Cartesio

il divorzio tra esperienza e ragione

🪪 Cenni sulla vita

Nato a La Haye, in Turaine, il 31 marzo 1596. Rimasto orfano di madre entrò nel Collegio dei Gesuiti di La Flèche. Si licenziò in diritto all'università di Poitiers (1616). Si dedicò in seguito a una vita piuttosto inquieta e vagabonda, di cui si ignorano molti dettagli. In Olanda, a Breda, incontrò nel 1618 Isaac Beeckmann, scienziato che applicava la matematica alla fisica, con cui si confrontò sul suo progetto di creare una "algebra geometrica" (poi chiamata geometria analitica). Si arruolò poi nell'esercito di Maurizio di Orange Nassau, contro gli Spagnoli. In questa circostanza peraltro Cartesio non ebbe modo di partecipare direttamente alle attività militari, e si dimostrò disinteressato allo specifico della guerra: lui stesso attestava di ignorare quasi per chi combattesse, e di lì a poco si arruolò nell'esercito, nemico a quello dell'Orange, di Massimiliano d'Asburgo. Abbandonata la vita militare viaggiò in Germania, Francia e Italia. Tornato in Francia, a Parigi incontrò il padre Marino Mersenne, che lo convinse, d'accordo col card. Bérulle, a dedicarsi a un'opera di riforma della filosofia.

Stabilitosi subito dopo (1628) in Olanda, vi rimase, pur cambiando spesso città, per vent'anni, giovandosi del clima di libertà intellettuale di quella nazione. Qui pubblicò la maggior parte delle sue opere, e intrattenne un fitto carteggio con i più importanti dotti dell'epoca, da Gassendi a Arnauld, da Pascal a Hobbes.

Tuttavia gli stessi intellettuali olandesi, protestanti (in particolare docenti delle università di Leida e di Ultrecht), finirono col criticare Cartesio per la sua costante volontà di conciliazione con la Chiesa cattolica, e Cartesio, amareggiato, accettò nel 1649 l'invito della Regina di Svezia, Cristina, recandosi a Stoccolma. Lì, pare a causa della rigidità del clima, morì di polmonite l'anno dopo, l'11 gennaio 1650.

📔 Opere principali di Cartesio

titolo originale titolo ital. (o edizione) anno
Regulae ad directionem ingenii Regole per ben condurre l'intelletto1628
La Dioptrique, les Météores, la Géométrie n.b. Saggi (Diottrica, Meteore, Geometria)1637
Discours de la méthode Discorso sul metodo1637
Meditationes de prima philosophia Meditazioni metafisiche1641
Principia philosophiae Principoi della filosofia1644
Les passions de l'ame Le passioni dell'anima1649
Traité du monde Trattato sul mondopostumo (scritto prima del '34)

Il punto di partenza

una diffidenza verso l'alterità

1. L'edificio del sapere tradizionale è pericolante, insicure sono le sue basi: bisogna fondare il sapere su nuove basi, certe e indubitabili;

Come si può vedere sotto, uno dei principali problemi interpretativi riguardo a Cartesio è di sapere se egli, trovandosi già una situazione di distruzione della cultura tradizionale legata alla fede cristiana, cerchi il modo di rifondarla su basi più certe ovvero se a tale distruzione ponga mano lui stesso.

astronomo, di Vermeer
l'umanità moderna vuole possedere il mondo

2. Per far ciò occorre anzitutto fissare un metodo (un criterio a-priori che consenta di andare agli oggetti, alla realtà, “armati” di un filtro con cui vagliare tutto). E' degno di nota che Cartesio anteponga il metodo, come nessun altro filosofo prima di lui aveva fatto: è significativo di un nuovo atteggiamento mentale, per cui il soggetto pone in qualche modo delle condizioni all'oggetto, intima all'oggettività di sottostare alle sue condizioni. In altri termini, è come se per Cartesio il soggetto umano non fosse originariamente spalancato alla realtà, di cui prima di tutto prendere atto come di un dato inesorabile, ma fosse, per così dire, a contatto con sé stesso e pretendesse di dettar legge alla realtà, accettandone solo ciò che obbedisce alle regole da lui fissate, ciò che riesce a passare attraverso il filtro da lui posto.

