Umanesimo cristiano

2. l'umanesimo cristiano

Non sempre ben separabile dall'umanesimo antropocentrico in alcuni singoli autori (come nel caso di Ficino), ma dotato comunque di una precisa fisionomia, è esistito anche un umanesimo cristiano. Un umanesimo cristiano non è dunque semplicemente possibile, né è solo una categoria metastorica: un certo numero di pensatori (ma anche di letterati e artisti), che hanno caratterizzato la cultura umanistico-rinascimentale nel '400 e '500, hanno vissuto a pieno titolo le istanze del loro tempo, rimanendo altrettanto pienamente fedeli al deposito tradizionale della fede degli Apostoli.

1. L'unità culturale dentro la fede

Negli autori che possiamo considerare umanisti cristiani troviamo da un lato l'istanza di apertura valorizzatrice verso il positivo presente ovunque, d'altro lato l'esigenza di ricondurre l'ambito “profano” dentro l'orizzonte della fede, senza facili irenismo (dal greco Eirène = pace) indica un atteggiamento che cerca a tutti i costi l'accordo con l'altro, anche sacrificando la verità, e similmente il termine concordismo indica la volontà di trovare una intesa, una concordia anche non fondata sulla veritàirenismi o concordismi.

Apertura valorizzatrice, quindi: come quella che troviamo anzitutto in Niccolò Cusano (1401-64) dove parla di concordia possibile tra diverse religioni. Nel suo De pace fidei troviamo ad un tempo l'affermazione del Cristianesimo come unica vera religione, e il tentativo di un dialogo che accolga il più possibile quanto di vero e buono è contenuto in ebraismo e islam. E' vero che il cioè il Cusanofilosofo di Cusa sembra talora procedere in modo razionalistico, come se bastasse ragionare correttamente, secondo una serrata logica metafisica, per giungere necessariamente a riconoscere la verità della fede cristiana; ma, se dobbiamo credere all'autorevole interpretazione di un de Lubac, il suo intento è del tutto ortodosso: mostrare che Cristo non è solo un individuo storico determinato, ma anche il Verbo nel quale tutto è stato fatto (non nel senso gnostico di una entità cosmico-naturale, e alternativa all'Incarnazione), Colui che è perciò la consistenza ontologica ultima di tutto, e che quindi non è un estraneo nella metafisica, essendo il senso più profondo dell'essere (de Lubac, L'alba incompiuta, p.369/70). E' perciò Cristo, la infinita pax che omnia ad se convertit et in se unit (Excitationes, l.5), Colui che attira e unisce tutto in sè, non senza un giudizio, però.

Beato Angelico, elemosina di S.Lorenzo
elementi moderni, come la prospettiva, dentro una cornice di fede affermata

Ancora, un atteggiamento simile lo troviamo oggettivamente in Marsilio Ficino, che, seppur con minor nettezza di giudizio degli altri umanisti cristiani, si protende a valorizzare la storia della cultura umana, in particolare della tradizione pitagorico-platonica, per scoprirvi le tracce dell'unica Verità, dell'unico Logos che viene progressivamente rivelandosi: ciò che il cristianesimo ha annunciato non è antitetico al cammino dello spirito umano, ma ne è il supremo compimento, per cui quella cristiana è una “docta religio”, perché nutrita degli apporti sapienziali antichi; e d'altro canto una filosofia per essere vera non può essere neutra, puramente razionale: deve essere una “pia philosophia”, che riceva cioè la sua forma dalla fede.

Infine in Pico della Mirandola (1463-94) si può trovare un progetto di valorizzazione dei contributi positivi anche cioè fioriti al di fuori del cristianesimo, elaborati cioè da autori non cristianiextracristiani, pur dentro la riconosciuta assolutezza del dato di fede. porzione di testo disponibile solo nell'edizione acquistabile, in digitale o cartaceo, su Amazon [...]

E' quanto vediamo anche in un pensatore che, per quanto fragile di temperamento, non deviò da una intelligenza di fede ortodossa, Erasmo da Rotterdam (1466[9]/1536). Come correttivo ad una impostazione teologica incline al razionalismo, e quindi ad un appannamento dell'identità cristiana, stemperata nella neutrale universalità dell'intelletto, Erasmo propone un ritorno alla Scrittura e ai Padri, in cui più vivida e inconfondibile si ritrova l'originalità del Cristianesimo. Non certo per un contatto intimistico con la Parola, di tipo protestante, come prova la polemica contro Lutero sul libero arbitrio: per il pensatore olandese la natura umana, sia pur corrotta nel suo stato storico, rimane capace di libertà e di giudizio.

