Sudan terra di schiavi

Ancora oggi ci sono 200.000 schiavi nel Sudan settentrionale.


Ci sono ancora circa 200.000 schiavi nel Sudan settentrionale, che cercano di sopravvivere in condizioni disastrose. Sono proprietà altrui senza diritti che vegetano nella loro terribile situazione.

Oltre 1200 inchieste fra ex-schiavi hanno permesso di appurare che il 70% delle donne sopra i 12 anni ed il 15% dei bambini maschi di età superiore ai sei anni è stato violentato. Battiture, fame, torture e islamizzazione forzata sono elementi della vita quotidiana degli schiavi del Sudan settentrionale.

Islamizzazione

L'islamizzazione, anche forzata, è un impegno che si è preso il governo nazionale Sudanese e ciò legalizza questo abuso che viene perpetrato contro la popolazione del Sudan meridionale.

In Sudan islamizzazione è sinonimo di schiavitù, essa deve, ad ogni costo, portata avanti.

Confinando con altri sette stati, il Sudan, con gli attivisti islamici locali, ha una base di partenza ideale. L'obiettivo finale è quello di islamizzare l'intero continente africano. Naturalmente ci sono anche altri paesi, come la Nigeria, che lavorano alla diffusione delle dottrine di Maometto.

Oltre a ciò, il petrolio che è stato nel frattempo scoperto nel Paese, potrà senz'altro essere presto strumentalizzato come deterrente per una questione politico-religiosa. Le entrate provenienti dall'oro nero si riversano nelle casse di Karthoum, e prima o poi ci si potrà magari finanziare una guerra... un esercito moderno e ben equipaggiato potrebbe diventare un argomento convincente per sostenere il regime islamico in Sudan.

La situazione attuale

L'inizio del contrasto fra il nord ed il sud del Paese risale al 1956, quando gli Inglesi lo abbandonarono a se stesso.

La dichiarazione di indipendenza ha costretto i diversi gruppi etnici e linguistici a risolvere da soli i loro problemi.

Mentre nel sud esistono innumerevoli tribù con le rispettive lingue, gli Arabi del nord si sono unificati. I contrasti sanguinosi sono perciò, un problema costante in Sudan e nel 1983 si è arrivati alla guerra civile, che ancora perdura.

Sotto la guida dell'ex comandante dell'esercito sudanese, il dottor John Garang, i Sudanesi meridionali si oppongono al processo di islamizzazione.

L'intero sud, che è formato da popolazione cristiana ed animista, è difeso e controllato dalla SPLA (Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese), essa ha favorito anche la difesa armata del popolo.

L'esercito di liberazione si oppone ad un regime islamico gestito da Karthoum, il quale rifiuta qualunque forma di democrazia. Il regime islamico è sottoposto alla Sharia, la legge del Corano, alla quale tutto ciò che accade nello Stato, nella vita pubblica e persino in quella privata, deve conformarsi.

Il Corano non prevede una separazione fra la religione e lo Stato, l'unica separazione è quella fra il mondo dell'Islam (dar al islam) e quello della guerra (dar al harb), espressione con la quale si intendono i non credenti.

Il mondo islamico si muove senza compromessi in una direzione contraria a quella del resto della società, stipulare la pace significa quindi islamizzare tutto il mondo. A questo obbiettivo di dedica il regime di Karthoum, trascinando in schiavitù i connazionali provocando appositamente delle carestie, bruciando i campi e servendosi del sopruso armato.

Le persone ridotte in schiavitù, di solito donne e bambini, soffrono indicibilmente e non solo perché devono lavorare duramente.

Nella primavera del 1995, un team di CSI (Christian Solidarity International) riuscì a documentare una razzia di schiavi nel villaggio di Nyamlell, zona di confina con le località arabe di Darfur e Kordofan. Là, il 25 marzo 1995, furono uccisi 80 uomini e ridotti in schiavitù 282 donne e bambini.

In base ad altri indagini fu scoperto, in seguito, che nel nord del Sudan venivano tenuti in schiavitù e seviziati migliaia di cristiani e di animisti, cioè non musulmani.

C'è speranza

La pulizia etnica del Sudan meridionale programmata dal governo centrale, tuttavia, non ha ancora funzionato. Per esempio, non sono riusciti ad eliminare la tribù dei Dinka e dei Nuer ed occupare i loro territori. Il tentativo di distruggere queste tribù con i mezzi della schiavitù e dell'esproprio è fallito. Di volta in volta volta gli schiavi che riescono a fuggire da dove erano stati deportati (dal nord), tornano nella loro terra e costruiscono i villaggi e le case che erano stati distrutti e si danno da fare a coltivare la loro fertile terra.

Il governo centrale sembra incapace di aver ragione sugli indigeni africani di colore e di insediare gli Arabi nei loro territori.

Ultimamente molti arabi sudanesi hanno iniziato a lasciare andare i loro schiavi grazie all'impegno di CSI nel lavoro di pubbliche relazioni che mette in mostra la loro piaga.

Malgrado questo tenace tentativo, questa follia religiosa, al momento paga questo prezzo: 2 milioni di morti e 4 milioni di sfollati e schiavi.

Maltrattamenti terribili

Fame, maltrattamenti fisici, stupro e islamizzazione forzata sono le cose che provano le vittime. Bambine e donne vengono violentate, diventano fra l'altro oggetto dell'odio delle mogli degli stupratori. Se un arabo prende una concubina, questa di solito viene punita, tiranneggiata e torturata dalla moglie legittima gelosa.

La questione della pace nel Sudan resta aperta nella speranza che la resistenza e gli aiuti internazionali in favore dei cristiani e degli animisti riescano almeno ad incutere rispetto ai dominatori musulmani. In tal modo, essi non potranno più sostenere indisturbati il loro regime di terrore. Quando i cristiani, in tutto il mondo, dimostrano solidarietà, governi del genere capiscono che vengono osservati e non tollerati. E' proprio la mancanza di solidarietà da parte dei cristiani a permettere a molti potenti di trattare i sudditi a loro piacimento.

Una testimonianza

Una madre diciottenne, Awut Arol Diing, racconta: "Ero ancora molto giovane, quando io e la mia famiglia fummo trascinati in schiavitù. Durante il percorso uccisero mio padre, mentre io fui violentata da diversi arabi. Subii una grossa emorragia e gridavo dal dolore, ma nessuno ebbe pietà di me. Anche mia madre fu violentata. Nella città di Kùr mi portarono dallo schiavista Mohammed Eissa e per cinque anni non ho visto altro che fame, colpi e maltrattamenti. Mohammed mi costrinse a diventare la concubina di un suo schiavo dinka, il che non impedì ai suoi figli di violentarmi quando ne avevano voglia. Inoltre, Mohammed cercò di farmi diventare musulmana, avrei dovuto imparare versetti del Corano e recitare le preghiere islamiche. Io gli dissi che ero cristiana e non volevo diventare cristiana e questo mi costò ulteriori colpi. Cercò anche di farmi circoncidere, ma io mi nascosi e per questo motivo, in seguito mi maltrattò pesantemente. Mia madre fu consegnata ad un'altro padrone.

Poi Mohammed Hassan ci liberò e ci riportò entrambe a casa. Sono molto riconoscente a lui e ai suoi collaboratori."

Tratto dalla rivista "ethos" 2/2003