3. Da notare anche come il fatto di anteporre il metodo significa mettere in secondo piano non solo, in generale, l'oggettività del reale (extramentale), ma anche la tradizione e l'idea di maestro: Cartesio non si fida di altri, di ciò che gli viene tramandato, vuole edificare un edificio del sapere che utilizzi solo del materiale tratto dalla "sua mente", vuole tutto ex mentis thesauro depromere. In ciò si può vedere ben più che il rifiuto di inserirsi acriticamente in una Scuola: si può vedere un misconoscimento illusorio del debito che ogni essere umano ha nei confronti degli altri, a partire dagli altri che lo hanno preceduto, e la pretesa, presuntuosa, di una autosufficiente monologicità.

il metodo

la pretesa di una chiarezza di tipo matematico

Il metodo che Cartesio propone si articola in quattro punti, ma il fattore più importante è quello della evidenza (di tipo matematico), ossia della chiarezza e distinzione: è accettabile come vero solo ciò che si presenta come (perfettamente) chiaro e distinto. La stessa chiarezza che vale per la matematica deve valere per tutto il sapere.

In particolare Cartesio sostiene:

1) l'evidenza:

non accogliere mai nulla per vero, che non conoscessi in modo evidente esser tale, cioè ... evitare accuratamente la precipitazione e la prevenzione; e non comprendere nei miei giudizi se non quello che si presentasse così chiaramente e distintamente alla mia mente, da non lasciarmi possibilità di dubbio. Le premier était de ne recevoir jamais aucune chose pour vraie que je ne la connusse évidemment être telle; c'est-à-dire, d'éviter soigneusement la précipitation et la prévention, et de ne comprendre rien de plus en mes jugements que ce qui se présenterait si clairement et si distinctement à mon esprit, que je n'eusse aucune occasion de le mettre en doute.

2) analisi

«dividere ciascuna delle difficoltà da esaminare in tutte le parti in cui fosse possibile e di cui ci fosse bisogno per meglio risolverle» Le second, de diviser chacune des difficultés que j'examinerois, en autant de parcelles qu'il se pourroit, et qu'il serait requis pour les mieux résoudre.

3) sintesi

«condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza dei più composti» Le troisième, de conduire par ordre mes pensées, en commençant par les objets les plus simples et les plus aisés à connaître, pour monter peu à peu comme par degrés jusques à la connoissance des plus composés, et supposant même de l'ordre entre ceux qui ne se précèdent point naturellement les uns les autres.

4) enumerazione completa

«far dovunque delle enumerazioni così complete e delle rassegne così generali, da essere sicuro di non omettere nulla.»Et le dernier, de faire partout des dénombrements si entiers et des revues si générales, que je fusse assuré de ne rien omettre.

il dubbio metodico

In base a questo metodo si devono cercare i contenuti certi e indubitabili del sapere, a partire da un primo oggetto, di cui possiamo essere assolutamente certi. Occorre che tale punto di partenza sia cioè privo del sia pur minimo elemento di inaffidabilità e di incertezza. Perciò vanno scartati non solo quei punti di partenza totalmente falsi, ma anche quelli che siano anche soltanto in parte inaffidabili.

La Tour, la diseuse del bonne aventure (part.)
l'umanità moderna teme che la realtà inganni

Cartesio intraprende così un dubbio metodico, sottoponendo al vaglio della più radicale critica ogni possibile "falsa partenza", che non possieda i requisiti da lui fissati.

Cartesio comincia dunque ad escludere ciò che non può fungere da fondamento certo del sapere:

a) il dato sensibile

Esso infatti ci può ingannare: talora ci inganna, infatti, ed è bene, dice Cartesio, non fidarsi mai completamente di chi ci ha ingannato anche una sola volta.

«qualsiasi cosa abbia finora ammessa come vera, al massimo grado l'ho appresa dai sensi o per mezzo dei sensi; ma ho poi osservato che essi ingannano, ed è regola di prudenza non fidarsi mai completamente di quelli che, anche solo una volta, ci hanno tratto in inganno» (Nempe quidquid hactenus ut maxime verum admisi, vel a sensibus, vel per sensus accepi; hos autem interdum fallere deprehendi, ac prudentiae est nunquam illis plane confidere qui nos vel semel deceperunt.).