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L'invito di Erasmo riecheggia il paolino non conformatevi alla mentalità di questo mondo (Rm 12, 2), e vibra della consaprevolezza della specificità cristiana (un cristiano è diverso da un pagano). La quale è irriducibile alla misura mondana e perciò non istintiva, non comoda (non "tranquilla e confortevole"): la vita cristiana richiede una lotta, una ascesi. Appunto perché non è puramente naturale, non di questo mondo.

Che l'apertura valorizzatrice di cui stiamo parlando non andasse disgiunta da un giudizio preciso sugli errori, e non fosse perciò da confondere con un irenismo sincretistico lo vediamo ancor meglio in Pico e in Tommaso Moro.

Pico della Mirandola, che pure abbiamo visto anelare all'unità più vasta possibile, compatibilmente col suo fondarsi sulla verità, non indietreggia a prendere decisa posizione contro ciò che gli appare errore. Così lo vediamo condannare senza mezzi termini quella pratica che andava prendendo sempre più piede nella società europea del suo tempo, come abbiamo sopra ricordato, cioè l'astrologia. Lo fa', sostiene de Lubac, correggendo il suo pensiero giovanile, ma non contraddicendosi; e lo fa' con argomenti che dimostrano la robustezza di un pensiero che crede nella verità.

Tommaso Moro (1478-1535) a sua volta, forse il massimo esponente dell'umanesimo inglese, se parla di tolleranza nella sua celebre Utopia, se perciò è aperto alla valorizzazione del positivo ovunque sia presente, ha testimoniato con il suo sangue come intendesse tale tolleranza. Non certo, cioè, come abdicazione al riconoscimento della verità assoluta, per restare fedeli alla quale vale la pena morire.

Egli stesso, in carcere per non aver approvato lo scisma anglicano da Roma, in una sua lettera riferisce di aver colto l'alternativa a cui era sottoposto. Si trattava di scegliere tra la decapitazione (contraddicendo il Re, Enrico VIII) e l'inferno (contraddicendo Dio). Uno scettico, un relativista ci pare non avrebbe dato un giudizio così netto e deciso. E, più ancora, non lo avrebbe poi confermato col martirio, con un martirio così cristianamente sereno. Ma sentiamo altre sue espressioni:

«Ringrazio nostro Signore che quanto faccio, non lo faccio per ostinazione, ma per la salvezza dell'anima mia (..). Ché, i beni di tutto questo mondo ringrazio nostro Signore di non stimarli molto più della polvere (lettera a Gugliemo Leder)

il timore "della mia morte" viene mitigato ogni giorno di più, grazie a nostro Signore, dal timore dell'inferno, dalla speranza del cielo e dalla passione di Cristo» (lettera alla figlia)

2. La dignità dell'uomo concreto

Un altro fattore, presente nell'umanesimo cristiano è quello di un entusiasmo per la dignità dell'uomo, in piena aderenza al messaggio evangelico. L'uomo, nella sua originaria grandezza, velata e deturpata, ma non cancellata dal peccato.

Così troviamo nel De dignitate et excellentia hominis di Giannozzo Manetti ((1396-1459) un inno alla dignità dell'uomo, al suo valore, alla sua superiorità alla natura, alla sua capacità operosa. porzione di testo disponibile solo nell'edizione acquistabile, in digitale o cartaceo, su Amazon [...]

Vi è davvero una profonda differenza tra la sua baldanzosa fiducia nell'uomo concreto, e la plumbea e soffocante "accettazione di sè" che abbiamo trovato in Montaigne: vi sarà forse una ingenuità di sottolineatura, ma non una decisione preconcetta di rassegnarsi al male. La bellezza e la dignità, che Manetti ama e celebra, non sono un progetto astratto, ma qualcosa di concreto, che per essere coltivato chiede di aprirsi alla Grazia, come egli in effetti fa'.

Anche in Pico della Mirandola la celebrazione della dignità umana non è svolta in prospettiva antropocentrica, ma teocentrica. Si è voluto vedere in questo filosofo un precursore di un Sartre, teorico di un'umanità che si autocrea, non vincolata da alcuna natura prefissata né da alcuna legge oggettiva, e che si pone al posto di Dio. In realtà occorre leggere attentamente l'Oratio de hominis dignitate per rendersi conto di come simile interpretazione sia forzata e falsa. Qui il nostro procedere dovrà farsi più dettagliato, dato che si tratta di un nodo fondamentale.

E' noto che in tale celebre discorso Pico immagina che Dio si rivolga ad Adamo, avendo “esaurito” per gli altri esseri tutte le possibili forme e nature determinate (“gli archetipi”), lasciandolo libero di scegliere quale forma, quale natura darsi:

«La natura degli altri viventi già definita è costretta entro leggi da noi prescritte: tu, non limitato da alcuna costrizione, potrai secondo il tuo arbitrio, al cui potere ti ho affidato, definire la tua natura.

