Marx: analisi e proposta
il comunismo come soluzione allo sfruttamento
Francesco Bertoldi
in sintesi
Non esiste alcuna verità assoluta, e perciò nessuna giustizia assoluta, e nemmeno può esistere Dio. Coerentemente in Marx manca una vera metafisica (e una cosmologia): tutta la sua attenzione si concentra sul mondo umano.
negazione del concetto di natura umana
L'uomo non ha alcuna natura metastorica: all'interno di un orizzonte che è interamente materiale e diveniente l'uomo è un essere storico e sociale. In un certo senso si può dire che per Marx non esiste l'uomo, ma la classe.
Pensare infatti in termini di natura umana è ideologico, tipico delle classi sfruttatrici, che vogliono far credere agli sfruttati che esista già una eguaglianza tra loro e gli sfruttatori, ottundendo lo spirito di classe, nascondendo la realtà della lotta di classe. Nel senso che pensare che esiste una natura umana significa pensare che abbiamo tutti la stessa natura, e quindi che siamo già tutti uguali. Mettendo così in primo piano una (falsa) eguaglianza, che nasconde la (vera) diseguaglianza, lo sfruttamento di una classe sull'altra.
Si può tuttavia osservare come, inevitabilmente, il concetto di natura umana (e di giustizia), “cacciato dalla porta, rientri dalla finestra”: non si potrebbe in effetti parlare di sfruttamento se non come di una deviazione dalla giustizia, che, in ultima analisi, non può che essere un dato che precede e giudica le scelte umane, ossia qualcosa di naturale.
una antropologia materialistica
Ciò che esiste è solo materia, una materia dialettica, dinamica e non statica (qui c'è l'eredità hegeliana e una importante differenza da Feuerbach). Nell'uomo ciò si traduce in una particolare capacità di dinamismo attivo: l'uomo non è statico, ma produce. Cioè si attua come attività produttiva, economica.
È solo questo, l'attività nei confronti della materia, a distinguerlo dagli animali: non vi è in lui alcuno spirito (concetto per Marx ideologico, funzionale agli interessi della classe sfruttatrice).
la cultura come sovrastruttura
Ne segue che quelle che vengono credute attività spirituali (cioè la cultura: arte, letteratura, musica, filosofia, ma anche il diritto e la politica), e quindi neutrali, asettiche, indifferenti alle dinamiche economico-materiali, altro non sono invece che proiezioni di queste ultime, ossia sono sovrastruttura (Überbau) rispetto alla “struttura”, alla alla base materiale (Basis), in altri termini ancora sono qualcosa di ideologico, ossia di non neutrale, disinteressato, ma di interessato e di funzionale agli interessi della classe dominante.
La classe dominante cioè favorisce la produzione di idee e di realizzazioni culturali che le possano confermare il dominio sulla classe sfruttata. Tipicamente ciò avviene favorendo una fuga, una evasione, una dimenticanza della realtà materiale. Una sorta, in qualche modo, di droga culturale, che dando agli sfruttati momenti di felicità illusoria, li trattenga dal ribellarsi alla loro condizione di effettivo sfruttamento.
Anche la religione, per Marx, svolge questo ruolo: promettendo agli esseri umani una felicità in una (per lui inesistente) vita futura, ultraterrena, crea in loro una rassegnazione all'ingiustizia, e li distoglie dal cercare la felicità terrena, che per Marx potrebbe essere raggiunta solo ribellandosi alla classe sfruttatrice.
il collettivismo
Di conseguenza l'uomo, come essere sociale, collettivo non esiste come persona, la persona (singola) non ha un valore infinito, ma il suo valore si risolve nell'appartenere alla collettività.
Non contano le persone, ma le masse. Tipico della storiografia ossia i testi di storia, anche scolastici, ispirati alla concezione di Marxmarxista, ad esempio, è la sottostima delle ricerche biografiche, che studiano la vita e la personalità di singoli grandi uomini, per concentrarsi sulle dinamiche collettive, che riguardano le masse, le classi sociali.
la storia
La storia, supremo emergere, massima condensazione del reale, è appunto lotta di classe, lunghissimo conflitto tra oppressori e oppressi, destinato a concludersi con la finale vittoria degli oppressi, il proletariato, che con una rivoluzione violenta spezzerà le proprie catene e instaurerà una società di perfetta e totale attuazione dei bisogni umani.
la storia
Per Marx essa è sempre (se si eccettua una fase comunitaria primordiale, sulla quale egli non si sofferma, e che svolge il ruolo di originaria tesi, in senso hegeliano, per potervi contrapporre poi l'antitesi della storia come lotta di classe e il comunismo come sintesi finale) stata determinata dalla lotta di classe: così egli rilegge episodi della storia antica, come lo scontro tra patrizi e plebei nella Roma repubblicana, come documentazione di tale tesi. Così vi sarebbe stata, a suo parere, una lotta di classe anche tra «servi della gleba e feudatari, tra garzoni e maestri di bottega», rispettivamente nell'Alto e nel Basso Medioevo. Così, soprattutto, vi è stata lotta di classe tra la borghesia capitalistica e il proletariato operaio nel capitalismo moderno.
