Le missioni cattoliche

in America latina

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dipendenza dalla chiesa di Spagna

«(...) Quanto fosse divenuto negativo l'assolutismo statale per le singole missioni lo mostra ad esempio la vita dell'apostolo della California, Junipero Serra OFM, come appare da documenti inediti23, poiché un fatto del genere non poteva essere accennato in quelli pubblicati. Per tale motivo, anche la biografia, scritta nel 1787 dal vecchio compagno e seguace di Serra, Francesco Palou, parla solamente degli aspetti buoni della collaborazione tra stato e chiesa o della necessità di una tutela militare delle stazioni missionarie sia in Messico che in California24.

Se già il regalismo costituiva un grave danno degli interessi religiosi nei paesi americani, la situazione divenne addirittura catastrofica per il divieto di organizzare una chiesa indiana; infatti, già agli inizi della predicazione della fede, i missionari, soprattutto i francescani, avevano in mente una chiesa indiana e non una chiesa su modello spagnolo25, benché non v'è dubbio, non si conoscessero ancora perfettamente la meta ed i mezzi per arrivarvi 26 .

Il divieto di organizzare una chiesa indiana, divieto espresso dalla Junta Magna nel 1568, può essere evidenziato attraverso parecchi elementi negativi, che apparvero chiaramente dopo la Junta. In primo luogo vi è la soppressione di tutte le pubblicazioni sulla propagazione della fede, nelle quali erano messe in risalto le grandi capacità e le buone qualità degli indiani. Tra gli scritti francescani vanno nominati: Motolinia (Toribio de Benavente), Historta de los Indios de la Nueva Espana, un documento basilare, scoperto e pubblicato per la prima volta nel 1858 dallo storico messicano J. Garcia Icazbalceta2?, poi Geronimo de Mendieta, Historia Eclesiàstica Indiana, rinvenuta dal medesimo studioso e stampata nel 1870 28, e, non ultime, tutte le opere dello studioso Bernardino de Sahagùn. Durante la sua vita fu pubblicato solamente uno dei suoi lavori, la Psalmodia christiana (Messico 1583), mentre i manoscritti delle altre opere, quelli soprattutto della sua voluminosa Historia general de las cosas de Nueva Espana, furono sequestrati e mandati in Spagna per essere esaminati e poi scomparire negli archivi statali ed essere riscoperti solamente nel XIX secolo29.

Mentre Bartolomé de Las Casas OP ancora nel 1552 aveva potuto dare alle stampe una serie dei suoi scritti, tra i quali anche la virulenta Brevìsima Relación de la destrucción de las Indias, le altre sue opere, soprattutto l'ampia Historia General de las Indias, dovettero aspettare fino ai secoli xix e xx30. Miglior sorte non conobbe l'Historia de la Indias de la Nueva Espana, terminata nel 1581, del suo confratello Diego Duràn31. La situazione era uguale a quella del Messico anche in altri paesi, soprattutto in Perù e Colombia.

L'opera di tutta la vita del francescano Pedro Aguado, il primo cronista della Colombia, opera che solo nel xx secolo fu conosciuta in ambienti meno ristretti, è stata illustrata dallo storico colombiano Juan Friede mediante comparazioni di manoscritti, mettendo così in evidenza le norme della censura statale (quelle ecclesiastiche dovevano sempre esser precedentemente esaminate)32. Erano le seguenti: 1. doveva essere soppresso tutto ciò che sminuiva il buon nome della conquista e dei conquistadores', 2. trattando delle missioni dovevano essere tralasciati tutti gli accenni a conflitti, soprattutto con le autorità statali; 3. gli indiani dovevano essere presentati come razza inferiore senza cultura33. Gli autori, anche i cronisti degli ordini, che volevano avere delle speranze d'ottenere il necessario permesso di stampa, dovevano regolarsi secondo queste norme non scritte, ma osservate con esattezza.

divieto del clero indigeno?

La discriminazione verso gli indiani, praticata secondo J. Friede dall'ufficio statale della censura, mostra chiaramente che in questo modo doveva essere colpito proprio un elemento essenziale per l'organizzazione di una chiesa indiana: la formazione di un clero indigeno34. In verità, già il concilio del Messico del 1555 aveva vietato di consacrare sacerdoti degli indiani, ma l'aveva fatto in senso più generale (in connessione con i muslims [moros], meticci e mulatti)35, mentre già il III Concilio di Lima del 1567-68 riferì il divieto esclusivamente ad indiani da poco convertiti36.

