica, forte e creativa, del discepolo, per cui non è sempre facile capire dove finisca Socrate e dove cominci Platone. Di sicuro nei dialoghi platonici giovanili più forte è l'incidenza del Socrate reale, mentre in quelli successivi Platone mette in bocca a Socrate le sue tesi.

Aristotele ebbe il pregio di essere un autentico filosofo, abilitato a comprendere in profondità le tesi filosofiche di Socrate, ma il limite di non averlo conosciuto personalmente.

Laddove tali testimonianze concordano e attribuiscono a Socrate delle tesi che prima di lui nessuno aveva sostenuto e dopo di lui entrarono in circolazione nella filosofia greca, diventa del tutto verosimile ritenere che tali tesi siano state davvero quelle sostenute da Socrate.

evoluzione del suo pensiero

Sembra che in una prima fase, giovanile, Socrate fosse influenzato dai fisici naturalistici, in particolare da Anassagora. In tale fase egli pensava fosse possibile un sapere del cosmo.

Da tale convinzione si staccò, probabilmente in modo graduale, riflettendo sulle contraddizioni in cui si erano arenati i fisici, anche se qualcuno (come il Taylor) parla di una crisi brusca, prendendo sul serio la narrazione fatta da Platone nell'Apologia circa il colloquio di Socrate con la Sibilla. Quest'ultima gli avrebbe rivelato che lui era il più sapiente di tutti i greci, proprio per il suo sapere di non sapere nulla, in particolare riguardo al cosmo e all'essere. Si veda un passaggio del film Socrate, di Roberto Rossellini.

Così Socrate si concentrò solo su un certo tipo di sapienza, la sapienza riguardante l'uomo, la anthropìne sofìa.

il fine della filosofia per Socrate

Il fine per cui occorre coltivare la filosofia


non è, come per i sofisti,

ma, per Socrate, è

Insomma, per Socrate la filosofia non deve essere intesa in senso utilitaristico, o mercenario/mercantile, come un mezzo per far soldi o per prendere il potere, ma serve a cercare la verità. Lui stesso testimoniò con la sua vita e la sua morte questa vera e propria missione al servizio della verità.

il metodo socratico: la dialettica come dialogo

«la verità è opera di uomini che vivono insieme
e discutono con benevolenza» (Platone, VII lettera)

Il metodo dialettico di Socrate prevedeva essenzialmente il rapporto con altri nella elaborazione della verità. La verità non è faccenda esclusivamente individuale, non nel senso che un individuo non la possa cogliere e difendere anche contro altri individui, fossero pure numerosissimi, come accadde quando Socrate fu condannato, ma nel senso che solo confrontandosi con sincerità umana con altri uno può diventare sempre più certo della verità. Solo se viene comunicata e confrontata con altri, l'individuo ne può essere in possesso. Una verità non condivisa e non confrontata diventa meno verità per l'individuo che l'abbia intravvista. Poi, che gli altri la accettino o meno, è un altra questione: possono anche rifiutarla, o possono rifiutarsi di cercarla, ma il filosofo ha assolto la sua funzione, ha adempiuto il suo compito. Dunque dialettica come dialogo.

In un senso dunque parzialmente diverso da quello di Zenone di Elea, che intendeva la dialettica come contrapposizione, Socrate intende il dialogo e il metodo dialettico non come aprioristica negazione di una tesi avversaria, ma come un cammino comune verso la verità, in cui l'altro può giocare una funzione realmente costruttiva.

La dialettica si scandiva in quattro aspetti, o momenti, fondamentali:

l'antropologia

Non l'essere e il cosmo, ma l'uomo è oggetto della riflessione socratica

Il suo rifiuto di riflettere su temi metafisici o cosmologici è stato variamente interpretato. Per alcuni sarebbe l'indizio di uno scetticismo, che lo accomunerebbe ai sofisti. Non sembra però che questa sia la conclusione giusta: Socrate testimoniò con la parola e la vita di credere in una verità assoluta, in obbedienza alla quale affrontò la morte. Piuttosto percepì verosimilmente la maggiore urgenza di soffermarsi sul tema antropologico, allora più sentito, tanto più forse dopo le deludenti contraddizioni a cui era sembrata approdare la parabola della precedente riflessione metafisico-cosmologica. Quella che dunque Socrate cerca è una sapienza relativa all'uomo, una ανθρώπινε σοϕία

L'uomo non è essenzialmente il suo corpo, ma la sua anima

La cosa più importante, ciò che davvero vale è l'anima, che infatti è di livello superiore al corpo (come e più di quanto un vegetale sia superiore a una pietra, o un animale a un vegetale); e infatti l'anima dura oltre il corpo. Tale tesi non era nuova nella cultura greca: tutto il filone cosiddetto mediterraneo (preindoeuropeo), ossia orfico-misterico, il filone della religiosità dionisiaca contrapposto a quella olimpica, poneva la vera consistenza dell'uomo nella sua anima; tuttavia Socrate è il primo a fondere in unità l'idea di anima spirituale immortale con il carattere della razionalità: il filone orfico-misterico infatti collocava l'essenza dell'anima nella irrazionalità, o almeno in una istintività affettivo-emozionale;

Teseo e il minotauro: la ragione, con S., cerca di domare l'istinto
la ragione, con S., cerca di domare l'istinto

L'anima è essenzialmente ragione

Come abbiamo appena detto: l'uomo si trova non nei momenti in cui abdica alla razionalità (come nelle feste dionisiache), ma riflettendo, usando la sua consapevolezza;

dunque realizzare l'umano è realizzare la razionalità, comportarsi razionalmente, e qui passiamo alla proposta etica di Socrate.

etica

Per un giudizio

Nietzsche pensava che con Socrate cominciasse la corruzione del pensiero occidentale: il filosofo ateniese avrebbe inaridito la spinta spontaneo-istintiva dell'uomo, sottoponendola al vaglio di una riflessione razionale che frena e imbriglia l'istinto immediato.

Non si può negare che vi sia in lui il rischio di un eccesso di razionalizzazione (in senso diverso da quello di Freud, beninteso), ad esempio nell'intellettualismo socratico, o, per citare un esempio esistenziale, nella sua, proverbiale, imperturbabilità, con cui egli sembrava azzerare la normale componente di emotività e di affettività. Si pensi al suo rifiuto di reagire ai lazzi di certi ragazzini ateniesi, che invece provocavano l'ira dei suoi discepoli, o al suo compassato atteggiamento nell'imminenza della morte.

Tuttavia, più di tali limiti è giusto riconoscere a Socrate dei grandi meriti:

🤔 Quick test

Per Socrate

Socrate non scrisse niente per disprezzo vero gli altri

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