Lotta di classe significa strutturale e necessaria contrapposizione di interessi inconciliabili, non componibili: ciò che va bene agli uni non può andare bene agli altri, necessariamente. Non si tratta, per il discepolo di Hegel, di una situazione contingente, superabile con della buona volontà. Né si tratta di una situazione che possa mutare a seconda dei diversi luoghi o dei diversi tempi: sempre, ovunque e necessariamente c'è stata (e ci sarà, fino a che non si instaurerà il comunismo) lotta di classe.
un uomo senza lacrime
In questa idea di lotta di classe si vede il peso dell'eredità hegeliana in Marx: la realtà è dialettica, cioè contrapposizione, ma la contrapposizione dialettica (che vuol dire anche sofferenza, inquietudine, impossibilità di essere in pace con gli altri) non deve essere vista, nel maestro come nel discepolo, come lacerante ferita, ma come un dato di cui prendere atto con volontaristica fermezza: Hegel e Marx hanno radicalmente bandito il pianto, il loro sguardo alla realtà è programmaticamente senza lacrime. Perciò è disumano.
Non c'è dunque neutralità possibile, nel valutare qualsivoglia problema: o si sta con gli oppressi o si sta con gli oppressori (è quasi una trascrizione laica, e atea, della radicalità evangelica: “o con Me o contro di Me”). Non si può ad esempio dire di una politica economica che è “buona”, in assoluto: se lo sarà per gli uni, non lo sarà per gli altri.
verso lo smascheramento finale
L'analisi marxiana della storia si sofferma, come del resto è logico, sulle ultime epoche, sinteticamente il feudalesimo medioevale e il capitalismo moderno.
Egli, anche qui hegelianamente, ritiene che la storia abbia un senso, e sia orientata a una perfezione finale, raggiungibile però solo attraverso il “purgatorio” dell'antitesi: occorre che l'umanità passi attraverso il fuoco della contraddizione spinta al suo parossismo, perché possa poi, proprio grazie a tale esasperazione, far leva su di essa per attuare quella rivoluzione destinata a portarlo al comunismo.
In questo senso il capitalismo moderno ha avuto il merito, rispetto al feudalesimo, di chiarire i termini reali del rapporto di classe: se nel Medioevo ci poteva essere ancora qualche incertezza sul carattere di sfruttamento degli uni sugli altri, dato che le classi allora dominanti amavano presentarsi come animate da nobili e disinteressati intenti, preoccupate del bene comune più che di sé stesse, con il capitalismo lo sfruttamento ha tolto la maschera e si è svelato in tutta la sua cruda brutalità.
La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria. Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato da illusioni religiose e politiche.
Se anche la condizione della classe sfruttata è in tal modo peggiorata, ciò deve essere visto come la necessaria premessa alla rivoluzione.
l'analisi del capitalismo nei Manoscritti
Secondo Marx il lavoratore, nella società capitalistica, subisce una quadruplice forma di alienazione:
- del prodotto che gli è estraneo e anzi nemico:
l'oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo
; - dell'attività lavorativa, forzata e costrittiva, strumento per fini estranei:
il lavoro è esterno all'operaio, cioè non appartiene al suo essere, e quindi nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, si sente non soddisfatto, ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e distrugge il suo spirito. Perciò l'operaio solo fuori del lavoro si sente presso di sé; e si sente fuori di sé nel lavoro. è a casa propria se non lavora; e se lavora non è a casa propria. (...) La sua estraneità si rivela chiaramente nel fatto che non appena vien meno la coazione fisica o qualsiasi altra coazione, il lavoro viene fuggito come la peste.