Inoltre, all'obiezione che l'inganno dei sensi riguarda solo piccoli particolari, ma non il dato sensibile, il mondo, nella sua totalità, Cartesio risponde che nulla può farci escludere che il mondo altro non sia che un sogno (sul tema della vita come sogno cfr. La vida es sueño di Calderon de la Barca 1635):

il dubbio

Da notare che anche altri filosofi, come Tommaso d'Aquino, avevano parlato del possibile dubbio (la universalis dubitatio de veritate), nel senso della radicale spregiudicatezza che la ragione filosofica deve avere, non dando nulla per scontato e cercando di fondare il sapere (su basi solide). In Cartesio c'è qualcosa di più: il dubbio pare non sia stato solo rappresentato, ma esercitato, è stato cioè un dubbio, per dirla con la Scolastica, non solo in actu signato, ma anche in actu exercitu; pare cioè che l'uomo Cartesio, la sua persona concreta, abbia effettivamente dubitato di tutto. In ogni caso il suo dubbio appare come radicalmente corrosivo, ben oltre quanto sia richiesto dalla giusta spregiudicatezza filosofica, ed è espressione di una cultura fortemente individualistica, che non riconosce la valenza gnoseologica del legame interpersonale e del rapporto con un maestro e una tradizione.

«Tuttavia molto chiaramente non posso non ammettere che io sia un uomo che ha l'abitudine di dormire la notte e nel sonno subire tutte quelle medesime cose, o talvolta cose ancor meno verisimili, che codesti insani patiscono da svegli. Quante volte infatti il riposo notturno mi induce a credere di trovarmi in codeste condizioni usuali, cioè essere qui, indossare la vestaglia ed essere seduto accanto al fuoco, quando invece giaccio senza vestiti sotto le coperte! E ora certamente fisso questa carta con occhi desti, e non è addormentato questo capo che scuoto, e questa mano, consapevolmente e di proposito, la allungo e la sento; non così distinte accadrebbero queste cose a chi dormisse. Come se, appunto, non ricordassi di esser stato altre volte beffato nel sonno anche da simili fantasmi.» [...]

(«Praeclare sane, tanquam non sim homo qui soleam noctu dormire, & eadem omnia in somnis pati, vel etiam interdum minus verisimilia, quam quae isti vigilantes. Quam frequenter vero usitata ista, me hic esse, toga vestiri, foco assidere, quies nocturna persuadet, cum tamen positis vestibus jaceo inter strata! Atqui nunc certe vigilantibus oculis intueor hanc chartam, non sopitum est hoc caput quod commoveo, manum istam prudens & sciens extendo & sentio; non tam distincta contingerent dormienti.
Quasi scilicet non recorder a similibus etiam cogitationibus me alias in somnis fuisse delusum; quae dum cogito attentius, tam plane video nunquam certis indiciis vigiliam a somno posse distingui, ut obstupescam, & fere hic ipse stupor mihi opinionem somni confirmet.»
)

«Supponiamo dunque che noi dormiamo e che tutte queste azioni particolari non siano vere, cioè aprire gli occhi, scuotere il capo, allungare la mano, e neppure forse che abbiamo tali mani né tutto tale corpo» (Age ergo somniemus, nec particularia ista vera sint, nos oculos aperire, caput movere, manus extendere, nec forte etiam nos habere tales manus, nec tale totum corpus; ).

b) la struttura intelligibile

Ma il fondamento non può essere nemmeno un generico dato intelligibile (le verità matematiche), che potrebbe esso pure essere frutto della potenza ingannatrice di un Essere soprannaturale.

Infatti egli obbietta all'ipotesi che il mondo possa essere solo un sogno, che tra sogni e realtà esistono comunque elementi comuni, gli elementi-base, semplici, e che il sogno non è comunque mai totale invenzione: nella fattispecie gli elementi semplici comuni sono le verità matematiche:

«senza dubbio bisogna riconoscere che le cose viste nel sonno sono come delle immagini dipinte che non si sono potute formare, se non “a somiglianza delle cose vere”». ()Nec dispari ratione, quamvis etiam generalia haec, oculi, caput, manus, & similia, imaginaria esse possent, necessario tamen saltem alia quaedam adhuc magis simplicia & universalia vera esse fatendum est, ex quibus tanquam coloribus veris omnes istae, seu verae, seu falsae, quae in cogitatione nostra sunt, rerum imagines effinguntur.

