Kierkegaard secondo de Lubac
un apprezzamento critico
Henri de Lubac
limiti
autore più stimolante che sicuro
«Checché ne sia, dobbiamo riconoscerlo, Kierkegaard è un autore più stimolante che sicuro. Più che un nutrimento, il suo pensiero è un tonico, che a dosi troppo forti potrebbe pure diventare un tossico. Colui che, pensando di seguirlo, si chiudesse nelle sue posizioni, andrebbe a rischio di chiudersi ad ogni vita razionale, forse ad ogni cultura: atteggiamento inumano che non fu punto quello di Kierkegaard, e dal quale il cristianesimo non caverebbe nessun profitto. Del resto Kierkegaard non potrebbe essere considerato come un maestro e lui stesso sarebbe stato il primo a rifiutare questo titolo. ”Uomo strano“, ”spirito malaticcio e complicato“, lui stesso ha parlato nel suo Diario della ”intimità bizzarra dell’ingranaggio“ che ha dato origine ai suoi scritti i quali tutti risentono di un’origine così strettamente personale. Il suo pensiero, ”contorto“, per quanto incisivo e profondo, manca di equilibrio e di ampiezza.“
(...)
[una fede un po' troppo inquieta]
«La sua anima ha sì conosciuti istanti di pace e di gioia, di cui ci resta la testimonianza , ma non si è stabilita nella serenità. La fede, in questo vero credente , conserva un forte sapore luterano, benché sfugga alle deformazioni generate dal luteranesimo nella maggior parte dei suoi contemporanei. Il solo fatto che esso chiama costantemente ”paradosso“ ed ”inverosimile“ quello che noi spesso diremmo piuttosto ”mistero“ e ”meraviglioso“, potrebbe illustrare queste osservazioni. Non rischia egli forse di indurre quelli che senza discernimento si fanno suoi discepoli a confondere ciò che nelle cose dello spirito è inverosimile all’uomo carnale, con ciò che è semplicemente irragionevole nelle cose che sono del dominio della ragione? E quando egli si lamenta che in quelli che sono divenuti dotti in fatto di storia o di dottrina religiosa, ”il paradosso si sia disteso“ , noi vediamo che un tale lamento è giustificato anche troppo bene; ma non ci sembra forse nello stesso tempo che si voglia mantenere il cristiano in uno stato di tensione paradossale che non è meno sconsigliato dalla psicologia che dal Vangelo?»
meriti
«Nonostante il carattere unilaterale di un pensiero fortemente segnato dalla eredità della Riforma, Paul Petit osserva che, negli ultimi anni della sua breve esistenza, Kierkegaard pare essersi orientato sempre più nettamente verso posizioni vicine al cattolicesimo. Egli è disposto ad ammettere, con critici come Brandes e Hoffding, che se Kierkegaard fosse nato più tardi, sarebbe stato cattolico. Noi non cercheremo di deciderne (e confessiamo di non scorgerne chiari indizi). Ci basta che questo franco tiratore, separato dalla sua Chiesa, sia stato il testimone scelto da Dio per costringere il mondo a contemplare la grandezza di quella fede, che sempre più disconosceva; che egli sia stato, in un secolo trascinato dall’immanentismo, l’araldo della trascendenza. Ci basta che questo uomo sprezzante di ogni apologetica, sia lui stesso, a modo suo, un potente apologista, lui la cui opera è un commento a questa massima della Postilla: ”Ci si prepara a diventare attenti al cristianesimo non con la lettura dei libri, né con le prospettive storico-mondiali, ma attraverso l'approfondimento nella esistenza“.»
[corsivi nostri]
da De Lubac, Il dramma dell'umanesimo ateo, cap. 2, § II.