Stando alla lettera del testo conciliare, la negazione del sacerdozio agli indiani sembrava essere un provvedimento transitorio (hoc tempore). In effetti, però, doveva durare fino al sec. XVIII. Ebbero modo di provarlo i francescani nel loro collegio di Tlaltelolco (Messico), fondato dal vescovo Zumarraga nel 1535 con lo scopo primario di formare un clero indigeno. Il partito ostile agli indiani, laici, clero secolare, religiosi - persino tra i francescani , ebbe il sopravvento e dopo gli anni sessanta la scuola, una volta fiorente, non fece che vivacchiare37. La medesima esperienza dovettero fare anche i gesuiti, che operavano nel paese dal 1572. Sotto la direzione spirituale di P. Juan de Tobar, nato in Messico, cercarono di ottenere dal generale il permesso di fondare un collegio per la formazione di sacerdoti indiani. Dopo 15 anni di tentativi, il progetto fu definitivamente respinto38. L'ultima decisione, presa dal generale Claudio Acquaviva, era stata anticipata dalle direttive generali della }unta del 156839.

In questo contesto suscitano impressione gli sforzi della congregazione di Propaganda e, rispettivamente, del suo primo segretario Francesco Ingoli, che in lettere e petizioni a papi, cardinali e generali di ordini sostenne con motivazioni convincenti la consacrazione di sacerdoti indiani in America, ma il potere del Consiglio delle Indie non poté venire spezzato neppure dai papi40.

In questo regalismo Filippo II non si lasciava certo guidare da tendenze anticristiane. Egli era profondamente convinto della missione divina, che credeva di aver avuto proprio per l'edizione della chiesa americana. I vescovi da lui proposti erano senz'altro persone colte, pie, apostoliche, e lo stesso dicasi per i visitatori degli ordini. Fu sovvenzionata la costruzione di chiese e monasteri, ospedali e scuole, ma fu sostenuta anche la missione tra gli indiani. Cercò inoltre di promuovere dappertutto la venerazione ed il rispetto verso la santa sede ed i papi. Ci troviamo così dinanzi ad un fenomeno paradossale: in nessun altro luogo la venerazione del papa fu così grande come nei paesi americani, dove praticamente rimase esclusa ogni influenza papale41. Per impedire al suo antagonista, Pio v, per il quale l'attuazione del concilio di Trento era una istanza che gli stava molto a cuore, di portare avanti le sue richieste nei confronti della chiesa americana, Filippo II aveva ordinato di eseguire le disposizioni tridentine già con lo scritto del 12 luglio 1564; l'arcivescovo Alonso de Montùfar aveva convocato già per il 1565 il secondo concilio del Messico, che doveva promulgare, adattare, riconfermare il Tridentino. Il III concilio di Lima del 1567-1568 svolse la medesima funzione per il Sudamerica42.

Il Concilio di Trento ebbe un significato benefico per la chiesa d'Europa, ma per la chiesa nascente indiana doveva manifestarsi come una spada a doppio taglio. Prescindendo completamente dal fatto che l'America, in seguito alle disposizioni di Carlo v e Filippo II, malgrado tutti i tentativi di alcuni vescovi, non fu rappresentata a Trento e dei suoi problemi non si parlò da nessuna parte43, le tendenze centraliste ora affioranti dovevano agire da ostacolo e dimostrarsi alla fine funeste433. Il danno più grave stava certo nell'interrompere la crescita organica, già avviata, di una .chiesa indiana; le originarie idee-guida missionarie furono abbandonate con sorprendente rapidità. La prima generazione dei missionari aveva dinanzi agli occhi l'esempio della chiesa primitiva; la dottrina della chiesa come corpo mistico era stata fatta conoscere molto presto ai loro cristiani44. La predicazione della fede era profondissimamente radicata nella Sacra Scrittura e negli insegnamenti dei Padri45. Che la dottrina della fede fosse particolar-mente ordinata all'intelligenza ed alla capacità di comprensione degli Indiani lo testimonia l'espressione Theologia Indiana*. Sotto questo nome, [285] nel sec. XVI, si comprendevano i manuali e i trattati nelle lingue indigene. Dopo il XVI sec. questo atteggiamento spirituale viene meno sempre di più e lascia il posto ad un orientamento puramente europeo-spagnolo, che si concretizza ad es. nel tradurre catechismi europei (come quello di Bellar-mino) e nel respingere la Sacra Scrittura ed i Padri47.