«E a dire il vero, gli stessi pittori, neppure quando si impegnano a raffigurare Sirene e Satiri nelle forme più straordinarie e bizzarre possibili, possono attribuire loro delle nature del tutto nuove, ma soltanto mescolano membra di animali diversi; [...] ()Nam sane pictores ipsi, ne tum quidem, cum Sirenas & Satyriscos maxime inusitatis formis fingere student, naturas omni ex parte novas iis possunt assignare, sed tantummodo diversorum animalium membra permiscent; vel si forte aliquid excogitent adeo novum, ut nihil omnino ei simile fuerit visum, atque ita plane fictitium sit & falsum, certe tamen ad minimum veri colores esse debent, ex quibus illud componant.

Per questo, forse, da ciò non concluderemo male, affermando che fisica, astronomia, medicina e tutte le altre discipline che dipendono dalla considerazione di cose composte sono tutte dubbie; ma aritmetica, geometria e le altre discipline del medesimo genere, che non trattano se non di cose semplicissime e generalissime e poco si curano se queste cose siano in natura oppure no, contengono qualcosa di certo e di indubitabile. Infatti, sia che vegli sia che dorma, due più tre fanno cinque, e il quadrato non ha più di quattro lati; né sembra che possa succedere che verità tanto evidenti incorrano in sospetto di falsità». ()Quapropter ex his forsan non male concludemus Physicam, Astronomiam, Medicinam, disciplinasque alias omnes, quae a rerum compositarum consideratione dependent, dubias quidem esse; atqui Arithmeticam, Geometriam, aliasque ejusmodi, quae nonnisi de simplicissimis & maxime generalibus rebus tractant, atque utrum eae sint in rerum natura necne, parum curant, aliquid certi atque indubitati continere. Nam sive vigilem, sive dormiam, duo & tria simul juncta sunt quinque, quadratumque non plura habet latera quam quatuor; nec fieri posse videtur ut tam perspicuae veritates in suspicionem falsitatis incurrant.

Ma le stesse verità matematiche potrebbero sembrarci vere, senza esserlo, se un Genio molto potente ci ingannasse:

«Nondimeno, una certa antica opinione è insita nel mio spirito: che ci sia un Dio che può tutto e dal quale sono stato creato tale e quale sono. Ma come faccio a sapere che egli non abbia fatto sì che non vi sia nessuna terra, nessun cielo, nessuna cosa estesa, nessuna figura, nessuna grandezza, nessun luogo e che tuttavia tutto ciò non mi sembri esistere in altro modo da come lo vedo ora? E inoltre come io ritengo che altri talvolta si sbaglino su ciò che pensano di conoscere assai perfettamente, così non potrà essere che io sia ingannato ogni volta che addiziono due a tre o conto i lati del quadrato o faccio qualche altra cosa più facile, ammesso che se ne possa immaginare?» ()Verumtamen infixa quaedam est meae menti vetus opinio, Deum esse qui potest omnia, & a quo talis, qualis existo, sum creatus. Unde autem scio illum non fecisse ut nulla plane sit terra, nullum coelum, nulla res extensa, nulla figura, nulla magnitudo, nullus locus, & tamen haec omnia non aliter quam nunc mihi videantur existere? Imo etiam, quemadmodum judico interdum alios errare circa ea quae se perfectissime scire arbitrantur, ita ego ut fallar quoties duo & tria simul addo, vel numero quadrati latera, vel si quid aliud facilius fingi potest?

la prima certezza: l'io

«je pense, donc je suis» (Discours de la méthode)

Il fondamento certo è allora l'io, il cogito, se anche venissi ingannato su tutto, almeno non lo potrei sul fatto che io penso.

