Hegel, testi

dalla Vita di Gesù (Leben Jesus)

in quest'opera Hegel presenta Gesù come un predicatore morale, secondo una religione del dovere, ispirata a Kant. Da notare che tale "vita" termina con la croce: di resurrezione non si parla.

"Anche questi domanderanno: "Dove ti vedemmo affamato o assetato, o nudo o malato o in carcere, così che avremmo potuto renderti un servizio?". Il re darà loro la stessa risposta: "Ciò che non avete fatto al più umile, lo ripago come se non l'aveste fatto a me". Così anche il giudice del mondo pronuncia il giudizio di ricusa a coloro che venerano la divinità soltanto con le labbra e con espressioni devote ma non nella sua immagine, nell'umanità " . Durante il giorno Gesù usava trattenersi negli edifici e nei cortili del tempio e la notte al di fuori della città presso il Monte degli ulivi. Il sinedrio non osava eseguire pubblicamente la sua decisione di prendere prigioniero Gesù, niente gli giunse perciò più gradito dell'offerta di Giuda, uno dei dodici più intimi amici di Gesù, di rivelare loro per una somma di denaro il luogo dove Gesù passava la notte e aiutarli a prenderlo prigioniero in segreto. La cupidigia sembra essere stata la passione più grande di Giuda, che nonostante la sua frequentazione con Gesù non aveva fatto posto a una disposizione morale migliore, poiché egli sperava di poterla soddisfare quando Gesù avesse istituito il suo regno messianico. Poiché Giuda cominciava ad accorgersi che un tale regno non era lo scopo di Gesù e che egli l'aveva imbrogliato nella sua speranza, cercò allora ancora di trarre il maggiore guadagno possibile dalla sua amicizia con Gesù attraverso il tradimento. Secondo l'usanza degli ebrei Gesù fece preparare in Gerusalemme un banchetto pasquale, nel quale una pecorella era la pietanza per eccellenza; fu l'ultima sera che egli trascorse con i suoi amici e la dedicò interamente a loro per lasciarne in essi un'impressione profonda.

