la societa' di massa
Con la seconda rivoluzione industriale e lo sviluppo delle città viene affermandosi la società di massa: nelle fabbriche, nelle scuole, nell'esercito, nella vita associata
la “massa”
Il concetto di massa, anzitutto, va distinto da quello di popolo: quest'ultimo era sempre esistito e designa, almeno nella sua accezione più nobile, una aggregazione di individui che condividono un territorio, una lingua, dei valori di base della convivenza civile; nel popolo un individuo può essere presente col suo volto; nella massa invece si dà una aggregazione anonima, spersonalizzata, fortemente standardizzata.
Di “massa” o di “masse” si cominciò a parlare con toni allarmati fin dai tempi della Rivoluzione francese, in cui le masse avevano fatto irruzione sulla scena politica. Alla fine dell’800, col diffondersi dell’industrializzazione (vedi seconda rivoluzione industriale) e dei connessi fenomeni di urbanizzazione, e nei paesi economicamente più avanzati dell’Occidente, si vennero delineando i contorni di quella che oggi chiamiamo “società di massa”.
Nella società di massa la maggioranza dei cittadini vive in agglomerati urbani; gli uomini sono quindi a più stretto contatto gli uni con gli altri; entrano in rapporto fra loro con maggiore frequenza e facilità, grazie anche alla disponibilità di mezzi di trasporto, di comunicazione e di informazione, ma questi rapporti hanno spesso un carattere anonimo e impersonale, standardizzato. Come diceva Ortega y Gasset:
Le città sono piene di gente. Le case piene di inquilini. Gli alberghi pieni di ospiti. I treni pieni di viaggiatori. I caffè pieni di consumatori. Le strade piene di passanti. Le anticamere dei medici piene di ammalati. Gli spettacoli pieni di spettatori.
La moltitudine, improvvisamente, s'è fatta visibile. Prima, se esisteva, passava inavvertita, occupava il fondo dello scenario sociale; adesso s'è avanzata nelle prime linee, è essa stessa il personaggio principale. Ormai non ci sono più protagonisti: c'è soltanto un coro.
Perdono importanza le comunità tradizionali (locali, religiose, di mestiere), mentre acquistano peso le grandi istituzioni nazionali: gli apparati statali, l’esercito, i partiti e in generale le organizzazioni di massa. I comportamenti e le mentalità tendono a uniformarsi secondo nuovi modelli generali: consumi e stili di vita un tempo riservati a un’esigua minoranza si diffondono fra strati sociali sempre più larghi.
La società di massa è una realtà che ha suscitato reazioni diverse: ora accolta con tratti ottimistici (l’ascesa delle masse come frutto della democratizzazione e della diffusione del benessere), ora vista con toni di accesa preoccupazione (il dominio delle masse come spersonalizzazione e informe anonimato). Comunque lo si voglia considerare, l’avvento della società di massa è un fenomeno che ha segnato in modo profondo il mondo contemporaneo.
Nel corso dell’800, e soprattutto nella sua seconda metà del secolo, prese forma, ad opera dei singoli Stati, una politica di educazione ai valori nazionali che alcuni storici avrebbero definito in seguito come nazionalizzazione delle masse
. Si tratta di un fenomeno che coinvolse soprattutto due istituzioni: la scuola e l'esercito. Con la prima si puntò a formare dei cittadini consapevoli dei valori nazionali, insegnando a leggere e a scrivere e facendo studiare le tradizioni patriottiche, con il secondo, il servizio militare svolto in luoghi lontani da quelli di origine e l’amalgama con soldati di altra provenienza, si favorì la costituzione di un’identità nazionale.
la massa nelle fabbriche
Con la seconda rivoluzione industriale e l'avvento della scocietà di massa, si cercò di razionalizzare il lavoro nelle fabbriche: il fenomeno più importante fu l'introduzione, nel 1913, della catena di montaggio, nella fabbrica di automobili Ford, poi imitata da moltissime industrie. Con la catena di montaggio ogni operaio non doveva più lavorare alla produzione dell'intero prodotto, ma compiere solo una piccola parte del lavoro necessario a tale fine, in modo ripetitivo e spersonalizzato. Tale sistema assicurava una migliore resa del lavoro degli operai, ma rendeva la loro attività lavorativa meno gratificante, più meccanica.