«Ma subito dopo mi accorsi che mentre volevo pensare, così, che tutto è falso, bisognava necessariamente che io, che lo pensavo, fossi qualcosa. E osservando che questa verità: penso, dunque sono, era così ferma e sicura, che tutte le supposizioni più stravaganti degli scettici non avrebbero potuto smuoverla, giudicai che potevo accoglierla senza timore come il primo principio della filosofia che cercavo.»(Mais aussitôt après je pris garde que, pendant que je voulais ainsi penser que tout était faux, il fallait nécessairement que moi qui le pensois fusse quelque chose; et remarquant que cette vérité, _je pense, donc je suis_, était si ferme et si assurée, que toutes les plus extravagantes suppositions des sceptiques n'étaient pas capables de l'ébranler, je jugeai que je pouvais la recevoir sans scrupule pour le premier principe de la philosophie que je cherchois.)

«Io sono, se mi inganna; e mi inganni quanto vuole, non potrà mai fare in modo che io non sia nulla, per tutto il tempo che penserò di essere qualcosa» (Haud dubie igitur ego etiam sum, si me fallit; et fallat quantum potest, nunquam tamen efficiet, ut nihil sim quamdiu me aliquid esse cogitabo. Adeo ut, omnibus satis superque pensitatis, denique statuendum sit hoc pronuntiatum, Ego sum, ego existo, quoties a me profertur, vel mente concipitur, necessario esse verum.).

Che cosa è l'io, affermato come prima certezza? E' res cogitans, pensiero, atto di pensare e di immaginare, ricordare, sentire, volere; mentre in questa fase Cartesio non sa ancora se egli abbia o no un corpo e se agli atti soggettivi appena ricordati corrispondano i termini oggettivi relativi (cioè le cose pensate, immaginate, ricordate, sentite, volute). Posso infatti concepirmi come pensiero, anche senza il corpo, in modo chiaro e distinto, mentre di avere un corpo non ho ancora una conoscenza chiara e distinta.

«Ma che cosa, dunque, sono io? Una cosa che pensa. E che cos'è una cosa che pensa? è una cosa che dubita, che concepisce, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole, che immagina anche, e che sente.» (Sed quid igitur sum? Res cogitans. Quid est hoc? Nempe dubitans, intelligens, affirmans, negans, volens, nolens, imaginans quoque, et sentiens.)

Io sono

«una sostanza la cui intera essenza o natura consiste nel pensare, e che per esistere, non ha bisogno di alcun luogo, né dipende da alcuna cosa materiale» (je connus de là que j'étais une substance dont toute l'essence ou la nature n'est que de penser, et qui pour être n'a besoin d'aucun lieu ni ne dépend d'aucune chose matérielle; en sorte que ce moi, c'est-à-dire l'âme, par laquelle je suis ce que je suis, est entièrement distincte du corps, et même qu'elle est plus aisée à connaître que lui, et qu'encore qu'il ne fût point, elle ne lairroit [sic] pas d'être tout ce qu'elle est.)

D'altra parte occorre guadagnare altre certezze, oltre a questa prima: non posso certo accontentarmi di sapere che esisto io.

Dio

Dalla prima prima certezza, di me come esistente pensante, risalgo poi alla seconda: che esiste Dio.

«poiché vedevo chiaramente che era più perfetto conoscere che dubitare», riflettei che il mio essere, che aveva dubitato, non è perfetto: perciò mi volsi a cercare «donde avevo imparato a pensare ad alcunché di più perfetto di quel che ero; e conobbi che effettivamente doveva derivare da una natura più perfetta»

Dio come causa della Sua idea in me

In me infatti esiste l'idea di Infinito, come condizione della mia consapevolezza della mia imperfezione, della mia finitezza

«Come infatti potrei accorgermi che dubito, che desidero, cioè che qualcosa mi manca e non sono del tutto perfetto, se in me non fosse alcuna idea di un ente più perfetto, dal raffronto col quale io riconoscessi le mie imperfezioni?»

E di questa idea non posso essere io la causa. Si tratta infatti di una idea perfetta, e non di qualcosa che progressivamente si perfezioni: è vero infatti che la mia conoscenza progredisce, ma non riguardo a questa idea, che è tutta attuale, e dunque non può venire da un graduale sviluppo.

Ora, una causa deve essere proporzionata all'effetto, per cui si deve escludere che una causa imperfetta possa produrre un effetto perfetto. L'idea di Dio che è in me è perfetta, io invece sono imperfetto, tant'è vero che dubito. Dunque non posso essere io la causa dell'idea di Infinito che è in me, né lo potrebbe essere alcun essere finito e imperfetto, ma solo lo stesso Infinito. Che perciò deve esistere, come unica causa adeguata alla Sua idea in me.

