E' uno dei più importanti documenti sulla concezione galileiana del rapporto fede/ragione. Galileo Galilei la inviò il 21 dicembre 1613 da Firenze a padre Benedetto Castelli, monaco suo amico, matematico all'Università di Pisa, e da lui distribuita in poche copie, con intento apologetico, in alcuni ambiti anche ecclesiastici, di cui si fidava come benevoli per Galileo. Abbiamo escluso l'esordio e apportato qualche minima modifica nell'ortografia, dove questa era a tal punto obsoleta da rendere molto disagevole la lettura del passo

«Quanto alla prima domanda ch'è stata fatta a Vostra Paternità, parmi che prudentissimamente fusse proposto e conceduto e stabilito dalla Paternità Vostra, non poter mai la Scrittura Sacra mentire o errare, ma esser i suoi decreti d'assoluta et inviolabili verità. Solo havrei aggiunto, che, se bene la Scrittura non può errare, possono non di meno errare i suoi interpreti et espositori, in varii modi tra i quali uno sarebbe gravissimo et frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre sul puro senso litterale, perché cosi v'apparirebbono non solo diverse contradizioni, ma gravi eresie et bestemmie ancora; poiché sarebbe necessario dar a Iddio e piedi et man e occhi, e non meno affetti corporei e humani, come d'ira, pentimento, odio, e anche tal volta obbiivione delle cose passate e l'ignoranza delle future. Onde, siccome nella Scrittura si trovano molte proposizioni false, quanto al nudo senso delle parole, ma porte in colai guisa per accomodarsi all'incapacità del numeroso volgo, cosi per quei pochi che mentono d'esser separati dalla stolida plebe è necessario che i saggi espositori produchino i veri sensi, et n'additino le ragioni particolari perché ei sieno sotto cotali parole stati proferiti.

Stante, dunque, che la Scrittura Sacra in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d'esposizioni diverse dall'apparente senso delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella dovrebbe essere riserbata nell'ultimo luogo: perché, procedendo di pari dal Verbo Divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, et questa come osservantissima esecutrice dell'ordini di Dio, et essendo, di più, convenuto (f. 8v.) nelle Scritture, per accomodarsi all'intendimento dell'onnoversale, dire molte cose diverse in aspetto et quanto al significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all'incontro, essendo la natura inesorabile e immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni et modi d'operare sieno o non sieno esposti alla capacità dell'huomini, perlochè ella mai trasgredisce i termini delle leggi imposteli, pare che quello dell'effetti naturali che la sensata esperienza ci pone innanzi alli ochi o le necessaria dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura che riavessero nelle parole diverso sembiante, perché non ogni detto della Scrittura è legato a obblichi cosi severi come ogn'effetto di natura. Anzi, se per questo solo rispetto, d'accomodarsi all'incapacità del popolo, non s'è astenuta la Scrittura di pervenire de suoi principalissimi dogmi, attribuendo sin all'istesso Dio condizioni lontanissime et contrarie alla sua essenzia, chi vorrà asseverantemente sostenere ch'ella, posto da banda cotal rispetto, nel parlare ancho incidentemente di terra o di sole o d'altra creatura, habbia eletto di contenersi con tutto rigore drent'ai limitati e ristretti significati delle parole? e massime pronunziando d'esse creature cose lontanissime dal primiero instituto di esse Sacre Lettere, anzi cose tali, che dette portate con verità nuda e scoperta, havrebbono danneggiato l'intenzione primiera, rendendo il volgo più contumace alle persuasioni dell'articoli concernenti alla salute.

Stante questo, et essendo di più manifesto che due verità non posson mai contrariarsi, è officio de' saggi espositori affaticarsi per trovare i veri sensi de' luoghi sacri, concordanti con quelle conclusioni naturali delle quali prima il senso manifesto o le demostrazioni generali, anzi necessarie, ci riavessero resi certi e sicuri. Anzi, essendo, com'ho detto, che le Scritture, benché dettate dalla Spirito Santo, per l'addotte ragioni ammetton in molti luoghi esposizioni lontane dal senso litterale, e di più, non possendo con certezza asserire che tutti l'interpetri parlino inspirati divinamente, crederrei che fusse prudentemente fatto se non si permettessi a alcun l'impugnar i luoghi della Scrittura et obligarlo in certo modo a dover sostenere per vere alcune conclusioni naturali, delle quali una volta il senso e le ragioni dimostrative e necessarie ci potessero manifestare il contrario, E chi vuoi por termine all'humani ingegni? Chi vorrà asserire, già essersi saputo tutto quello ch'è al mondo di scibile? Et per questo, oltre all'articoli concernenti alla salute et allo stabilimento della fede, contro la fermezza de' quali non è pericolo alcuno che poss'insurgere (nota: è scritto sopra insegnare poi cancellato) mai dottrina valida et efficace, sarebbe forse ottimo consiglio il non n 'aggiungere altri senza necessità: et cosi s'è, quanto maggior disordine sarebbe lo aggiungerli a richiesta di persone, le quali, oltre che ignoriamo se parlino inspirate da celesti virtù, chiaramente vediamo ch'elle sono del tutto ingnude di quell'intelligenza che sarebbe necessaria non dirò a redarguire, ma a capire le dimostrazioni con le quali l'acutissime scienze procedono nel confermare alcune loro conclusioni?

