Carl Schmitt
l'insuperabilità del conflitto
Introduzione
Carl Schmitt (1888-1985) è stato un importante filosofo politico e giurista tedesco. In qualche modo egli può essere visto come uno dei principali teorici di un pensiero identitarista, fautore cioè di un concetto di identità (collettiva) inevitabilmente contrapposta ad altre identità. In pratica per lui non è possibile che tutti gli esseri umani si riconoscano come fratelli e siano perciò tutti amici: sia tra gli individui sia tra le nazioni ci sono amici e ci sono nemici: è la cosiddetta teoria dell'amico/nemico.
📔 Opere principali di Carl Schmitt
titolo originale | titolo ital. (o edizione) | anno |
Der Führer schütz das Recht | [data incerta] | |
Die Diktatur, von den Anfängen des modernen Souveränitätsgedankens zum proletarischen Klassenkampf | La dittatura. Dalle origini dell'idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria | 1921 1, 2006 2 |
Politische Theologie. Vier Kapitel zur Lehre von der Souveränität | Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità | 1922 |
Römischer Katholizismus und politische Form | Cattolicesimo romano e forma politica | 1923, 1925 2 |
Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus | La condizione storico-spirituale dell'odierno parlamentarismo | 1923, 19694 |
Verfassungslehre | Dottrina della Costituzione | 1928 |
Der Begriff des Politischen | Il concetto di politico | 1932 |
Legalität und Legitimität | Legalità e legittimità | 1932 |
Staat, Bewegung, Volk. Die Dreigliederung der politischen Einheit | «Stato, movimento, popolo» | 1933 |
Über die drei Arten des rechtswissenschaftlichen Denkens | I tre tipi di pensiero giuridico | 1934 |
Der Problem der Legalität | «Il problema della legalità» | 1950 |
Ex Captivitate Salus. Erfahrungen der Zeit 1945/47 | Ex Captivitate Salus. Esperienze degli anni 1945-1947 | 1950, 2002 2 |
Nehmen / Teilen / Weiden | «Appropriazione, divisione e, produzione. Un tentativo di fissare correttamente i fondamenti di ogni ordinamento economico-sociale, a partire dal "Nomos"» | 1953 |
Politische Theologie II. Die Legende von der Erledigung jeder Politischen Theologie | Teologia politica II. La leggenda della liquidazione di ogni teologia politica | 1970, 19842 |
Le categorie del politico | Il Mulino Bologna | 1972 |
Glossarium. Aufzeichnungen der Jahre 1947-1951 | Glossario | 1991 |
Presupposti filosofici
una gnoseologia pessimista
A monte di questa concezione, pessimistica, che vede il conflitto come inevitabile sta anzitutto una gnoseologia che dispera della possibilità che la ragione umana riconosca delle verità oggettive e quindi universali e perciò universalmente condivise.
Non possiamo conoscere una struttura intelligibile esprimibile in leggi universali, ma solo una realtà fatta di eccezioni, cioè di particolari. Questo significa una sfiducia nella capacità conoscitiva della ragione e l’impossibilità, come osserva un suo studiosoNicoletti, di «una conoscenza neutra, oggettiva, razionale», che sola potrebbe permettere agli esseri umani di condividere la verità e quindi di convivere pacificamente e armoniosamente. Infatti senza una verità che tutti possano condividere, c'è il contrasto tra opinioni, e da esso è pressoché inevitabile che deriva il contrasto tra interessi e progetti; quindi il contrasto, da conoscitivo, diventa reale, effettivo, pratico. Cioè diventa guerra.
una antropologia pessimista
Da questa gnoseologia antirealista deriva una antropologia non meno pessimistica: l'uomo è visto come propenso a nuocere agli altri. Un suo studioso Karl Thieme, sostiene che «l’uomo, immagine di Dio, è ridotto da Schmitt a una bestia, a un cane sanguinoso, a un essere satanico per neutralizzare il quale è legittimo ricorrere a qualsiasi misura politica».
Soprattutto pericoloso lo diviene quando si riunisce con altri e diventa popolo, massa collettiva. Il “popolo” «è l’irrazionale» e deve essere dominato con la violenza, senza che con lui si possa “scendere a patti” o trattare dialogicamente: «lo si deve padroneggiare con l’astuzia o la violenza.»
l'amico/nemico
Gli esseri umani quindi non sono “fratelli tutti”, come titola un'enciclica di papa Francesco, ma vi sono amici e nemici. E il nemico è l'altro, l'estraneo, lo straniero, colui che «estraneo alla stirpe [...] pensa e intende diversamente, perché egli è fatto in un altro modo».
Perciò la guerra è in qualche modo inevitabile. Schmitt non crede in ideali universali che possano regolare i rapporti tra individui e nazioni. E depreca il fatto che si pensi a delle “guerre giuste”, nel senso di fatte per ideali universalistici: le guerre sono sempre e solo fatte per interessi egoistici, particolaristici.
Ad esempio egli, che simpatizzò del resto per il nazismo (anche se sarebbe semplicistico definirlo puramente e semplicemente nazista: sarebbe una semplificazione inaccettabile per un pensatore comunque di alto livello), vedeva come ipocrita in fatto che gli Alleati che avevano sconfitto la Germania nella Seconda Guerra mondiale, si presentassero come i campioni dell'Umanità. Hanno fatto, per lui, solo i loro interessi.
Del resto in generale Schmitt, riprendendo una frase di Proudhon, sostiene che parlare di “umanità” è in quanto tale ingannevole e ipocrita.
il decisionismo
Se le cose stanno così, se è in atto inevitabilmente una lotta all'ultimo sangue, in cui è inutile cercare di trovare con la ragione dei punti accordo con gli altri, perché la ragione non coglie verità e valori universali e ognuno quindi porta avanti solo il suo interesse, allora la migliore forma di governo non è la democrazia parlamentare, ma la dittatura.
Il parlamentarismo infatti discute su tutto e cerca su tutto di negoziare e di mediare. Ma ciò è solo perdita di tempo prezioso per quanto abbiamo già visto. Occorre invece chi decida. Dove tra l'altro la cosa importante non è «decidere bene», ma «decidere». A conferma che non c'è una verità oggettiva da riconoscere, ma un atto di forza da attuare.
Si vede come in Schmitt non ci possa essere democrazia parlamentare, con la sua paziente ricerca del compromesso, perché non ci può essere dialogo, come non ci poteva essere dialogo, riferimento a un comune logos, tra il lupo e l'agnello della favola di Fedro .
La teologia politica
Schmitt, che pure sosteneva, come si vede, delle tesi incompatibili con una visione cristiana della realtà, pretendeva invece di essere al servizio della religione cristiana. Cioè elaborò una “teologia politica”, dove però la religione è strumento di potere, serve infatti a legittimare il potere (del dittatore). In altri termini Schmitt credeva in una religione civile, che dimentica il nucleo essenziale, soprannaturale, del cristianesimo, e si naturalizza, si immanentizza, si politicizza, diventa la religione della nazione, di una nazione inevitabilmente in lotta per l'egemonia contro le altre nazioni.
⚖ Per un giudizio
La valutazione che dò del pensiero di Schmitt è essenzialmente negativa, per la sua negazione del realismo conoscitivo, per il suo pessimismo antropologico e soprattutto per le conseguenze che ne derivano con la teorizzazione della inevitabilità del conflitto tra gli esseri umani.
Che di fatto ci sia egoismo è infatti vero. Ma che esso esprima la natura profonda dell'uomo e perciò sia inevitabile non è vero.
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