All'inizio del pasto Gesù si alzò ancora una volta, depose il suo mantello, si rialzò, prese un lenzuolo e lavò i piedi ai suoi amici (una faccenda che di solito veniva sbrigata dai domestici). Pietro non voleva lasciarglielo fare, Gesù gli disse che ne avrebbe presto compreso il motivo. Quando ebbe finito con tutti, allora disse: "Avete visto ciò che ho fatto, io, quello che voi chiamate il vostro maestro, vi ho lavato i piedi, con ciò volevo darvi un esempio di come dovete comportarvi tra di voi. I principi amano il dominio e perciò si fanno chiamare benefattori del genere umano, non voi però, nessuno si innalzi sull'altro, si prenda con lui delle libertà ma, come tra amici, ognuno sia cortese e servizievole e non faccia valere sull'altro i propri servizi come se fossero un'opera di bene o una condiscendenza. Voi lo sapete, felici voi se lo farete anche. Non parlo per tutti voi, poiché posso applicare qui il detto "chi mangia il pane con me, tira una pedata contro di me", perché uno di voi mi tradirà". Questo pensiero rattristò Gesù e mise in imbarazzo i suoi amici, Giovanni, che era il più prossimo a Gesù, gli domandò piano chi fosse costui. Gesù gli disse: "Quello al quale do questo pezzo di pane, è lui", e lo porse a Giuda con le parole: "Quello che vuoi fare, fallo presto". Degli altri nessuno comprese cosa questo volesse dire, pensarono riguardasse un qualche incarico perché Giuda amministrava la cassa della compagnia. Giuda, forse per paura di venire ancora svergognato pubblicamente da Gesù, dato che si accorse che il suo intento non gli era sconosciuto, o forse per paura che restando più a lungo sarebbe stato reso titubante nel suo proposito, lasciò in fretta la compagnia. Gesù ora continuò a parlare: "Il vostro amico, miei cari, avrà presto compiuto la sua destinazione, il padre degli uomini lo riceva nelle stanze della sua beatitudine; ancora non molto e io sarò strappato a voi. Come eredità vi lascio il comandamento di amarvi l'un l'altro e l'esempio del mio amore per voi. Solo attraverso quest'amore reciproco dovete distinguervi come miei amici". Pietro domandò a Gesù: "Dove pensi di andare, visto che vuoi lasciarci?". "Lungo il cammino che farò", disse Gesù, "non puoi accompagnarmi." "Perché non potrei accompagnarti? lo", rispose Pietro, "sono pronto a farlo a rischio della mia vita!" "Vuoi sacrificarmi la tua vita? Ti conosco troppo bene", disse Gesù, "e so che per questo non hai ancora forza sufficiente; prima che faccia giorno potrai esserne messo alla prova. Non siate costernati dal fatto che vengo separato da Voi. Onorate lo spirito che abita in Voi , ascoltate la sua voce genuina, così, anche se le nostre persone sono divise e separate, la nostra essenza è una e non siamo lontani l'uno dall'altro. Finora sono stato il vostro maestro e la mia presenza ha guidato le vostre azioni; ora vi abbandono ma non vi lascio orfani, vi do in eredità una guida in voi stessi . Io ho svegliato il seme del bene, che la ragione pose in voi, e il ricordo dei miei insegnamenti, del mio amore verso di voi manterrà in voi diritto questo spirito di verità e di virtù, al quale gli uomini non rendono omaggio solo perché non lo conoscono e non lo cercano in se stessi. Siete diventati uomini che, senza dande estranee, finalmente sono affidati a se stessi. Anche se non sarò più tra voi, vi sia guida da ora la moralità che è cresciuta in voi. Onorate la mia memoria, il mio amore per voi, seguendo la via della rettitudine sulla quale vi ho guidato. Il sacro spirito della virtù vi preserverà dai passi falsi, vi insegnerà ancora meglio ciò verso cui finora non eravate ancora aperti e richiamerà alla vostra memoria molte cose che non avevate ancora compreso e darà loro significato. lo vi lascio la mia benedizione, non il saluto che viene dato senza significato, che sia invece ricco in frutti del bene. Che io vi lasci è perfino meglio per voi, poiché otterrete la vostra autonomia solo attraverso la propria esperienza e l'applicazione, imparate a condurvi da voi stessi. Che io me ne vada da voi non deve riempirvi di tristezza ma di gioia, poiché inizio una parabola più alta in mondi migliori, dove lo spirito si slancia verso la fonte originaria di ogni bene ed entra nella sua patria, nel regno dell'infinità. Ho atteso con grande desiderio il piacere di questa cena in vostra compagnia, fate girare le vivande e il calice e rinnoviamo qui il patto d'amicizia." Quindi, secondo l'uso degli orientali, allo stesso modo in cui ancora oggi presso gli arabi viene stretta amicizia incrollabile mangiando dallo stesso pane e bevendo dallo stesso calice, distribuì a ognuno del pane, dopo il pasto fece girare ugualmente il calice e disse: "Quando mangerete insieme così, accerchiati da amici, ricordatevi anche del vostro vecchio amico e maestro e come la pasqua era per voi un'immagine della pasqua che mangiarono i vostri padri in Egitto e il sangue un ricordo dell'offerta di sangue per l'alleanza, con la quale Mosè (21.24,8)128 strinse un patto tra Geova e il suo popolo, così in futuro ricordatevi [gedenktl con il pane il suo corpo, che egli sacrificò, e con il calice del vino il suo sangue versato! Conservate nel vostro ricordo chi ha offerto la sua vita per voi e il mio ricordo, il mio esempio sia per voi un forte corroborante della virtù. Io vi vedo intorno a me come i tralci germogliati da una vite che, nutriti da lei, portano frutti e presto, staccati da lei, porteranno a maturazione il bene con la propria forza vitale. Amatevi l'un l'altro, amate tutti gli uomini come io ho amato voi, che io dia la mia vita per il bene dei miei amici è la prova del mio amore. Non vi chiamo più discepoli o alunni, questi seguono il volere del loro educatore, spesso senza sapere il motivo per il quale devono agire cosi, voi siete maturi per l'autonomia dell'uomo, per la libertà della propria volontà; se lo spirito dell'amore, se la forza che entusiasma me e voi è la stessa, porterete frutti con la propria forza di virtù.