Sempre nella stessa direzione di razionalizzazione del lavoro venne poi elaborato il metodo di Taylor o taylorismo, che disciplinava rigorosamente i tempi del lavoro degli operai, in modo da evitare sprechi di tempo, come pause ingiustificate.
Non si trattò tuttavia solo di un peggioramento della condizione lavorativa dei salariati, possiamo ricordare ad esempio che il fordismo, dal nome dell'industria di Detroit già ricordata, prevedeva prezzi competitivi dei propri prodotti e salari alti dei propri operai, in modo che questi potessero diventare dei consumatori.
la scuola di massa
A partire dagli anni ’70 dell’800, tutti i governi d’Europa via via si impegnarono per rendere l’istruzione elementare obbligatoria e gratuita, e per sviluppare quella media e superiore, portando al contempo l’insegnamento sotto il controllo pubblico. Si trattò quindi di un processo di laicizzazione e di statalizzazione della scuola, con tempi, modi e esiti diversi a seconda dei paesi. Fu meno spinto in Gran Bretagna, dove la Chiesa anglicana e le istituzioni private conservarono spazi abbastanza ampi, più radicale in Francia, dove la questione scolastica diede luogo ad aspri conflitti fra Chiesa e Stato. L'affermazione della scuola statale fu più rapida in Francia e Germania, dove esisteva già da tempo un’alfabetizzazione diffusa, più lenta nei paesi mediterranei e nell’Europa orientale, dove le condizioni di partenza erano più arretrate. L’effetto più vistoso di questo sforzo fu un aumento generalizzato della frequenza scolastica: alla vigilia della prima guerra mondiale andare a scuola era diventata la regola per i bambini europei sotto i dieci anni. Questo sviluppo dell’istruzione elementare determinò una rapida diminuzione dell'analfabetismo, che già ai primi del ’900 era sceso tra i giovani a percentuali poco più che marginali (intorno al 10%) nelle aree più avanzate e tendeva a calare anche in quelle più arretrate (dove spesso superava ancora il 50%).
I giornali e l'opinione pubblica
Strettamente connesso a questi progressi dell’istruzione fu la crescente diffusione della stampa, quotidiana e periodica. All’inizio del ’900, nei paesi più progrediti si moltiplicarono lettori e tirature: in questo periodo, per esempio, il «Daily Mail» in Gran Bretagna e il «Petit Journal» in Francia superarono il milione di copie quotidiane. I giornali più importanti potevano contare su numerosi corrispondenti sparsi nelle città del paese e nelle capitali estere da dove inviavano quotidianamente servizi sulle principali notizie del giorno. Questa straordinaria espansione dei quotidiani all’inizio del ’900 fu favorita anche dai progressi tecnologici: dalla diffusione delle rotative e delle linotype (la macchina per la composizione dei caratteri) all’uso sempre più frequente del telefono, che consentì di aumentare quantità e rapidità nella circolazione delle informazioni.
Con la crescita della diffusione della carta stampata prende sempre più forma l’opinione pubblica: per un numero crescente di cittadini, infatti, diventò più facile accedere alle informazioni di interesse generale, farsi una propria opinione sulle questioni più importanti e far pesare questa opinione nelle scelte politiche.
gli eserciti di massa
Un contributo notevole nazionalizzazione delle masse
venne anche dalle riforme degli ordinamenti militari che furono realizzate in tutta Europa – con l’unica eccezione della Gran Bretagna – a partire dagli anni ’70 dell’800. Il principio che si affermò fu quello del servizio militare obbligatorio per la popolazione maschile, ossia la trasformazione degli eserciti da eserciti di professionisti in eserciti a ferma più o meno breve formati da “cittadini in armi”.