Nota bene: anche da questa concezione emerge il dualismo gnoseologico di Cartesio: non conosciamo direttamente la realtà, ma l'idea della realtà che è dentro di noi, dentro il pensiero.

Dio come causa del mio esistere

Se mi fossi fatto io, mi sarei dato oltre all'essere (che è più difficile), anche le perfezioni (che rispetto all'essere sono cosa più facile): ma invece sono imperfetto.

Un altro filosofo, Caterus gli fece notare che questa è la seconda via di S.Tommaso; ma Cartesio rispose che la sua è diversa: non partendo da una serie di cause, che potrebbe essere infinita, ma dall'io come pura res cogitans.

Dio come causa del mio persistere

Non solo Dio deve essere affermato come causa del mio cominciare ad essere, ma anche come causa del mio continuare ad esistere. Senza il suo continuo sostegno infatti non potrei perdurare nell'esistenza.

Dio come evidenza a-priori

Infine Cartesio ritiene valida la via scelta da S.Anselmo, quella a-priori: l'esistenza di Dio si deduce dalla Sua essenza, così come l'avere gli angoli interni uguali a un angolo piatto si deduce dall'essenza del triangolo.

l'errore

Una volta raggiunta la certezza su Dio, posso tentare di ampliare la mia conoscenza verso altre realtà: Lui stesso, in quanto verace e infallibile se ne farà garante. Infatti se è Dio ad avermi creato, ed Egli è perfezione assoluta e dunque veracità perfetta, egli non può farmi credere vere cose che siano invece false.

Mi si pone però un problema: se Dio esiste ed è verace, come mai mi inganno e cado in errore?

il mondo

Luca Giordano, l'officina di Vulcano (part):
il mondo, privo di forme, diviene pura materia indefinitamente plasmabile dal progetto umano

Si apre così la strada per raggiungere un terzo ambito di certezze, relativo al mondo corporeo. Al riguardo il percorso cartesiano ne considera dapprima la esistenza, per determinarne poi l'essenza.

sua esistenza

Essa non è, come abbiamo visto, immediatamente evidente (infatti la prima, e in fin dei conti unica, evidenza è l'esistenza dell'io pensante). Dunque va dimostrata. Cartesio lo fa in tre momenti, argomentandone la

«non è in nostro potere far sì che abbiamo una sensazione piuttosto che un'altra”, ma “se Dio presentasse alla nostra anima immediatamente egli stesso l'idea di questa materia estesa (...) noi non potremmo trovare alcuna ragione che ci impedisse di credere che egli si diverta ad ingannarci»

sua essenza

il meccanicismo

Possiamo attribuire al mondo corporeo solo caratteristiche di cui abbiamo idee chiare e distinte. Dunque esso è pura res extensa, materia estesa (“in lunghezza, larghezza e profondità”) in moto locale; invece dobbiamo escludere le qualità, che non sarebbero chiaramente e distintamente intelligibili.

è Dio stesso che, nella sua immutabilità ha creato il mondo dotandolo di una certa quantità di materia e di moto; materia e moto pertanto si conservano immutabili, non possono né diminuire né aumentare. Secondo Cartesio Dio, dopo l'atto della creazione, non interviene ulteriormente sul mondo che ha creato, ma lascia che esso proceda secondo le leggi immutabili della meccanica, il che è ciò che Pascal gli avrebbe rimproverato (limitare l'azione di Dio a un colpettino iniziale).

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Cartesio negava la gravitazione

Cartesio distingue due concetti relativi al mondo, sostanza e attributi. La sostanza è res quae ita existit, ut nulla alia re indigeat ad existendum. Perciò, in senso proprio, solo Dio è sostanza, ma in qualche modo lo sono anche lo spirito creato e i corpi, che esistono comunque solo per concorso di Dio. Attributo è invece ciò che ci permette di riconoscere la sostanza: ne è il costitutivo; per lo spirito è il pensiero, per la materia l'estensione.

Cartesio scienziato?