Se vi perseguitano e maltrattano, ricordatevi del mio esempio, ricordatevi che a me e a migliaia di altri non è andata meglio. Schierandovi dalla parte dei vizi e dei pregiudizi dominanti trovereste amici a sufficienza, così però vi odieranno, perché siete amici del bene. La vita di un uomo retto è un rimprovero continuo per il male, che lo avverte e ne viene esacerbato e se non gli rimane alcun pretesto per perseguitare l'uomo buono e libero da pregiudizi, allora farà della causa dei pregiudizi, dell'oppressione e dei vizi la causa di Dio e persuaderà sé e gli uomini che con l'odiare il bene egli rende un servizio alla divinità. Tuttavia lo spirito della virtù vi animerà, come un raggio da mondi migliori, e vi solleverà al di sopra degli scopi meschini e viziosi degli uomini. Vi parlo di questo in anticipo, affinché non giunga a voi inaspettato. Come la paura di una partoriente si tramuta in gioia quando essa ha messo al mondo un essere umano, così il dispiacere che vi attende si trasformerà un giorno in beatitudine".

Gesù alzò poi gli occhi al cielo: "Padre mio", disse, "la mia ora è giunta, l'ora di mostrare nella sua dignità lo spirito, la cui origine è la tua infinità e di tornare a casa da te! La sua destinazione è l'eternità e l'elevazione su tutto ciò che ha inizio e fine, su tutto ciò che è finito. La mia destinazione sulla terra di riconoscere te, o padre, e la parentela del mio spirito con te, onorarmi con la fedeltà verso di lei e nobilitare gli uomini con la coscienza destata di questa dignità, questa destinazione sulla terra io l'ho compiuta. L'amore per te mi ha procurato degli amici, i quali hanno imparato a rendersi conto che non volevo imporre agli uomini qualcosa di estraneo o arbitrario, che è la tua legge quella che gli insegnavo, la quale abita in tutti i petti in segreto perché non riconosciuta dagli uomini. Il mio intento non è stato quello di acquistarmi onore attraverso un qualcosa di proprio o caratterizzante ma di ristabilire il rispetto perduto per l'umanità buttata via e il mio orgoglio è stato il carattere universale dell'essere razionale, la disposizione alla virtù che è stata assegnata a tutti. O perfettissimo, custodiscili! Che solo l'amore per il bene sia in essi la legge più alta che li governa, così saranno una cosa sola e rimarranno uniti con me e con te. lo vengo a te e ti rivolgo questa preghiera: Che la mia lieta disposizione d'animo scorra anche in loro; io ho fatto conoscere loro la tua rivelazione e poiché essi la hanno abbracciata il mondo li odia come odia me che le obbedisco. Io non ti chiedo che tu li tolga al mondo, una preghiera di questo tipo non può essere portata dinanzi al tuo trono, ma santificali con la tua verità, che irraggia solo dalla tua legge. Il tuo alto richiamo a formare gli uomini alla virtù, che io ho seguito, l'ho deposto nelle loro mani, che possano realizzarlo anche per parte loro ed educare degli amici, i quali non pieghino più il ginocchio davanti ad alcun idolo e non facciano delle parole o di una fede il vincolo della loro unione, bensì solo della virtù e dell'avvicinarsi a te, al santo!".