La propagazione delle fede in America

Nell'ambito esterno l'attuazione delle disposizioni tridentine circa la cura d'anime dei religiosi ed il loro rapporto coi vescovi ebbe in particolare conseguenze disastrose, tanto più che tutt'e due le parti, vescovi e ordini, erano, dalla parte del diritto. A favore dei vescovi parlavano i decreti del Tridentino, nella redazione dei quali però nessuno aveva pensato alla situazione missionaria; a favore degli ordini mendicanti vi erano le esperienze della prassi missionaria e l'enorme lontananza delle sedi vescovili48. Era a tutti ovvio che con l'aumentare dei sacerdoti secolari la regolare cura d'anime spagnola sarebbe divenuta affare loro. Diversa però era la situazione nelle doctrinas ( = stazioni missionarie) degli indiani, spesso distanti e molto estese. La loro erezione ed organizzazione era completamente opera degli ordini mendicanti, che esercitavano le loro funzioni sacerdotali sulla base di privilegi papali, concessi soprattutto con la bolla di Adriano VI (1522), detta brevemente Omnimoda48a. Questi privilegi furono ripetuta-mente confermati da papi successivi, come avvenne ancora una volta nel 1567 da parte di Pio v.

Quando, a partire dalla metà del sec. xvi, in seguito alle premure dei vescovi, crebbe il numero dei sacerdoti secolari e furono da loro occupati i posti dei capitoli cattedrali e delle parrocchie, fino allora tenute dai missionari, il clero secolare entrò con forza sempre maggiore nelle bene organizzate doctrinas degli Indiani. Il passaggio delle doctrinas ai sacerdoti secolari incominciò già nel sec. xvi. Malgrado l'opposizione di alcuni ordini, in un primo momento il cambio avvenne senza danni rilevanti, tanto più che fin dall'inizio furono richieste anche ai sacerdoti secolari la conoscenza [p. 286] della lingua indigena e l'abilitazione al servizio liturgico nelle doctrinas. Solamente dopo i grandi concili di Lima e del Messico, le doctrinas furono affidate in numero maggiore al clero secolare ed i primi missionari furono relegati nei grandi conventi delle città con tutta la loro esperienza e le loro conoscenze linguistiche. Nel sec. XVII s'avvertirono ormai i grandi svantaggi di questo processo. A tale proposito, davvero infausto fu il modo di procedere del vescovo Juan de Palafox y Mendoza (1600-59), dal 1639 vescovo di Puebla e Visitador General de México (nel 1642 viceré del Messico fino all'arrivo del neoeletto, rifiutò l'arcivescovado di Città del Messico e nel 1646 ritornò in Spagna, dove morì come vescovo di Osma). Appena arrivato in Messico, indirizzò subito al re un atto di accusa contro i francescani (1640) per una giurisdizione scorrettamente usurpata. Nel medesimo anno uscì la sua prima lettera pastorale al clero di Puebla, nella quale sottolineava il diritto del clero secolare su tutta quanta la cura d'anime; contro ciò il domenicano Luis de Orduna mandò al re uno scritto apologetico. Grazie però al potere del vescovo, tutte le doctrinas dei francescani passarono presto al clero secolare in tutto il vescovado di Puebla. Altri vescovi in Messico e in Sudamerica seguirono quest'esempio. Così facendo, Palafox aveva senz'altro recato alla chiesa americana il danno più grave, che non poté essere riparato nell'epoca seguente49. Lo si capisce bene se si considera che nelle doctrinas, nelle quali c'erano da curare spesso più di 20.000 indiani, gli ordini mendicanti, soprattutto i francescani, mantenevano dei conventi piuttosto piccoli con 3-5 padri, di cui solo uno, il doctrinero, era pagato dalla tesoreria dello stato, mentre gli altri erano assistenti che vivevano del soccorso dato dagli Indiani. I sacerdoti secolari utilizzarono i conventi come canoniche, senza però potersi valere di altri assistenti50.

Le discussioni del vescovo coi gesuiti, discussioni che ebbero risonanza mondiale, toccarono anche questioni giurisdizionali, ma ebbero come oggetto primario il problema delle decime, che il vescovo voleva addebitare anche ai beni della missione51.

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