Come spiega Paolo Musso, Cartesio non ha fornito nessun apporto positivo alla fisica. È stato invece un valente matematico:

«Cartesio infatti fraintese e rifiutò esplicitamente tutte le novità del metodo galileiano, costruì una fisica completamente a priori che si rivelò clamorosamente sbagliata e anzi addirittura contraddittoria, non scoprì affatto né il principio di inerzia (che c’era già in Galileo) né quello di azione e reazione (che verrà stabilito da Newton) e, più in generale, non diede mai nessun contributo diretto alla scienza naturale, anche se ne diede di fondamentali (ma solo indiretti) grazie alle sue scoperte matematiche.» (La scienza e l'idea di ragione, p. 208)

Lo spazio si identifica col corpo esteso: non esiste spazio vuoto, né rarefazione/condensazione di materia, né atomi, ma una materia indefinitamente divisibile ed indefinitamente estesa (lo spazio è infinito).

Cartesio poi nega l'esistenza di forze che agiscano a distanza, come quelle magnetiche, elettriche, gravitazionali e simili: il mondo è una macchina e tutto vi si svolge meccanicamente, per urto tra una parte e un'altra, conservando come si diceva inalterata la quantità totale del moto. Egli dunque è in contrasto con la che sarebbe stata formulata nei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, nel 1687, e trova piuttosto qualche aggancio nella diffidenza che Galileo stesso aveva nei confronti del concetto di forza (basti pensare alla sua spiegazione, puramente meccanica delle maree, per il rifiuto dell'idea di una azione a distanza della Luna sui mari terrestri, definita come magica e superstiziosa), visto come troppo legato al finalismo aristotelico e all'astrologia.

I fenomeni che Newton spiegava con la gravitazione universale sono da Cartesio spiegati con i vortici, movimenti vorticosi che si produrrebbero nella materia sottile attorno alla Terra, spiegando la caduta dei gravi come spinta operata dal vortice stesso, e attorno ai pianeti e al Sole, spiegando, in termini puramente meccanici, il moto di rivoluzione planetaria.

Anche la vita viene spiegata da Cartesio in termini meccanicistici: ogni vivente non è altro che una macchina, che funziona in virtù dei due principi di inerzia e conservazione della quantità di moto. Una conferma a tale sua teoria Cartesio la vide nella recente scoperta della esposta nella Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus, del 1628.

l'uomo

Ne consegue anche che, dato che esistono corpi in generale, io pure ho un corpo: la mia res cogitans è unita a una res extensa. In proposito si porrà però il problema di come spiegare il rapporto tra due livelli tanti diversi, come una pura materia e un puro spirito. Si è paragonato tale concezione antropologia cartesiana a "un angelo (la res cogitans) che guida una macchina (la res extensa)". Il corpo umano è infatti una macchina, interpretabile in termini esclusivamente meccanicistici.

Secondo Cartesio l'unità tra i due livelli, la possibilità per l'anima di ricevere informazioni dal corpo e di dargli ordini, sarebbe garantita dalla ghiandola pineale (l'epifisi), punto di incontro e di scambio tra anima e corpo.

la morale provvisoria

perché restò tale

Gli studiosi individuano diversi motivi per cui Cartesio non giunse mai a una morale definitiva:

contenuto

1) «obbedire alle leggi e ai costumi del mio paese, tenendo fede costantemente alla religione nella quale Dio mi ha fatto la grazia di essere istruito fin dall'infanzia» ()La première était d'obéir aux lois et aux coutumes de mon pays, retenant constamment la religion en laquelle Dieu m'a fait la grâce d'être instruit dès mon enfance, et me gouvernant en toute autre chose suivant les opinions les plus modérées et les plus éloignées de l'excès qui fussent communément reçues en pratique par les mieux sensés de ceux avec lesquels j'aurois à vivre. (ho la religione della mia nutrice rispose Cartesio al ministro protestante Revius, che l'aveva interrogato al riguardo),

