Il capitalismo

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l'analisi del capitalismo

La merce come valore d'uso e valore di scambio

«A un primo sguardo la ricchezza borghese appare come una enorme raccolta di merci e la singola merce come sua esistenza elementare. Ma ogni merce si presenta sotto il duplice punto di vista di valore d'uso e di valore di scambio.

La merce è in primo luogo, nel linguaggio degli economisti inglesi, “qualsiasi cosa necessaria, utile o gradevole alla vita”, oggetto di bisogni umani, mezzo di sussistenza nel senso più ampio della parola. Questo esistere della merce come valore d'uso e la sua esistenza naturale tangibile coincidono. Il grano ad esempio è un valore d'uso particolare, differente dai valori d'uso cotone, vetro, carta ecc. Il valore d'uso ha valore solo per l'uso e si attua soltanto nel processo del consumo. Un medesimo valore d'uso può essere sfruttato in modo diverso. La somma delle sue possibili utilizzazioni si trova però racchiusa nel suo esistere quale oggetto dotato di determinate qualità. Questo valore d'uso, inoltre, è determinato non solo qualitativamente, bensì anche quantitativamente. Valori d'uso differenti hanno misure differenti secondo le loro naturali peculiarità, ad esempio un moggio di grano, una libbra di carta, un braccio di tela ecc.

Qualunque sia la forma della ricchezza, i valori d'uso costituiscono sempre il suo contenuto, che in un primo tempo è indifferente nei confronti di questa forma. Gustando del grano, non si sente chi l'ha coltivato, se un servo della gleba russo, un contadino particellare francese o un capitalista inglese.

meno, un quantitativo maggiore o minore di quel lavoro semplice, uniforme, astrattamente generale, il quale costituisce la sostanza del valore di scambio. Si tratta di vedere come misurare questi quantitativi. O piuttosto si tratta di vedere quale sia la esistenza quantitativa di quel lavoro stesso, poiché le differenze di grandezza delle merci come valori di scambio non sono che differenze di grandezza del lavoro in esse oggettivato. Allo stesso modo che il tempo è l'esistenza quantitativa del movimento, il tempo di lavoro è l'esistenza quantitativa del lavoro. La diversità della propria durata è l'unica differenza di cui sia suscettibile il lavoro, presupposta come data la sua qualità. [... ] Il tempo di lavoro è l'esistenza vivente del lavoro, indipendentemente dalla sua forma, dal suo contenuto, dalla sua individualità; ne è l'esistenza vivente come esistenza quantitativa, e insieme è la misura immanente di questa esistenza. Il tempo di lavoro oggettivato nei valori d'uso delle merci è la sostanza che fa dei valori d'uso valori di scambio e quindi merci, allo stesso modo che ne misura la determinata grandezza di valore. [... ] Come valori di scambio tutte le merci non sono che misure di tempo di lavoro coagulato.»

 

(K. MARX, Per la critica dell'economia politica, trad. it. E. Cantimori Mezzomonti, Ed. Riuniti, Roma 1969, 9-12)

 

il plusvalore

«Supponiamo ora che la produzione della quantità media di oggetti correnti necessari alla vita di un operaio richieda sei ore di lavoro medio. Supponiamo inoltre che sei ore di lavoro medio siano incorporate in una quantità d'oro uguale a tre scellini. In questo caso tre scellini sarebbero il prezzo o l'espressione monetaria del valore giornaliero della forza-lavoro di quell'uomo. Se egli lavorasse sei ore al giorno, produrrebbe ogni giorno un valore sufficiente per comperare la quantità media degli oggetti di cui ha bisogno quotidianamente, cioè per conservarsi come operaio.

Ma il nostro uomo è un operaio salariato. Perciò deve vendere la sua forza-lavoro a un capitalista. Se la vende a tre scellini al giorno, o diciotto scellini la settimana, la vende secondo il suo valore. Supponiamo che egli sia un filatore. Se egli lavora sei ore al giorno, egli aggiunge al cotone un valore di ire scellini al giorno. Questo valore che egli aggiunge giornalmente al cotone costituirebbe un equivalente esatto del salario, o del prezzo, che egli riceve giornalmente per la sua forza-lavoro. In questo caso però il capitalista non riceverebbe nessun plusvalore, o nessun sopraprodotto. Qui urtiamo nella vera difficoltà.