; - della sua stessa realtà, dato che questa realtà è essenzialmente capacità produttiva, prassi; ne segue che il lavoratore si sente bestia quando dovrebbe sentirsi uomo, cioè sul lavoro, mentre si sente uomo quando dovrebbe sentirsi bestia, cioè nelle attività comuni agli animali, come mangiare e procreare, che restano gli unici spazi non alienati;
- del rapporto con gli altri:
il lavoro estraniato strappando all'uomo l'oggetto della sua produzione, gli strappa la sua vita di essere appartenente ad una specie
.
l'analisi del capitalismo nel Capitale
1. Marx ritiene che debba essere problematizzato il concetto di merce, che l'economia classica dava come ovvio; e per definire esattamente il concetto di merce, egli distingue due tipi di valore che la contraddistinguono:
- il valore d'uso, ossia quel valore che deriva dalla effettiva utilità che la merce, l'oggetto passibile di scambio, ha, ossia il suo (più o meno) corrispondere a bisogni precisi;
- il valore di scambio, ossia il valore che determina il prezzo di un prodotto, il suo costo.
Potremmo definire il valore d'uso come v. teleo-logico (da telos=fine) e il valore di scambio il v. archeo-logico (da archè=origine) di una merce. In effetti secondo Marx non vi è necessaria coincidenza tra v. d'uso e v. di scambio: in parole povere una cosa può anche essere di grande utilità e costare poco, e viceversa. Che cosa allora determina il valore di scambio?
Marx non ha dubbi: è la quantità di lavoro necessario a produrlo. Quanto maggiore sarà stato il lavoro, tanto maggiore sarà il valore di scambio, cioè il prezzo, della merce prodotta.
Nel costo della merce giocano infatti più fattori di quanti non pensasse Marx:
- la disponibilità e il valore delle materie prime (un diamante vale comunque tanto, anche se il lavoro richiesto alla sua commercializzazione fosse minimo)
- il lavoro, ma non solo nella sua quantità, quanto piuttosto nella sua qualità, nella capacità di fare un buon prodotto
- l'apprezzamento del mercato, cioè la legge della domanda e dell'offerta, inclusa la dimensione della "pubblicità", cioè la capacità di rendere attraente una merce (a nulla vale fare molta fatica, per produrre un oggetto che il mercato non richiede, o che è già offerto in quantità superiore alla domanda)
2. Egli ritiene poi di individuare lo specifico modo con cui il capitalismo affronta il rapporto tra merce e denaro contrapponendolo alle società precapitalistiche:
- società precapitalistiche
- ciclo M-D-M (merce-denaro-merce)
- il denaro serve solo come fattore di scambio: ciò che interessa è la fruizione della merce, dei prodotti
- capitalismo
- ciclo D-M-D' (denaro-merce-denaro)
- il denaro, il capitale è il fine di tutto: si parte da esso e si vuole arrivare non tanto alla fruizione di beni, quanto a un sempre maggior accumulo di capitale
Marx fissa la sua attenzione sul fatto che nel ciclo D-M-D, tipico del capitalismo, il capitale finale (D') è maggiore di quello inizialmente investito (D), e si chiede da dove provenga questo surplus, che egli chiama plusvalore.
Il plusvalore non può venire dallo scambio, egli argomenta, in quanto lo scambio si fonda sul principio di eguaglianza. Perciò egli ritiene che non a livello dello scambio, ma a livello della produzione si situi l'origine del plusvalore. Ovvero il capitalista defrauda, non occasionalmente o contingentemente, il lavoratore salariato, ma strutturalmente e necessariamente: lo defrauda considerando il suo lavoro non, come è davvero, il fattore che dà valore (la differenza tra v. d'uso e v. di scambio) alla merce, ma come merce, come una merce accanto ad altre; considera cioè il suo lavoro come forza-lavoro, pagandone solo il necessario alla sopravvivenza fisica.
Obiezione: ciò che Marx trascura nell'analizzare il concetto di plusvalore è che
- la ricerca del profitto è antica quanto il mondo: perché mai uno dovrebbe investire del capitale, rischiando di perderci, se non perché conta e spera di guadagnarci? In effetti investire comporta un rischio, ma pare che questa dimensione non venga presa in esame da Marx, che fa come se tutto fosso assicurato.
- perché non dovrebbero essere dei fattori inerenti alla ideazione, alla modalità di produzione e alla commercializzazione i fattori che assicurano il plusvalore? Ossia l'intelligenza con cui uno fiuta i bisogni del mercato, la creatività con cui sa trovare soluzioni nuove e interessanti a tali bisogni, la persuasività con cui sa trattare le varie componenti del processo, dai fornitori di materie prime fino all'utente finale, attuando accorte campagne promozionali.
