Kant: religione e politica
una religiosità puramente razionale
Francesco Bertoldi
la religione nei limiti della ragione
Kant privilegia, come abbiamo visto, la morale sulla religione: non dobbiamo essere buoni per obbedire a Dio, ma Dio deve esistere perché dobbiamo essere virtuosi. Tuttavia egli ammette appunto la necessità morale dell'esistenza di Dio e quindi ammette che debba esistere una qualche forma di religione. Tuttavia essa deve rimanere, come dice il titolo della sua opera dedicata a questo, nei limiti della semplice ragione
.
Egli perciò nega la Rivelazione (sia cristiana sia di altro tipo), il soprannaturale, il miracolo. Per lui Gesù non è che un uomo, non è il Figlio di Dio.
Tuttavia Kant recupera alcuni concetti cristiani, laicizzandoli. Ad esempio riprende il concetto di peccato originale, che in lui assume la forma di male radicale: esiste, stranamente, un male radicale, una strana difficoltà nell'uomo a seguire la legge morale.
Il male radicale dunque va combattuto, e per farlo è opportuno che i virtuosi, coloro che sono intenzionati a seguire la legge morale, si uniscano, uniscano le loro forze. E questo è un secondo importante concetto cristiano, che Kant recupera, sempre laicizzandolo, quello di chiesa. Anche se non si tratta di un organismo soprannaturale, ma di un associazione puramente umana, che di fatto finisce con l'assomigliare soprattutto alla massoneria.
Degna di nota è la avversione kantiana per quello che lui chiama il fanatismo, che però non è altro che la santità cristiana: per lui non bisogna fare niente di meno, ma neanche niente di più di quello che la legge morale prescrive, dunque perdonare settanta volte sette, o amare i propri nemici è follia, fanatismo irrazionale.
la politica
il Kant migliore e più attuale
Come anticipato la proposta politica di Kant è la parte più condivisibile del suo sistema, e quella che si rivela oggi più che mai di grande attualità.
Kant infatti difende la forma democratica (“repubblicana”) dello Stato, in pratica la democrazia, come quella che meglio può garantire la pace. Pace che Kant, a differenza di Hegel, ritiene possibile.
Ecco come Kant lo argomenta:
«Se (...) si richiede il consenso dei cittadini per decidere se la guerra debba o non debba essere fatta, niente di più naturale del pensare che, dovendo far ricadere su di sé tutte le calamità della guerra (combattere di persona, sostenere di propria tasca le spese della guerra, riparare le rovine che essa lascia dietro e, infine, per colmo di sventura, assumersi il carico di debiti mai estinti — a causa di sempre nuove guerre —, amareggiando così la stessa pace), essi ci penseranno sopra a lungo prima di iniziare un gioco così malvagio.
In una costituzione (...) che (...) non è repubblicana [in pratica, dove decide il despota, si può chiosare], la guerra è la cosa più facile del mondo, perché il sovrano non è membro dello stato, ma ne è il proprietario e nulla perde dei suoi banchetti, delle sue caccie, castelli, feste a corte ecc. a causa della guerra, e la può quindi dichiarare come una specie di partita di piacere per cause insignificanti, lasciando al corpo diplomatico, sempre pronto a questo, il compito di giustificarla per salvare le apparenze.» (da Per la pace perpetua [1797])
Insomma, in democrazia i governanti devono cercare il consenso della gente, e dato che in genere, se ben informata (come appunto lo può essere solo in democrazia), la maggioranza della gente non vuole la guerra, se non per motivi davvero gravissimi e reali, è molto difficile che una democrazia intraprenda una guerra che non abbia ragioni più che solide.
Invece un tiranno, o una oligarchia dispotica, può pensare di non aver niente da perdere da una guerra (tende cronicamente a pensarlo, anche se spesso le guerre perse dai tiranni sono poi la loro fine, come fu per Mussolini e Hitler).