Comperando la forza-lavoro dell'operaio e pagandone il valore, il capitalista, come qualsiasi altro compratore, ha acquistato il diritto di consumare o di usare la merce ch'egli ha comperato. Si consuma o si usa la forza-lavoro di un uomo facendolo lavorare, allo stesso modo che si consuma o si usa una macchina mettendola in movimento. [... ]

Il valore della forza-lavoro è determinato dalla quantità di lavoro necessaria per la sua conservazione o riproduzione, ma l'uso di questa forza-lavoro trova un limite soltanto nelle energie vitali e nella forza fisica dell'operaio. Il valore giornaliero o settimanale della forza-lavoro è una cosa completamente diversa dall'esercizio giornaliero o settimanale di essa, allo stesso modo che sono due cose del tutto diverse il foraggio di cui un cavallo ha bisogno e il tempo per cui esso può portare il cavaliere. La quantità di lavoro da cui è limitato il valore della forza-lavoro dell'operaio, non costituisce in nessun caso un limite per la quantità di lavoro che la sua forza-,lavoro può eseguire. Prendiamo l'esempio del nostro filatore. Abbiamo visto che, per rinnovare giornalmente la sua forza-lavoro, egli deve produrre un valore giornaliero di tre scellini, al che egli perviene lavorando sei ore al giorno. Ma ciò non lo rende incapace di lavorare dieci o dodici o più ore al giorno. Pagando il valore giornaliero o settimanale della forza-lavoro del filatore, il capitalista ha acquistato il diritto di usare questa forza-lavoro per tutto il giorno o per tutta la settimana. Perciò, egli lo farà lavorare, supponiamo, dodici ore al giorno. Oltre le sei ore che gli sono necessarie per produrre l'equivalente del suo salario, cioè del valore della sua forza-lavoro, il filatore dovrà dunque lavorare altre sei ore, che io chiamerò le ore di sopralavoro, e questo sopralavoro si incorporerà in un plusvalore e in un sopraprodotto. Se per esempio il nostro filatore, con un lavoro giornaliero di sei ore, ha aggiunto al cotone un valore di tre scellini, un valore che rappresenta un equivalente esatto del suo salario, in dodici ore egli aggiungerà al cotone un valore di sei scellini e produrrà una corrispondente maggiore quantità di filo. Poiché egli ha venduto la sua forza-lavoro al capitalista, l'intero valore, cioè il prodotto da lui creato, appartiene al capitalista, che è, per un tempo determinato, il padrone della sua forza-lavoro. Il capitalista dunque anticipando tre scellini, otterrà un valore di sei scellini, perché, anticipando un valore in cui sono cristallizzate sei ore di lavoro, egli ottiene, invece, un valore in cui sono cristallizzate dodici ore di lavoro.

 

Denaro come denaro e denaro come capitale si distinguono in un primo momento soltanto attraverso la loro differente forma di circolazione.

La forma immediata della circolazione delle merci è M-D-M: trasformazione di merce in denaro e ritrasformazione di denaro in merce, vendere per comprare. Ma accanto a questa forma, ne troviamo una seconda, specificamente differente, la forma D-M-D: trasformazione di denaro in merce e ritrasformazione di merce in denaro, comprare per vendere. Il denaro che nel suo movimento descrive quest'ultimo ciclo, si trasforma in capitale, diventa capitale, ed è già capitale per sua destinazione.

Consideriamo un po' più da vicino il ciclo D-M-D. Come la circolazione semplice delle merci, esso contiene due fasi antitetiche l'una all'altra. Nella prima fase, D-M, compera, il denaro viene trasformato in merce. Nella seconda fase, M-D, vendita, la merce viene ritrasformata in denaro. Ma l'unità delle due fasi è il movimento complessivo che scambia denaro contro merce, e questa stessa merce, a sua volta, contro denaro; che compera merce per venderla, ossia, se si trascurano le differenze formali fra compera e vendita, compera merce con il denaro e denaro con la merce. Il risultato nel quale si risolve tutto il processo è: scambio di denaro contro denaro ' D-D. Se compero per cento lire sterline duemila libbre di cotone, e rivendo le duemila libbre di cotone per centodieci lire sterline, in fin dei conti ho scambiato cento lire sterline contro centodieci lire sterline, denaro contro denaro.

Ora, è evidente, certo, che il processo di circolazione DM-D sarebbe assurdo e senza sostanza se si volesse servirsene come d'una via indiretta per scambiare l'identico valore in denaro contro l'identico valore in denaro, dunque, per esempio, cento lire sterline contro cento lire sterline. Rimarrebbe più semplice e più sicuro, senza paragone, il metodo del tesaurizzatore, che tiene strette le sue cento lire sterline, e non le abbandona al pericolo della circolazione. D'altra parte, che il commerciante rivenda a centodieci lire sterline il cotone compera[c) a cento lire sterline, o che sia costretto a liberarsene a cento o anche a cinquanta lire sterline: in ogni circostanza il suo denaro ha descritto un movimento peculiare e originale, di tipo del tutto differente che nella circolazione semplice delle merci, differente, per esempio, da quello che ha luogo fra le mani del contadino che vende grano e con il denaro così reso fluido compera vestiti. Quel che importa è in primo luogo [!] caratterizzare le distinzioni di forma fra i cicli D-M-D e M-D-M; così si avrà anche la distinzione di contenuto che sta in agguato dietro quelle distinzioni di forma.

