La copertina del libro

Medioevo filosofico: l'ilemorfismo

L'ilemorfismo

da Medioevo filosofico


«1. Tratti comuni. La concezione ilemorfica, elaborata per la prima volta in modo sistematico da Aristotele e fatta propria da tutti i più importanti pensatori medioevali, sostiene che ogni realtà visibile, ogni “ente corporeo”, come una pianta, un animale, una pietra, è risolvibile in due principi ontologici, la materia (ὕλη yle, in greco) e la forma (μορϕή, morphé, in greco, donde: yle-morf-ismo). L’ilemorfismo, come ricordava Maritain, si colloca a metà strada, in posizione di sintesi, tra i due estremi del materialismo, atomista o meccanicista, che nega l’esistenza della forma, da un lato, e dell’acosmismo, spiritualista o idealista, che nega la consistenza reale della materia, dall’altro.

Che cos’è la materia? Come per Aristotele, anche per i medioevali essa è il principio di indeterminatezza, mentre la forma è il principio di determinatezza: la prima cioè spiega perché nelle cose ci sia una plasmabilità, una modificabilità, la possibilità di cambiare; la seconda spiega il fatto che in un determinato momento una cosa ha comunque una ben precisa struttura, una sua identità inconfondibile, che è quella e non altro. Anche se può, poi, diventare altro. In effetti il motivo per cui introdurre questi due principi è anzitutto quello di spiegare l’esperienza del divenire, del cambiamento. Quando qualcosa cambia infatti, non avviene l’azzeramento, l’annullamento totale di ciò che c’era prima e la comparsa di qualcosa di assolutamente nuovo, che prima non c’era per niente: avviene invece che qualcosa che già c’era, è rimasto e qualcosa di nuovo è apparso. Tutto questo lo aveva già notato Aristotele, che aveva ulteriormente distinto vari tipi di cambiamento o “divenire”: alcuni di carattere accidentale, come quello spaziale, per cui una cosa si muove da un punto all’altro dello spazio, quello qualitativo, per una cosa cambia qualche aspetto qualitativo come il colore (ad esempio quando uno si abbronza), quello quantitativo (come perdere o acquistare peso); in questi cambiamenti accidentali ciò che resta è la sostanza, mentre ciò che cambia è un certo “accidente”, cioè una caratteristica secondaria (il luogo, una qualità, una quantità). Oltre a tali tre tipi di cambiamento, però, esiste anche quello sostanziale: ci sono casi in cui una cosa, una sostanza, cambia non solo per qualche aspetto secondario, accidentale, ma cambia nella sua stessa più intima struttura; come nel caso del mangiare: la mela che mangio non resta più mela. Il cambiamento che la mela subisce in colui che la mangia è di tipo diverso, e più profondo, da quello che l’aveva portata a diventare, mettiamo, da piccola, grande, da leggera, pesante, da verde, rossa, allorché era ancora attaccata alla pianta. Là si erano verificati dei cambiamenti accidentali, qui si è attuato un cambiamento più radicale: là era la mela che cambiava (ma pur cambiando restava mela: da verde a rossa sempre mela era), qui la mela cessa di esistere in quanto tale. La Scolastica, con Aristotele, parla appunto, in quest’ultimo caso, di divenire sostanziale. Qui a cambiare è qualcosa di primario, di profondo, di radicale. Tuttavia non cambia proprio tutto: la mela, una volta masticata e digerita, non si annulla, ma si trasforma in altri elementi. È per questo che bisogna distinguere tra qualcosa che resta e qualcosa che cambia: ciò che cambia, in una tras-formazione è appunto la forma, ossia quel fattore che dà, che conferisce la caratteristica ontologica profonda, strutturale, di una cosa; ciò che resta, nel corso della trasformazione sostanziale, ciò che ci permette di dire che quest'ultima non consiste in una miracolosa scomparsa e in una miracolosa apparizione, è invece appunto la materia, sostrato indeterminato, e perciò passibile di assumere le più svariate forme.

 

Il significato esistenziale dell’ilemorfismo, dentro il contesto della metafisica medioevale, è l’affermazione che il mondo da un lato non è informe e cieco caos, essendo permeato di intelligibilità, di logos, in quanto permeato di forme (a differenza che nel meccanicismo), d'altro lato tale logos è immerso e avvolto da un fattore di opacità, la materia, che ne limita l’emergere luminoso (a differenza che nell’acosmismo).