Vi erano, è vero, delle resistenze a creare eserciti di massa, cioè di cittadini, soprattutto dovute alla preoccupazione che armare le masse avrebbe potuto rivelarsi pericoloso, in caso di tensioni sociali. Inoltre vi era la considerazione che se si chiedeva a tutti i cittadini di rischiare (in guerra) la propria vita, non si poteva poi negar loro il diritto di voto.
Tuttavia altri motivi spingevano per la trasformazione degli eserciti.
- Uno era di carattere politico-militare: la disponibilità di grandi masse consentiva ora un esercito in grado di assolvere quella funzione deterrente che ne faceva uno strumento indispensabile anche in tempo di pace.
- L’altro era dato dal fatto che la tecnologia e l’industria consentivano la produzione in serie di armi, munizioni ed equipaggiamenti in misura tale da coprire le esigenze di grandi eserciti, mentre lo sviluppo delle ferrovie offriva a questi eserciti la possibilità di spostamenti veloci, riducendo di molto i tempi di mobilitazione, di radunata e di schieramento.
- A tutto ciò vanno aggiunte le pressioni esercitate sui governi dai gruppi industriali interessati alle forniture militari.
Fra il 1870 e il 1914, l’impegno crescente di governi e stati maggiori nell’organizzare la mobilitazione e l’armamento di grandi quantità di coscritti non solo rese possibile la nascita dei moderni eserciti di massa, che sarebbero stati i protagonisti del primo conflitto mondiale, ma servì anche a estendere la capacità di controllo dei poteri statali sulla società civile.
L’estensione del diritto di voto
Come abbiamo accennato, la coscrizione obbligatoria contribuiva a porre il problema della estensione del suffragio: come si poteva negare infatti il diritto di voto a coloro ai quali lo Stato chiedeva di mettere a repentaglio la propria vita? Si trattava peraltro di una dinamica già iniziata con le rivoluzioni inglese, americana e francese. Erano ormai maturi i tempi per l'affermazione del principio di sovranità popolare. E in effetti in Europa, tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, si attuò una tendenza costante verso l’estensione del diritto di voto. Nel 1890 il suffragio universale maschile era adottato solo in Francia, in Germania e in Svizzera. Nei venticinque anni successivi, in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale furono approvate leggi che allargavano il corpo elettorale fino a comprendervi la totalità o la stragrande maggioranza dei cittadini maschi maggiorenni, indipendentemente dal censo.
Il suffragio universale maschile fu introdotto in Spagna nel 1890, in Belgio nel 1893, in Norvegia nel 1898, in Austria e nel Granducato di Finlandia, allora parte dell’Impero russo, nel 1907 (Norvegia e Finlandia furono i primi paesi a concedere il voto anche alle donne), in Italia – con alcune limitazioni – nel 1912. Gran Bretagna e Olanda furono le ultime ad adeguarsi e lo fecero immediatamente dopo la prima guerra mondiale.
I partiti di massa
Con l'allargamento del diritto di voto si sviluppano i partiti di massa. Si suole distinguerli dai partiti di opinione, che non hanno una precisa struttura organizzativa e tra una elezione e un'altra diventano praticamente inesistenti.
I partiti di massa hanno degli iscritti, delle sezioni (locali), dei segretari (ai diversi livelli periferici e centrali) e dei periodici momenti consultazioni: i congressi. In un congresso, eletto dagli iscritti, si elabora la linea politica per gli anni successivi e si eleggono gli organi centrali che la fareanno attuare, il segretario, vero "capo" del partito e il comitato centrale (o assemblea nazionale o come lo si chiami).