2) «essere il più fermo e risoluto possibile nelle mie azioni e di seguire costantemente le opinioni più dubbie una volta deciso per esse» ()Ma seconde maxime était d'être le plus ferme et le plus résolu en mes actions que je pourrois, et de ne suivre pas moins constamment les opinions les plus douteuses lorsque je m'y serais une fois déterminé, que si elles eussent été très assurées : imitant en ceci les voyageurs, qui, se trouvant égarés en quelque forêt, ne doivent pas errer en tournoyant tantôt d'un côté tantôt d'un autre, ni encore moins s'arrêter en une place, mais marcher toujours le plus droit qu'ils peuvent vers un même côté, et ne le changer point pour de foibles raisons (si può vedere una componente di volontarismo in questo precetto),

3) «cercare sempre di vincere piuttosto me stesso che la fortuna, di cambiare i miei desideri piuttosto che l'ordine del mondo» ()Ma troisième maxime était de tâcher toujours plutôt à me vaincre que la fortune, et à changer mes désirs que l'ordre du monde

Riguardo alla terza regola Cartesio ebbe a dire

«Non c'è niente che ci impedisca di essere contenti tranne il desiderio, il rimpianto o il pentimento: ma se facciamo sempre tutto ciò che ci detta la nostra ragione, non avremo mai alcun motivo di pentirci, anche se gli avvenimenti ci mostrino in seguito che ci siamo ingannati senza nostra colpa. (...)

Come un piccolo vaso può essere pieno allo stesso modo di un vaso grande, anche se contiene una minore quantità di liquido, così, se ciascuno ripone la sua soddisfazione nel compimento dei suoi desideri regolati dalla ragione, anche il più povero e il meno favorito dalla fortuna e dalla natura potrà essere contento e soddisfatto, pur godendo di una quantità minore di beni.»

In queste considerazioni di Cartesio troviamo più stoicismo che Cristianesimo: un cristiano sa che un uomo non può a fare sempre ciò che gli detta la ragione, perché il peccato insidia costantemente il nostro agire, ed abbiamo perciò continuamente bisogno della Misericordia di un Altro, per essere sempre risollevati.

Per un giudizio

Uno dei problemi centrali di una interpretazione/valutazione del pensiero di Cartesio è determinarne la continuità con la tradizione (cristiana): Cartesio intendeva distruggerne o salvaguardarne gli elementi essenziali; e in ogni caso la sua filosofia ha svolto un ruolo più "eversivo" o costruttivo.

😧secondo Maritain e in genere la tradizione tomista (presente anche nella "scuola milanese" della Cattolica) l'opera di Cartesio è stata essenzialmente distruttiva: al realismo medioevale ha sostituito una concezione antirealistica e soggettivistica.

😃altri studiosi cattolici, come Augusto Del Noce, sono più "benevoli": Cartesio si sarebbe trovato di fronte già a una tradizione ridotta in macerie:

  • crisi del geocentrismo (con la rivoluzione copernicana)
  • crisi dell'eurocentrismo (con le scoperte geografiche di fine '400 e del '500)
  • crisi della certezza di un solo Cristianesimo autentico, quello cattolico (con al Riforma protestante)

Per cui, preso atto che il mondo "esterno" non offre più agganci solidi, egli avrebbe puntato ad assicurare almeno nella interiorità del cogito un aggancio all'Assoluto.

Più vicina al primo tipo di tesi è quella di Paolo Musso, che contrappone la modernità “buona” di Galileo alla modernità “cattiva” di Cartesio: il primo infatti concepisce correttamente il pensiero come legato all'esperienza, come penetrazione dell'esperienza, mentre il secondo, che fu un buon matematico, ma un pessimo fisico, separa, rovinosamente, pensiero da esperienza, e spiana la strada così a una serie di posizioni filosofiche che oscilleranno tra un empirismo radicale e un razionalismo/idealismo altrettanto radicali. Esito di tale dualismo, sempre secondo Musso, è la assurda idea che la stessa scienza non conosca veramente la realtà (si vedano le tante epistemologie antirealiste di '800 e '900).

📚 Bibliografia essenziale

📖 Testi on-line

🎬 Filmografìa

Films collegati al tema sono, tra gli altri:

Ottimo rimane il film di Roberto Rossellini. Non ci sono particolari effetti speciali, né colpi di scena, ma la vita e il pensiero del filosofo vi sono riprodotti con buona verosimiglianza.

🤔 Quick test

Il fine del dubbio cartesiano è

Per Cartesio l'esistenza di Dio

il meccanicismo in Cartesio