lo crederei che l'autorità delle Sacre Lettere havess'havuto solamente la mira a persuadere all'huomini quell'articoli e proposizioni, che essendo necessarie per la salute sua e soperando ogni humano discorso, non potevono per altra scienza né per altro mezzo farcesi credibili, che per la bocca dell'istesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dio che c'à dotati di sensi, di discorso e d'intelletto, habbia volsuto, posponendo l'uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso che sia necessario di crederlo, et massime in quelle scienze delie quali una minima particella e in conclusioni diverse se ne legge nella Scrittura; qual appunto è l'astronomia, di cui ve ne è cosi piccola parte, che non vi si trovono né pur nominati i pianeti. Però se Moise havess'hauto pensiero di persuader al popolo le disposizioni e i movimenti de' corpi celesti, non n'havrebbe trattato cosi poco, che è come niente in comparazione dell'infinite conclusioni altissime et ammirande ch'in tal scienza si contengono.

Vegg'adunque la Paternità Vostra quanto, s'io non erro, disordinatamente procedine quelli che nelle dispute naturali, e che dirittamente non sono di fede, nella prima (f. 9v) fronte constituiscono luoghi della Scrittura, et bene spesso malamente da loro intesi. Ma se questi tali veramente credono d'havere il vero senso di quello luogo particolare della Scrittura, et in conseguenza si tengono sicuri d'havere in mano l'assoluta verità delle quistioni ch'intendono disputare, dichinmi appresso ingenuamente, se loro stimono gran vantaggio haver colui ch'in una disputa naturale s'incontra a sostenere il vero vantaggio dico, sopra all'altro a chi tocca sostenere il falso? So che mi risponderanno di si, et che quello che sostiene la parte vera, potrà havere mill'esperienze e mille dimostrazioni necessarie per la parte sua, et che l'altro non può havere se non sofismi paralogismi et fallacie. Ma se loro, contenendosi drente ai termini naturali né producendo altr'arme che le filosofiche, sanno d'esser tanto superiori all'avversario, perché, nel venire poi al congresso, por subito man a un'arme inevitabile e tremenda, che con la sola vista atterisce ogni più destro et esperto campione? Ma, se io devo dire il vero, credo che essi sieno i primi atterriti, et che, sentendosi inabili a potere star forti contr'all'assalti dell'avversario, tentino di trovar modo di non se lo lasciar accostare. Ma perché, com'ho detto pur hora, quello c'ha la parte vera dalla sua, a gran vantaggio, anzi grandissimo, sopra l'avversario, e perché è impossibile che due verità si contrarino, però non deviarne temere d'assalti che ci venghino fatti da chi si voglia, purché ancora a noi sia dato campo di parlare et d'essere ascoltati da persone intendenti et non soverchiamente alterati da proprie passioni e interessi.

In confermazione di che, vengo adesso a considerare il luogo particolare di Giosuè, per il quale eil'apportò ad alcuni tre dichiarazioni, e piglio la 3a, ch'ella produsse come mia, si come veramente è, ma v'aggiongo alcune condizioni di più, quale non credo riaverle detto altra volta.

Post'adunque e conceduto per hora all'avversario che le parole de testo sacro s'abbino a prendere nel senso appunto che elle suonono, cioè che Dio ai preghi di Giosuè facesse fermare il sole e prolungare il giorno, ond'esso ne consegui la vittoria; ma richiendend'io ancora che la medesima determinazione vaglia per me, si che avversario non prosamesse di legarmi e lassar sé libero quanto al poter alterare o mutare i sensi delle parole; io dico che questo luogo mostra manifestamente la falsità e inpossibilità del mondano sistema aristotelico e tolemaico, et all'incontro benissimo s'accomoda col copernicano.

E primi, io domando all'avversario, s'egli sa di qual movimento si muova il sole? S'egli lo sa, è forza ch'egli risponda quello muoversi di due muovimenti, cioè del movimento annuo da ponente verso levante, et del diurno all'opposto da levante a ponente.