All'inizio l'area politica liberal-conservatrice fu restia a darsi una organizzazione strutturata, ad esempio in Italia, ma poi anche i più conservatori furono costretti a sperimentare nuove tecniche per conquistare e mantenere il consenso popolare. Si affermò così il nuovo modello del partito di massa, realizzato per la prima volta dalla SPD tedesca (poi imitata dai socialisti degli altri paesi e in minor misura dai cattolici). Già alla vigilia della prima guerra mondiale appariva chiaro come in nessun paese dell’Europa occidentale la vita pubblica potesse più essere considerata un terreno riservato a ristretti gruppi di notabili che traevano la loro forza dalla loro posizione sociale e come nuovi centri di potere si andassero affiancando a quelli tradizionali presenti nei sistemi politici liberali.
i sindacati
Un partito si differenza da un sindacato in quanto il primo ha un progetto complessivo sulla società (ha degli obiettivi da raggiungere in tutti i vari settori della vita politica, economica e civile di un Paese), mentre il secondo ha obiettivi più ristretti e specifici: tutelare gli interessi dei lavoratori salariati, su questioni come il salario, l'orario di lavoro, le ferie, la tutela della sicurezza e simili.
Con la società di massa si svilupparono non solo i partiti, ma anche i sindacati, in rapida crescita alla fine dell'800.
Sino alla fine dell’800 il sindacalismo operaio era una realtà solida e consistente solo in Gran Bretagna, dove le Trade Unions, intorno al 1890, contavano già un milione e mezzo di iscritti. Negli ultimi anni dell’800, grazie all’impulso decisivo del movimento socialista, le organizzazioni dei lavoratori crebbero in numero e in consistenza in tutti i paesi europei, ma anche negli Stati Uniti, in Australia e in America Latina: quasi ovunque riuscirono a far valere il proprio diritto all’esistenza contro l’opposizione degli imprenditori e delle classi dirigenti conservatrici e contro i pregiudizi della dottrina liberista, che vedeva nei sindacati un ostacolo al libero gioco della contrattazione.
Nati e sviluppatisi in forme diverse a seconda dei paesi, c'erano anzitutto sindacati di settore (quelli dei metalmeccanici, ad esempio, o dei tessili), ma poi i sindacati si federarono, sull’esempio delle Trade Unions inglesi, in grandi organismi nazionali. I più importanti furono quelli di ispirazione socialista, come la Commissione centrale dei sindacati liberi tedeschi, fondata nel 1890, la francese Confédération générale du travail (Confederazione generale del lavoro), nata nel 1895, o la analoga Confederazione generale del lavoro (Cgl), costituita in Italia nel 1906. Ma un notevole sviluppo ebbero anche le associazioni sindacali cattoliche e, in Germania e in Francia, non mancarono nemmeno le organizzazioni a guida liberale o conservatrice.
Le riforme sociali
Tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, grazie anche alla pressione delle organizzazioni sindacali, furono introdotte nei maggiori Stati europei alcune forme di legislazione sociale: furono istituiti sistemi di assicurazione contro gli infortuni e di previdenza per la vecchiaia e, in alcuni casi, anche sussidi per i disoccupati. Si stabilirono controlli, benché in realtà poco efficaci, sulla sicurezza e l’igiene nelle fabbriche. Si cercò di impedire il lavoro dei fanciulli in età scolare. Furono introdotte limitazioni agli orari giornalieri degli operai – la media non scese comunque sotto le dieci ore – e fu sancito il diritto al riposo settimanale.
il cattolicesimo nella società di massa
Dal punto di vista teorico il fatto più importante che contrassegna il cattolicesimo nel suo impatto con la società di massa e la conseguente “questione sociale” è l'elaborazione di una “dottrina sociale” della Chiesa, il cui documento più importante in quegli anni fu l'Enciclica Rerum Novarum del papa Leone XIII.