- ma più a monte Marx sbaglia nel confondere risorse e ricchezza: le risorse a disposizione del genere umano sono limitate a una data quantità, sono come una torta per cui se è grande la mia fetta sarà più piccola la tua; ma la ricchezza totale del genere umano non è statica, bensì dinamica: può aumentare e di fatto nel corso della storia è aumentata: se oggi abbiamo gli smartphone non è perché li abbiamo rubati agli aborigeni.
il comunismo
la rivoluzione
La storia è necessariamente incamminata verso questa meta finale, di perfezione suprema, il comunismo, un tipo di società in cui l'umanità sarà perfettamente realizzata e avrà finalmente estirpato il male. Si tratta appunto, hegelianamente, di un cammino necessario e non di un ideale volontaristicamente applicato a una realtà che potrebbe anche rivelarsi refrattaria ad esso.
Ma per arrivare al comunismo occorrerà abbattere il capitalismo, ultima fase della storia come lotta di classe, mediante una rivoluzione: non è infatti possibile migliorare (progressivamente) il capitalismo, usare le forme del capitalismo per riempirle di contenuti socialisti; le forme non sono neutrali, lo Stato è Stato borghese (sovrastruttura). Capitalismo e comunismo sono due totalità organiche che non possono che essere alternative. Occorre abbattere, distruggere, superare il capitalismo per instaurare un nuovo tipo di società radicalmente diverso. E ciò non può che avvenire con una rivoluzione.
Rivoluzione significa necessariamente violenza, scorrimento di sangue? In qualche raro passo, ad esempio in un discorso commemorativo dell'insurrezione polacca nel 1867, Marx auspica un possibile passaggio pacifico al comunismo, al governo del proletariato:
è possibile - diceva - che la lotta tra lavoratori e capitalisti sia meno terribile e meno sanguinosa della lotta tra signori feudali e borghesia in Inghilterra e in Francia.
E concludendo i lavori dell'Internazionale ad Amsterdam sosteneva che
non neghiamo che esistano dei paesi come l'America, l'Inghilterra e ... l'Olanda, in cui i lavoratori possono raggiungere il loro scopo con mezzi pacifici.
Tuttavia se si guarda la logica complessiva di Marx, il suo hegelismo per cui si può arrivare alla sintesi solo attraverso l'antitesi, che è negazione, rottura e quindi anche possibile violenza, e quanto da lui espressamente affermato in più parti, risulta difficile pensare che ci possa essere un passaggio rivoluzionario verso il comunismo senza una componente violenta: si tratta di spezzare e abbattere una potenza, il capitalismo, che difficilmente potrebbe non opporre resistenza al proprio abbattimento.
la dittatura del proletariato
Si capisce in questa ottica anche il concetto di dittatura del proletariato: una volta fatta la rivoluzione il potere andrà tenuto, per qualche tempo, in modo repressivo e dispotico. Bisogna infatti mettere in conto la reazione dei capitalisti, che cercheranno in ogni modo di riprendersi il potere, e che andranno repressi con la massima energia e spietatezza. Tale dittatura sarà tanto più legittima e accettabile in quanto dittatura non più di una minoranza (di oppressori) sulla maggioranza (di oppressi), ma dittatura della maggioranza (di ex-oppressi) su una minoranza (di ex-oppressori). Si tratterà comunque di una fase transitoria, la cui durata peraltro non è fissata in modo preciso, né lo potrebbe essere: durerà tutto il tempo necessario per sradicare definitivamente e profondamente il capitalismo e la sua mentalità, estirpando così il male dal cuore dell'uomo, per cui si arriverà al comunismo, come società senza Stato e senza bisogno di alcuna repressione.
i tratti del comunismo
Come sarà la società comunista? Marx non si diffonde in particolari, ed è anche qui la sua differenza rispetto al pensiero utopico. Del comunismo realizzato abbiamo solo dei tratti molto generali: sarà una società in cui il male sarà totalmente vinto, l'ingiustizia e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo radicalmente eliminati, e tolto il bisogno di costrizione e di controllo (sarà senza Stato).
è prevedibile che prima di arrivare a tale perfetto comunismo si passi attraverso una prima fase di comunismo rozzo
, in cui la proprietà non sarà radicalmente abolita, ma solo trasferita alla comunità, allo Stato, per cui tutti saranno dei salariati di quell'unico, ultimo grande capitalista che sarà la collettività statale. Occorrerà superare questa fase per arrivare a un assetto radicalmente nuovo, a un uomo nuovo
, onnilaterale
e totale
, in cui la società chieda a ciascuno a seconda delle sue capacità e dia a ciascuno secondo i suoi bisogni.