Ond'io, secondariamente, li domando se questi due movimenti, cosi diversi et quasi contrarii tra di loro, competono al soie e sono sua proprii egualmente. è forza rispondere di no, ma che non solo è suo proprio, ciò è l'annuo, et l'altro non è altramente suo ma del cielo altissimo, dico del primo mobile, i! quale rapisce seco il sole et l'altri pianeti et la sfera stellata ancora, stringendoli a dare una conversione intorno alla terra in 24 ore, con moto com'ho detto, quasi contrario al loro nature e proprio.

Vengo alla 3a interrogazione, e li dimando con qual di questi due movimenti il sole produca il giorno e la notte, ciò è se con il suo proprio o pur con quel primo mobile? è forza rispondere il giorno e la notte essere effetti del moto de! primo mobile, e dal moto proprio del soie dependente non il giorno et la notte, ma le stagioni diverse et l'anno istesso.

Hora, s'il giorno depende non dal moto del sole, ma da quello del primo mobile, chi non vede che per allungare i giorno bisogna fermare il primo mobile e non il sole? Anzi, pur qui sarà ch'intenda questi primi elementi di astronomia et non conosca che s'Iddio havessi fermato il moto del sole, in cambio d'allungare il giorno i'havrebbe scorciato a fatto più breve? Perché, essendo il moto del sole al contrario della conversione diurna, quanto più il sole si muove vers'oriente, tanto più si verrebbe a ritardare il suo corso all'occidente; et diminuendosi o annullandosi il moto del sole, in tanto più breve giungerebbe all'occaso: il quale accidente sensatamente si vede nella.))., la quale fa le sue conversioni diurne tanto più tardi di quelle del soie, quant'il suo movimento proprio è più veloce di quello del sole. Essendo, dunque, assolutamente impossibile nella constituzione di Tolomeo et d'Aristotile fermare il moto del sole e allungare il giorno, si come afferma la Scrittura esser accaduto, adunque o bisogna che i movimenti non sieno ordinati come vuole Tolomeo, o bisogna alterare i! senso litterale della Scrittura, e dir che quando ella dice che Dio fermò il soie, doveva dire che fermò il primo mobile, ma che per accomodarsi alla capacità di quelli che sono a fatica idonei a intendere il nascere e il tramontar del sole, ella dicesse al contrario di quello che havrebbe detto parlando a huom' sensati.

Aggiungasi a questo che non è credibile che Dio fermassi il sole solamente, lasciando scorrer l'altre sfere; perché senza necessità nessuna I'havrebbe alterato e permutato tutto 'ordine, li aspetti et le disposizioni dell'altre stelle rispetto al sole, e grandemente perturbato tutt'il corso della natura: ma è credibile che egli formassi tutt'il sistema delle celesti sfere, le quali, dopo quel tempo della quiete interposta, ritornassero concordemente alle loro opere senza confusione o alterazione alcuna.

Ma perché siamo già convenuti non dovere alterare il senso litterale del testo, è necessario ricorre a altra costituzione delle parti del mondo, et vedere se conforme a quella il sentimento delle parole cammina ret-tamente e senz'intoppo, si come veramente si scorge avvenire.

Havend'io dunque scoperto et necessariamente dimostrato, il globo del sole rivolgersi in sé stesso, facendo un'intera conversione in un mese lunare in circa, per quel verso appunto che si fanno tutte l'altre conversioni celesti; et essendo di più, molto probabile et ragionevole che il sole, come strumento e ministro massimo della natura, quasi quor del mondo, dia non solamente, com'egli chiaramente da, luce, ma il moto ancora a tutti pianeti ch'intorno se li raggirone; se, conform'alla posizione del Copernico, noi attribuiremo alla terra principalmente la conversione diurna, chi non vede che per formar tutt'il sistema, onde senza appunto alterare il restante delle scambievoli relazioni de' pianeti, solo si prolungasse lo spazio e il tempo della diurna iliuminazione, bastò che fusse fermato i! sole, com'appunto suonono le parole del sacro testo? (f.11r) Ecc'adunque il modo secondo il quale, senz'introdurre confusione alcuna tra le parti del mondo et senz'alterazione delle parole della Scrittura, si può, con il fermare del sole, allungare il giorno in terra.

Ho scritto più assai che non comportono le mie indisposizioni, con offerirmeli serrvitore, e. li bacio le mani, pregandoli da Nostro Signore le buone feste et ogni felicità.

Di Vostra Paternità molto reverenda
servitore affetionatissimo
Galileo Galilei