1) Che il mondo sia permeato di forme significa dunque anzitutto che in esso rifulge una Bellezza, o, con von Balthasar, una Gloria, di cui le forme sono come le pendici, le falde, rifrazioni della Luce dell’unico Logos; il che è connesso alla già accennata idea di mondo come teofania. Un mondo come quello del meccanicismo invece è totalmente opaco alla Gloria, è pesantemente chiuso su sé stesso, non rivela Altro da sé, non è segno, simbolo, ma puro oggetto quantificabile, come una sorta di tenebrosa foresta o di banale giocattolo senza mistero, senza profondità interiore. Invece che rimandare, anzitutto, con stupore e gratitudine, al Mistero che lo ha fatto e in esso ha lasciato le tracce della propria maestà gloriosa, il mondo puramente materiale (privo di forme) del meccanicismo è solo massa opaca, il cui unico possibile senso è l’utilità pratica, l’utilizzabilità per un progetto (attivistico) dell’uomo. Per i medioevali, al contrario, il mondo, permeato di forme, è intessuto di intelligibilità, è un ordine-kosmos (S. Grygiel), una armonia piena di significato, che rimanda ad Altro, è pervaso di luce, dove per luce si deve intendere non solo la luce visibile, ma in generale ciò che permette di vedere agli occhi, oltre che del corpo, anche della mente. Il nesso tra forma e luce è del resto tematizzato espressamente da alcuni pensatori medioevale, in particolare da Roberto Grossatesta, che parla della luce come «prima forma della corporeità [prima forma corporeitatis]».

Qual è allora il significato esistenziale di questa tesi? Ciò che vale per il mondo nel suo insieme, vale anche, analogicamente, per il mondo umano, e in particolare per il mio mondo, per il mio Umwelt, il mio Lebenswelt (per dirla con Max Scheler e Husserl). Come quel macro-cosmo, che è l’universo tutto, è permeato di significato, di intelligibilità, così il micro-cosmo della mia vita, della vita di ogni essere umano, è permeato di senso, di significato. Ciò significa che nei confronti delle situazioni, e delle persone che entrano nell’orizzonte della mia esperienza esistenziale, non c'è da avere un atteggiamento anzitutto progettuale, un affanno per dare forma a qualcosa che ne sarebbe privo, come se occorresse infondere un ordine, un senso positivo a qualcosa di totalmente caotico e insensato. Un valore, una positività, un senso, ci sono già: si tratta anzitutto di scoprirlo, certo con la necessaria dimensione di criticità e di azione, ma senza l’atteggiamento di un burattinaio da cui dipende totalmente una realtà inerte.

 

2) D’altro lato, se il mondo è permeato di forme, di luminosa intelligibilità, tali forme non traspaiono che attraverso l’opacità, l’oscurità della materia.

a) Un primo ed essenziale significato di ciò è che, se il cosmo non è una sconfinata e oscura foresta (meccanicismo), non è nemmeno una raccolta e calda taverna con caminetto, dove tutto sarebbe immediatamente familiare, come ci si dovrebbe aspettare, in una cosmologia come quella acosmistica. Vi è infatti una dimensione di opacità, di non immediata trasparenza del senso delle persone e delle situazioni, ed è la presenza della materia a spiegare questa dimensione. Lo spazio in quanto permeato di materia è spazio di lontananza e di possibile nascondimento. Il che però non va inteso in modo totalmente negativo, ad esempio attribuendolo, in un’ottica cristiana, al peccato originale, come se la materia fornisse il mezzo per nascondersi a Dio, come fece Adamo nell’Eden, o agli altri esseri umani: la materia è infatti buona e creata da Dio, e la sua è una funzione utile al Disegno totale del Creatore.

b) Quale può essere allora il senso positivo, buono, di questa dimensione di opacità, che si radica nella materia? Mi pare sia quello di dar luogo a un ambiente che sia di prova, di quella prova che è la vita umana presente. Essa è caratterizzata dall’imprevedibilità, che scaturisce appunto dalla dimensione materiale di opacità, e impedisce all’uomo di fissare un suo progetto come qualcosa che avverrà infallibilmente nel futuro. È questo un aspetto efficacemente sottolineato da Pascal nei suoi Pensieri: basta una piccola modificazione, non prevedibile dal progetto umano (che si può basare solo sull’aspetto luminoso dell’intelligibilità strutturata nelle forme), e quest’ultimo viene a infrangersi, si scioglie come neve al sole. L’insicurezza e la precarietà che si radicano nella materia hanno perciò la funzione pedagogica di costringere l’uomo ad un sano atteggiamento di dipendenza, di umiltà

Principi

motivazioni

significato culturale-esistenziale

corollari esistenziali

forma

è ciò che cambia nel divenire sostanziale

il mondo, permeato di forme, è pervaso di intelligibilità, segno di Dio

possibile significatività di tutto, anteriore al progetto umano

materia

è ciò che resta nel divenire sostanziale

l'intelligibilità è immersa in un fattore di opacità, di oscurità

ineliminabile margine di imprevedibilità