Esaminiamo in primo luogo quel che è comune ad entrambe le forme.

Entrambi i cicli si suddividono nelle medesime fasi antitetiche: M-D, vendita, e D-M, compera. In ognuna delle due fasi stanno l'uno di contro all'altro i due medesimi elementi materiali, merce e denaro - e due personaggi nelle medesime maschere economiche caratteristiche, un compratore e un venditore. Ciascuno dei due cicli è l'unità delle medesime fasi antitetiche, e tutte e due le volte questa unità è dovuta all'intervento di tre contraenti, uno dei quali non fa che vendere, l'altro non fa che comprare, mentre il terzo a volta a volta compera e vende.

Ma quel che distingue a priori i due cicli M-D-M e D-M-D è l'ordine inverso delle identiche e antitetiche fasi del ciclo. La circolazione semplice delle merci comincia con la vendita e finisce con la compera; la circolazione del denaro come capitale comincia con la compera e finisce con la vendita. Là è la merce a costituire il punto di partenza e il punto conclusivo del movimento; qui è il denaro. Nella prima forma l'intermediario della circolazione complessiva è il denaro; nella seconda è, viceversa, la merce.

Nella circolazione M-D-M il denaro viene trasformato, alla fine, in merce che serve come valore d'uso. Dunque il denaro è definitivamente speso. Nella forma inversa, D-M-D, invece, il compratore spende denaro per incassare denaro come venditore. Alla compera della merce egli getta denaro nella circolazione, per tornare a sottrarvelo a mezzo della vendita della stessa merce. Non lascia andare il denaro che con la perfida intenzione di tornarne in possesso. Il denaro viene quindi soltanto anticipato.

Nella forma M-D-M la medesima moneta cambia di posto due volte. Il venditore la riceve dal compratore, e la dà via in pagamento ad un altro venditore. Il processo complessivo che comincia con l'incasso di denaro in cambio di merce, si conclude con la consegna di denaro in cambio di merce. All'inverso nella forma D-M-D. Qui non è la medesima moneta a cambiare di posto due volte, ma la medesima merce. Il compratore la riceve dalle mani del venditore, e la dà via in mano d'un altro compratore. Come nella circolazione semplice delle merci il duplice spostamento della stessa moneta opera il suo definitivo trapasso da una mano all'altra, così qui il duplice spostamento della medesima merce opera il riafflusso del denaro al suo primo punto di partenza dalla circolazione per finire nel consumo. Quindi il suo scopo finale è consumo, soddisfazione di bisogni, in una parola, valore d'uso. Il ciclo D-M-D comincia invece dall'estremo denaro, e conclude ritornando allo stesso estremo. Il suo motivo propulsore e suo scopo determinante quindi il valore stesso di scambio.

Nella circolazione semplice delle merci i due estremi hanno la stessa forma economica. Entrambi sono merce. E sono anche merci della stessa grandezza di valore. Ma sono valori d'uso qualitativamente differenti, per esempio, grano e vestiti. Lo scambio dei prodotti, la permuta dei differenti materiali nei quali il lavoro sociale si presenta, costituisce qui il contenuto del movimento. Altrimenti stanno le cose nel ciclo D-M-D. A prima vista esso sembra senza contenuto, perché tautologico. Entrambi gli estremi hanno la stessa forma economica. Entrambi sono denaro, quindi non sono valori d'uso qualitativamente distinti, poiché il denaro è per l'appunto la figura trasformata delle merci, nella quale i loro valori d'uso particolari sono estinti. Scambiare prima cento lire sterline contro cotone e poi di nuovo lo stesso cotone contro cento lire sterline, sembra una operazione tanto inutile quanto assurda. Una somma di denaro si può distinguere da un'altra somma di denaro, in genere, soltanto mediante la sua grandezza. Dunque il processo D-M-D non deve il suo contenuto a nessuna distinzione qualitativa dei suoi estremi, poiché essi sono entrambi denaro, ma lo deve solamente alla loro differenza quantitativa. In fin dei conti, viene sottratto alla circolazione più denaro di quanto ve ne sia stato gettato al momento iniziale. Il cotone comprato a cento lire sterline, per esempio, viene venduto una seconda volta a lire sterline cento + dieci, ossia a centodieci lire sterline. La forma completa di questo processo è quindi D-M-D', dove D'= D + á D, cioè è eguale alla somma di denaro originariamente anticipata, più un incremento. Chiamo plusvalore (surplus value) questo incremento, ossia questo eccedente sul valore originario. Quindi nella circolazione il valore originariamente anticipato non solo si conserva, ma altera anche la propria grandezza di valore, mette su un plusvalore, ossia si valorizza. E questo movimento lo trasforma in capitale.»

(K. MARX, Il Capitale, I, 2)