Sembrerebbe dunque che Dio abbia dato ad Adamo il potere di autoinventarsi, di autocreare la propria natura; sembrerebbe quindi che non esista un bene (=una realizzazione di sè, della propria natura) e un male (=un andar contro la propria umanità) oggettivi, già dati e stabiliti in modo irreformabile: sembrerebbe sia bene ciò che l'uomo stesso decide, a suo piacimento ed arbitrio, dato che è umano ciò che l'uomo decide lo sia, non essendovi una natura umana fissa, oggettiva, antecedente la libera scelta.

Ma l'equivoco si dissipa proseguendo la lettura:

«Tu potrai degenerare in forme inferiori animali (in inferiora quae sunt bruta degenerare), oppure, secondo la decisione del tuo animo, essere rigenerato verso ciò che è superiore e divino (in superiora quae sunt divina regenerari).

Si notino due cose:

Bisogna anche dire che il tono di ottimistico entusiasmo per la libertà, va ricondotto anzitutto all'irruenza giovanile (scrisse l'Oratio a ventitré anni), e va comunque compreso in senso non pelagiano; si riferisce infatti ad Adamo prima del peccato originale, alla natura umana cioè nel suo stato di integrità cioè antecedente il peccato originalesopralapsaria.

Ma è sulla prima notazione che ci pare bene insistere, seguendo la dotta interpretazione del de Lubac: Adamo non crea dei valori, è posto davanti ad una dialettica oggettiva, e che non può eludere. Se infatti fosse lui a creare la propria natura, qualunque scelta facesse, sarebbe buona. Ma così non è, poiché, delle due alternative fondamentali tra cui è chiamato a scegliere l'una è buona (l'innalzamento al sovra-umano), l'altra (l'abbassamento all'infra-umano) è cattiva e svantaggiosa. Che la scelta per il degenerare sia cattiva, lo vediamo nel seguito dell'Oratio:

«Se vedi uno dedito al ventre, un uomo che striscia sulla terra, è frutice non uomo colui che vedi; se vedi uno brancolare fra i vari inganni della fantasia, come di Calipso, e reso schiavo dai sensi, sedotto dalla subdola lusinga, è bruto e non uomo colui che vedi (i corsivi sono miei).

Chi si abbassa ad inferiora è meno che uomo. Non vi è libertà di crearsi: se si sceglie male si degenera, cioè si dissipa la propria umanità. E, per non lasciar adito a dubbi, Pico infine esorta:

«Invada l'animo una certa sacra ambizione, affinché, non soddisfatti delle cose mediocri, aneliamo alle più alte e ci sforziamo di raggiungerle con tutte le forze.»

Non ci può essere equiparazione insomma tra le diverse possibilità, né beffarda indifferenza: Pico è molto serio, pur nella giovanile baldanza. E non solo invita a non fermarsi al livello materiale, come in fondo faceva anche un pagano come Platone, ma va dritto alla perfezione cristiana, sprona a non fermarsi che in Dio infinito stesso:

«Teniamo in disdegno le cose terrestri, disprezziamo le celesti [nel senso di attingibili anche da un filosofo, osservo], e mettendo finalmente in non cale tutto ciò che è di questo mondo, voliamo verso la corte ultramondana presso l'altissima Divinità.»

Che cosa significa allora il discorso di Pico sulla dignità umana, incentrata sulla libertà? E che cosa pensare della metamorfosi che l'uomo, "questo camaleonte", può subire?

Non si tratta di novità assolute: era tipico della tradizione agostiniana, a cui in qualche modo Pico attinge, evidenziare la funzione della sfera affettivo-volizionale, rispetto a quella conoscitivo-razionale: non basta conoscere e ragionare, la vita è determinata soprattutto da ciò che uno ama e vuole, e tanto meglio anzi si conoscerà l'essenziale della vita, quanto più la sua volontà sarà ben orientata.

La novità di Pico consiste nell'accento particolarmente positivo con cui considera la libertà: non col rammarico di chi tema di usarla male, ma nemmeno con la leggerezza di chi si mette al posto di Dio, bensì con la gratitudine di chi si sente investito di una enorme fiducia. Si potrà osservare quanto si vuole che non manca una certa ingenuità nei toni usati dal giovane filosofo, che in effetti in opere successive pondererà maggiormente le sue parole, ma non si potrà negare che l'alternativa tra imbestialimento e divinizzazione sia esistenzialmente drammatica, sulla scia della tradizione agostiniana: non esiste la possibilità di rannicchiarsi in una medietà/mediocrità in cui tutto si ripete meccanicamente, automaticamente, bisogna scegliere. E la posta in gioco è altissima: diventare come Dio, o diventare come le bestie. Questo ci pare il senso più vero del messaggio dell'Oratio .