la Rerum novarum
Tale Enciclica, del 1891, criticava egualmente il capitalismo e il socialismo:
- al capitalismo veniva rimproverato di non riconoscere l'esistenza e l'importanza di un bene comune, anteriore al bene materiale dell'individuo e non meno importante di questo: il capitalismo col suo esaperato individualismo tende a cancellare i legami di solidarietà tra gli esseri umani;
In particolare poi il capitalista regola il suo rapporto coi suoi salariati esclusivamente in base alla legge della domanda e dell'offerta, mentre si dovrebbe tener conto che esiste un livello minimo di equità salariale, la giusta mercede, sotto cui non si dovrebbe mai scendere; - al socialismo il papa rimproverava tanto il fine quanto i mezzi:
- il fine della completa socializzazione dei mezzi di produzione non rispetta il valore e la dignità della persona, che deve restare un libero soggetto di intraprendenza;
- sbagliati sono poi i mezzi: suscitare l'odio di classe e intraprendere la strada della violenza rivoluzionaria, con la sue tristi conseguenze di sanguinosità fratricida.
le opere sociali
Il mondo cattolico non si limitava a teorizzare una alternativa al capitalismo che non fosse collettivistica come il socialismo, ma diede vita a una serie di iniziative concrete in campo sociale, come cooperative, casse rurali, società di mutuo soccorso, in cui si sperimentava una solidarietà al tempo stesso rispettosa del valore della persona.
la seconda internazionale
Dopo la Prima Internazionale socialista (1861/76), nacque, nel 1889 (per durare fino alla Prima Guerra mondiale) la Seconda Internazionale, che si configurava come un raccordo tra tutte le forze socialiste presenti nei diversi Paesi.
Mentre nella prima Marx era stato una delle diverse voci del pensiero socialista (ricordiamo ad esempio la presenza dell'anarchico Bakunin o di Proudhon), nella seconda tutti si riferivano a Marx come quadro dottrinale fondamentale.
ma si dividevano poi nel modo di interpretarlo. Il bivio essenziale era quello tra
- riformisti, favorevoli a un inserimento nella dialettica parlamentare degli stati “borghesi” per attuare da subito delle riforme favorevoli alla classe operaia,
- e rivoluzionari, contrari a ogni compromesso con la borghesia, per loro si trattava di chiedere non qualcosa, ma tutto, prendendo il potere per via rivoluzionaria e non parlamentare.
All'area rivoluzionaria appartenevano personalità come Lenin e Rosa Luxemburg, divisi da una diversa interpretazione del concetto di dittatura del proletariato, che avrebbe dovuto istaurarsi una volta abbattuto il capitalismo con la rivoluzione: per Lenin il potere avrebbe dovuto essere per lungo tempo esercitato dal partito, concepito in termini fortemente centralistici e verticistici, mentre a Rosa Luxemburg tale impostazione sembrava configurare, più che una dittatura del proletariato, una dittatura sul proletariato (ad opera del partito).
Ma a prevalere, nella Seconda Internazionale, furono i riformisti. Per i quali l'importante era ottenere da subito dei miglioramenti della condizione della classe operaia e del proletariato, lavorando all'interno degli stati esistenti, borghesi, cioè presentandosi alle elezioni, ormai sempre più a suffragio universale, e operando nei parlamenti per approvare leggi che tutelassero i lavoratori.
Anche all'interno del riformismo ci furono contrasti, il più celebre fu quello tra K.Kautsky e E.Bernstein:
- Per Bernstein, fautore del revisionismo, Marx si era sbagliata prevedendo una imminente fine del capitalismo, che invece aveva saputo leccare le proprie ferite e superare le proprie crisi, evitando che si verificasse quanto Marx aveva previsto cioè un esponenziale aumento del proletariato e un assottigliamento della borghesia dominante; la rivoluzione perciò non apparriva realisticamente imminente e occorreva perciò lavorare all'interno degli stati capitalistici;
- Kautsky criticava le tesi revisioniste di Bernstein, in nome della ortodossia marxista, ma lui pure alla fine distingueva due tipi di obbiettivi:
- quelli massimali (donde il termine massimalismo) ossia la rivoluzione e il socialismo,
- e quelli minimali, cioè le riforme, che di fatto prendevano nella sua proposta pratica il sopravvento, come obbiettivi prossimi e da subito raggiungibili.
