L'alienazione
nei Manoscritti economico-filosofici
Karl Marx
introduzione
Secondo Marx il lavoratore, nella società capitalistica, subisce una quadruplice forma di alienazione:
- del prodotto che gli è estraneo e anzi nemico
- dell'attività lavorativa (forzata e costrittiva, strumento per fini estranei)
- della sua stessa realtà (dato che questa realtà è essenzialmente capacità produttiva, prassi; ne segue che il lavoratore si sente bestia quando dovrebbe sentirsi uomo, cioè sul lavoro, mentre si sente uomo quando dovrebbe sentirsi bestia, cioè nelle attività comuni agli animali, come mangiare e procreare, che restano gli unici spazi non alienati)
- degli altri
testo di Marx
«Noi partiamo da un fatto dell'economia politica, da un fatto presente. L'operaio diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto più la sua produzione cresce di potenza e di estensione. L'operaio diventa una merce tanto più vile quanto più grande è la quantità di merce che produce. La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l'operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci.
[a.il prodotto] Questo fatto non esprime altro che questo: l'oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l'oggettivazione del lavoro. La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione.
Questa realizzazione del lavoro appare nello stadio dell'economia privata come un annichilimento dell'operaio, l'oggettivazione appare come perdita e asservimento dell'oggetto, l'appropriazione come estraniazione, come alienazione.
[b.l'attività lavorativa] Sinora abbiamo considerato l'estraniazione, l'alienazione dell'operaio da un solo lato, cioè abbiamo considerato il suo rapporto coi prodotti del suo lavoro. Ma l'estraniazione si mostra non soltanto nel risultato, ma anche nell'atto della produzione, entro la stessa attività produttiva. Come potrebbe l'operaio rendersi estraneo nel prodotto della sua attività, se egli non si estraniasse da se stesso nell'atto della produzione? Il prodotto non è altro che il resumé dell'attività, della produzione. Quindi, se prodotto del lavoro è l'alienazione, la produzione stessa deve essere alienazione attiva, alienazione dell'attività, l'attività della alienazione. [...]
E ora, in che cosa consiste l'alienazione del lavoro? Consiste prima di tutto nel fatto che il lavoro è esterno all'operaio, cioè non appartiene al suo essere, e quindi nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, si sente non soddisfatto, ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e distrugge il suo spirito. Perciò l'operaio solo fuori del lavoro si sente presso di sé; e si sente fuori di sé nel lavoro. è a casa propria se non lavora; e se lavora non è a casa propria. Il suo lavoro quindi non è volontario, ma costretto, è un lavoro forzato. Non è quindi il soddisfacimento di un bisogno, ma soltanto un mezzo per soddisfare bisogni estranei. La sua estraneità si rivela chiaramente nel fatto che non appena vien meno la coazione fisica o qualsiasi altra coazione, il lavoro viene fuggito come la peste. Il lavoro esterno, il lavoro in cui l'uomo si aliena, è un lavoro di sacrificio di se stessi, di mortificazione. Infine l'esteriorità del lavoro per l'operaio appare in ciò che il lavoro non è suo proprio, ma è di un altro. Non gli appartiene, ed egli, nel lavoro, non appartiene a se stesso, ma ad un altro.(..)
Ora dobbiamo ancora ricavare dalle due determinazioni sin qui descritte una terza determinazione del lavoro estraniato. [...]
[c. la sua stessa realtà ] Poiché il lavoro estraniato rende estranea all'uomo 1)la natura e 2)l'uomo stesso, la sua propria funzione attiva, la sua attività vitale, esso rende estraneo all'uomo la specie, fa della vita della specie un mezzo della vita individuale. In primo luogo il lavoro rende estranea la vita della specie e la vita individuale, in secondo luogo fa di quest'ultima nella sua astrazione uno scopo della prima, ugualmente nella sua forma astratta ed estraniata.
Infatti il lavoro, l'attività vitale, la vita produttiva stessa appaiono all'uomo in primo luogo soltanto come un mezzo per la soddisfazione di un bisogno, del bisogno di conservare l'esistenza fisica. Ma la vita produttiva è la vita della specie. E la vita che produce la vita. In una determinata attività vitale sta interamente il carattere di una species, sta il suo carattere specifico; e l'attività libera e cosciente è il carattere dell'uomo. La vita stessa appare soltanto come mezzo di vita. [...]
[d. gli altri] Soltanto nella trasformazione del mondo oggettivo l'uomo si mostra quindi realmente come un essere appartenente ad una specie. Questa produzione è la sua vita attiva come essere appartenente ad una specie. Mediante essa la natura appare come la sua opera e la sua realtà. L'oggetto del lavoro è quindi l'oggettivazione della vita dell'uomo come essere appartenente a una specie in quanto egli si raddoppia, non soltanto come nella coscienza, intellettualmente, ma anche attivamente, realmente, e si guarda quindi in un mondo da esso creato. Perciò il lavoro estraniato strappando all'uomo l'oggetto della sua produzione, gli strappa la sua vita di essere appartenente ad una specie, la sua oggettività reale specifica e muta il suo primato dinanzi agli animali nello svantaggio consistente nel fatto che il suo corpo inorganico, la natura, gli viene sottratta.»
K. MARX, Manoscritti economico-filosofici del 1844, pp. 71/9