Che l'uomo poi si trasformi non significa affermare che egli non abbia nessuna natura (in questo Pico sarà esplicito nell'Heptaplus): la natura dell'uomo esiste, solo che è dinamica, aperta, può dilatarsi, o meglio lasciarsi dilatare fino all'Infinito, ovvero accartocciarsi nella decadenza dell'animalità. Anche questa è una tesi già abbondantemente svolta dal pensiero medioevale, per il quale il vizio trasforma l'uomo in bestia, diversa a seconda del tipo di vizio predominante (cane, o serpe, o porco, o pipistrello, o verme); così come, per converso chi segue il bene, cioè il Bene, viene assimilato soprannaturalmente all'Infinito, e in qualche modo divinizzato.

È un'idea già presente in S.Ireneo, per il quale coloro che respingono il consiglio dello Spirito per asservirsi ai piaceri della carne (..) e vivono alla maniera dei porci e dei cani siamo soliti considerarli pari a delle bestie (Adversus Haereres, l.5, c.8), o in Origene, che tra le altre cose dice che l'anima che cede alla passione cade in una natura bestiale (Perì Archòn, l.1, c.8), in S.Basilio che ammoniva

«una massa immensa di bestie tu porti in te.. La collera è una piccola fiera quando abbaia nel tuo cuore..L'individuo dalle invettive mordaci non è uno scorpione? Quello che, nell'ombra, si butta alla vendetta non è più pericoloso di una vipera? E l'ambizioso non è un lupo predatore? Chi ha la passione delle donne non è un cavallo infuriato?»

In sostanza il male è, agostinianamente, una diminuzione dell'essere, e quindi uno scadere verso il basso, verso i gradi inferiori del reale, infraumani: che cosa certi storici della filosofia ci trovino di così prometeico in questo non è facile capirlo. E il fatto di salire verso il divino, la metamorfosi positiva, sarebbe prometeica solo se dipendesse da un esclusivo sforzo umano, se fosse un carpire violentemente il segreto e la potenza di Dio, come invece per Pico non è.

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3. Cosmo e microcosmo

Da ultimo possiamo accennare alla percezione della natura nell'umanesimo cristiano. Di cenno necessariamente si tratta, dato che l'indirizzo filosofico prevalente in questo tipo di umanesimo è di matrice platonica, poco interessato perciò al versante oggettivo-mondano del reale, e più concentrato su quello soggettivo-spirituale. Sarebbe certo interessante dire qualcosa a questo riguardo sul Campanella (1568-1639), che però già deborda dai limiti della cultura umanistico-rinascimentale. Accenniamo però almeno al dato positivo di una considerazione non oggettivistica del mondo naturale: permeato e plasmato da una forma strutturante affine all'anima umana, l'anima del mondo, tutto il creato è dotato di capacità sensoria. Al di là della apparente bizzarria del significato più epidermico di questa tesi, il suo senso profondo è affermare la non riducibilità del cosmo a materia bruta, a pura oggettività indefinitamente manipolabile dal progetto umano: il reale, anche infraumano, è permeato di vita, di anima, e quindi di senso, di bellezza, di “forma” nella valenza più pregnante. Di fronte ad esso quindi l'uomo non può avere anzitutto un atteggiamento unilateralmente dominatore, manipolatore, e meno ancora di sfruttamento, dato che egli è originariamente immerso nella sua avvolgente comunione.

Ciò che Campanella svilupperà è comunque già presente implicitamente in Pico, col suo tema del microcosmo. porzione di testo disponibile solo nell'edizione acquistabile, in digitale o cartaceo, su Amazon [...]

Conclusione

Se quanto abbiamo detto è vero, possiamo ora dire che è possibile essere pienamente moderni senza rinnegare nulla di quello che è il dato della Tradizione cristiana. La modernità infatti ha nel suo stesso sorgere un duplice volto, è carica di un duplice germe, quello antropocentrico e quello cristiano, le cui potenzialità restano tutte da giocare.

Come hanno testimoniato diversi recenti Sommi Pontefici il Cristianesimo si può dimostrare capace di amare e valorizzare l'uomo, si può cioè mostrare, come è, un autentico umanesimo. Capace di ascoltare e affrontare vittoriosamente il bisogno dell'umanità del nostro tempo.

Perciò il compito di «andare, con la Chiesa, fiduciosamente verso l'uomo» (Giovanni Paolo II), superando la tentazione di una sdegnosa, ma sostanzialmente triste, rinuncia, appare più che mai attuale; comn la sua attenzione quanto più possibile simpatetica verso tutto ciò che di autenticamente umano è emerso ed emerge nella storia dell'uomo.

📚 Bibliografia essenziale

1) critica all'umanesimo antropocentrico

2) valorizzazione del positivo