i nazionalismi e il pensiero di estrema destra
Va fatta una distinzione tra nazionalismo e patriottismo: quest'ultimo aveva accompagnato tutto l'800, indicando una aspirazione all'indipendenza e all'unità della propria patria; il Risorgimento italiano, ad esempio, fu espressione di patriottismo, ma non di nazionalismo. Questi infatti non si limita ad amare la propria patria, ma la vuole al di sopra delle altre nazioni. Tipico caso di nazionalismo è il voler affermare esclusivamente la propria identità nazionale nei territori, generalmente ai confini con altri stati, in cui vivono persone di altra etnia e lingua, ad esempio la volontà di italianizzare l'Alto Adige o l'Istria, come avvenne durante il fascismo, che fu ampiamente intriso di nazionalismo.
I nazionalismi si sviluppano in Europa tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, e si mescolano con ideologie razziste, che pretendono che la propria razza (ammesso che veramente ne esista una) sia superiore alle altre (del tipo “i bianchi superiori ai neri, e i tedeschi superiori agli altri bianchi”). Tipico autore razzista fu Arthur de Gobineau, che scrisse nel 1855 un Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane, il cui titolo è già molto eloquente, egli distingueva tre razze inferiori e razze superiori; in direzione analoga il tedesco (di orgine inglese) Houston Stewart Chamberlain, ne In fondamenti del XIX secolo (1899) esaltava la razza ariana, di cui quella tedesca sarebbe incarnazione più pura..
Idee nazionalistiche si manifestarono soprattutto in Francia, Germania e Russia (/Est europeo), spesso intrecciandosi con quel nuovo fenomeno che fu l'antisemitismo.
- in Francia il nazionalismo, acutizzato dalla bruciante sconfitta di Sédan, si rivolse contro tutti i diversi, ebrei, protestanti, immigrati; esso assume anche i tratti del revanscismo, atteggiamento che mira alla revanche, la rivincita contro la Germania, rea di averla umiliata sottraendole Alsazia e Lorena;
- in Germania abbiamo la teorizzazione del mito della razza ariana, con forti connotati razzistici e l'ideale pangermanista, il disegno cioè di raccogliere in un unica grande Germania tutti i tedeschi ovunque sparsi (in Austria, Boemia, Polonia, ad esempio);
- anche in Russia e Europa orientale il nazionalismo andò di pari passo con l'antisemitismo; tristemente famosi sono rimasti i pogrom, spedizioni punitive contro gli ebrei e le loro case; in funzione antiebraica venne elaborato il falso documento del Protocollo dei savi di Sion, con la sua tesi di un complotto ebraico mondiale; fiorì anche l'ideologia panslavista, mirante a unificare tutti i popoli slavi sotto l'egida della grande Russia; anche in questo caso vi era una avversione per il diverso, l'estraneo.
- Un caso a parte fu l'Inghilterra, in cui il nazionalismo si esprime essenzialmente nel colonialismo (essa non cerca di espandersi territorialmente in Europa, del resto cosa resa facile dalla sua natura insulare).
- In Italia poi il nazionalismo fu un fenomeno sopratutto letterario.
Anche in reazione all'antisemitismo che andava diffondendosi in Europa, si sviluppò il sionismo, cioè l'ideale di dare agli ebrei, da secoli disseminati ai quattro angoli del mondo, una patria, uno Stato, e la Palestina venne individuata come il luogo di tale stato; fondatore del sionismo fu Theodor Herzl.
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