Dopo questi discorsi la compagnia si alzò, abbandonò Gerusalemme come al solito (intanto era venuta la notte), andò lungo il ruscello Cedron verso una masseria, di nome Getsemani, nei pressi del Monte degli ulivi. Questo luogo della permanenza notturna di Gesù era noto anche a Giuda, poiché egli vi era stato spesso con Gesù. Questi disse ai suoi discepoli di restare uniti ed egli stesso, con tre di loro, se ne andò in un luogo più appartato per abbandonarsi ai suoi pensieri. Qui la natura rientrò nei suoi diritti per un poco, il pensiero del tradimento del suo amico, dell'ingiustizia dei suoi nemici e della durezza del destino che incombeva s'impadronì qui, nella solitudine della notte, di Gesù, lo scosse e lo riempì di paura. Egli pregò i suoi amici di restargli vicino e di vegliare con lui. Camminava inquieto su e giù, presto scambiava qualche parola con loro, li svegliava nuovamente se cadevano nel sonno, di tanto in tanto si appartava e pregò alcune volte: "Padre mio, se è possibile, allontana da me l'amaro calice di sofferenza che mi attende". Il sudore gli colava in grosse gocce. Quando fu di nuovo presso i suoi discepoli, mentre li esortava a vegliare, senti che arrivavano degli uomini. "Svegliatevi, andiamo", esortò i suoi discepoli, "il mio traditore si avvicina!"

 

dalla prefazione alla Fenomenologia dello Spirito

 

"Secondo il mio modo di vedere, che dovrà giustificarsi soltanto mediante l'esposizione del sistema stesso, tutto dipende da questo: che si colga e si esprima il vero non come sostanza ma, altrettanto decisamente, come soggetto.[...] Se la concezione di Dio come l'unica sostanza mosse a sdegno l'epoca in cui tale determinazione venne enunciata, la ragione di ciò era in parte che si avvertiva istintivamente che in tale concezione l'autocoscienza invece di essere conservata è andata perduta; ma d'altra parte la posizione contraria che tiene fermo il pensiero come pensiero, ossia l'universalità come tale, è la medesima semplicità, o la sostanzialità indifferenziata, immota; e se in terzo luogo il pensiero unisce a sé l'essere della sostanza e concepisce l'immediatezza o l'intuizione come pensiero, allora si tratta ancora di vedere se questo intuire intellettuale non ricade nuovamente nella semplicità inerte e non presenta la stessa realtà effettiva in un modo irreale. La sostanza vivente inoltre è l'essere, che è in verità soggetto o, ciò che è lo stesso, che è in verità effettivamente reale, solo in quanto essa è il movimento del porre se stesso, o è la mediazione del divenir-altro-da-sé con se stesso. Come soggetto essa è la pura negatività semplice, e proprio per questo essa è la scissione in due parti del semplice, ovvero la duplicazione opponente, che è a sua volta la negazione di questa diversità indifferente e della sua opposizione: soltanto questa eguaglianza che si ricostituisce, o il riflettersi in se stesso nell'essere-altro -e non una unità originaria come tale, o un unità immediata come tale - è il vero. Il vero è il divenire di se stesso, il circolo che presuppone ed ha all'inizio, come proprio scopo, la propria fine, e che è effettivamente reale solo mediante l'attuazione e la propria fine. La vita di Dio e il conoscere divino possono ben essere espressi come un gioco dell'amore con se stesso; quest'idea si abbassa fino all'edificazione e addirittura alla futilità, se qui manca la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo. [..] Il vero è l'intero. Ma l'intero è soltanto l'essenza che si compie mediante il suo sviluppo. Bisogna dire dell'Assoluto che esso è essenzialmente risultato, che esso soltanto alla fine è ciò che è in verità; e proprio in questo consiste la sua natura, che è di essere realmente effettivo, soggetto o divenir-sè-stesso. Per quanto possa apparire contraddittorio che l'Assoluto sia da concepire essenzialmente come risultato, pure una piccola riflessione può venire a capo di questa apparente contraddizione. Il cominciamento, il principio o l'Assoluto, com'esso dapprima e immediatamente viene espresso, è soltanto l'universale. Come quando io dico: tutti gli animali, questa parola non può valere come l'equivalente di una zoologia, così pure è evidente che le parole "divino", "assoluto", "eterno" ecc. non esprimono ciò che qui è contenuto: e solo tali parole esprimono in realtà l'intuizione come l'immediato." (Fenom, Prefaz., 76/80)