Tommaso d'Aquino

il pieno dispiegamento di una ragione credente

🪪 Cenni sulla vita

Tommaso d'Aquino, santo e dottore della Chiesa. (Roccasecca 1224 - Fossanova 1274). Filosofo e teologo, da molti ritenuto il maggior pensatore cattolico ("Doctor Communis"). Figlio del conte Landolfo d'Aquino, dopo aver ricevuto la prima educazione a Montecassino, studiò a Napoli. Affascinato dal nuovo Ordine dei domenicani a Napoli, volle entrarvi contro il parere dei parenti, che lo volevano monaco (con la prospettiva, più che probabile, di raggiungere la prestigiosa funzione di abate di Montecassino), e fu da quelli angariato in molti modi (al punto che tentarono di farlo "cadere" cercandogli una donnina di facili costumi). Ma Tommaso non cedette e si mantenne fermo nella sua decisione.

Studiò teologia alla scuola di Alberto Magno a Colonia e a Parigi (1245-1252). Lì seguì il corso di studi di filosofia e teologia, divenendo prima baccalaureus (bacceliere) biblicus (1252/4) e sententiarius (1254/6), e poi (nel 1256) Magister.

Pur essendo di grandissima dottrina e intelligenza, il suo animo si mantenne umile, per la sua viva fede. Guglielmo di Tocco potè scrivere nella sua biografia:

«Tommaso sentiva bassamente di sé, era puro di corpo e d'anima, fervoroso nella preghiera, risoluto nel consiglio, riboccante d'amore, di mente serena, di spirito forte, previdente nel giudicare, dotato di tenace memoria, libero da ogni sensualità, tenne a vile qualunque cosa terrena.»

Spesso durante la Messa si commuoveva fino alle lacrime. E quando passava a piedi per i campi, i contadini meravigliati dalla sua imponenza si voltavano verso di lui. Amante della verità sopra ogni cosa, consacrava tutto il suo tempo alla riflessione. Cosicché anche durante i pasti egli continuava a pensare, e i suoi confratelli potevano cambiagli le pietanze nel piatto senza che egli se ne accorgesse. Stimava talmente il valore della sincerità che, giovane, non si sottrasse all'invito di alcuni suoi confratelli burloni, che gli dicevano: "Tommaso, vieni a vedere un bue che vola!" Taciturno, era chiamato dai suoi condiscepoli "Bue muto", "il gran bue muto di Sicilia" (così i confratelli tedeschi, per i quali tutta l'Italia era Sicilia): ma Alberto Magno, suo maestro e che ben lo conosceva, li ammoniva quando muggirà, farà tremare il mondo!

La sua vita si svolse soprattutto nello studio e nell'insegnamento, all'Università di Parigi (1256/9), poi presso lo studium curiae, legato alla Curia pontificia (1259/68), e poi ancora a Parigi (1268/72), presso la cattedra che la Sede Apostolica aveva riservato all'Ordine dei Predicatori. Infine insegnò allo Studium generale dei domenicani a Napoli (1272/4). Morì ospite di un'abbazia cistercense, mentre si recava al concilio di Lione.

Negli ultimi tempi della sua vita, a chi gli chiedeva insistentemente indicazioni concettuali su come completare la Summa Theologiae, la sua opera maggiore, rimasta poi incompiuta, Tommaso disse queste parole, che testimoniano la sua grande umiltà e il vivo senso della sproporzione tra l'attuale conoscenza intellettuale di Dio e l'incontro con Lui nella vita che speriamo: mihi videtur ut palea (mi sembra paglia). Alle soglie del grande Incontro faccia a faccia con Cristo, tutto quello che aveva scritto gli sembrava paglia, cioè poca cosa: stava per vedere, in modo pieno e totale, Ciò di cui aveva parlato in modo comunque approssimativo. Così, anche nella sua vita, testimoniò come la fede, caparra della visione (beatifica) conta più della ragione.

Il suo cadavere, come non era infrequente, venne presto bollito per favorirne una migliore conservazione.

Giovanni XXII lo dichiarò santo nel 1323 (tot miracula fecit, quot articula scripsit); Pio X lo proclamò Dottore della Chiesa, raccomandandone lo studio come autore particolarmente affidabile.

📔 Opere principali di Tommaso d'Aquino

titolo originale titolo ital. (o edizione) anno
De ente et essentia L'ente e l'essenza1252-56
Scriptum super libros Sententiarum Commento alle Sentenze1252-56
De veritate Sulla verità1256-59
Quaestiones quodlibetales Questioni quodlibertali1256-59
In Boethium de Trinitate Commento al De Trinitate di Boezio1256/8
Summa contra Gentiles Somma contro i Gentili1258-65
Contra errores graecorum Contro gli errori dei Greci1263
De potentia Sulla potenza1265-66
Compendium theologiae Compendio di teologia1265-67
De regimine principum (De Regno) Il governo del principe [opera politica]1265-67
De unitate intellectus contra Averroistas L'unità dell'intelletto1270
Contra impugnantes Dei cultum Contro chi combatte il culto di Dio1270
De aeternitate mundi Sull'eternità del mondo1270 (-71)
De substantiis separatis Le sostenze separate1271-73

senso generale

Tommaso d'Aquino ha avuto il merito di integrare la filosofia aristotelica in una sintesi cristiana. Ha dimostrato cioè che si poteva usare Aristotele, senza divenirne succubi: per lui il pensiero del Filosofo (così egli chiamava Aristotele) era un utile strumento, e in questo egli superava le diffidenze della corrente agostinista, forte soprattutto tra i come Bonaventura da Bagnoregiofrancescani, ma non un assoluto, come invece era per l'averroismo latino, ad esempio Sigieri di Brabante.

Per cui Tommaso

L'aristotelismo di S.Tommaso è evidente

Aristotelismo però non significa naturalismo, e men che meno materialismo: Tommaso non dimentica che il livello principale dell'uomo è lo spirito, il cui dinamismo è tutto orientato a un compimento trascendente e soprannaturale: l'uomo è desiderio di Dio.

fede/ragione

L'opera di Tommaso è fondamentale per la filosofia e la teologia del Medioevo; se l'agostinismo aveva dominato nel primo periodo della scolastica, nei secoli XIII e XIV la soluzione offerta da Tommaso, il “Dottore Angelico”, sul problema del rapporto tra fede e ragione innovò, pur senza rovesciarla, la soluzione tradizionale, nel senso di una maggiore importanza attribuita alla ragione.

Tommaso d’Aquino, sostenendo che la ragione giova alla fede, riconosce l'esistenza di un livello naturale come fornito di un significato per sé stante, intelligibile per la ragione, indipendentemente da ogni presupposto religioso (E. P. Lamanna). Ciò però significa più una distinzione che una separazione: la ragione e la natura trovano il loro pieno compimento nella fede e nella grazia, secondo il celebre detto tomista: gratia naturam perficit. In effetti Tommaso respinse la teoria averroistica della doppia verità: per lui la verità è una sola. Alcune verità come l'esistenza di Dio, infinitamente Perfetto, la spiritualità e l'immortalità dell'anima sono al tempo stesso verità razionali e verità di fede. Perciò Tommaso affida alla teologia naturale il compito di dimostrare filosoficamente le verità di ragione, che rappresentano i presupposti della fede, i cosiddetti preambula fidei.

Questo nuovo spazio dato alla ragione significava in concreto accogliere la filosofia di Aristotele, che in quel tempo era comparsa sulla scena della cultura occidentale come un dato nuovo e per certi aspetti inquietante, come per la tesi della eternità del mondo, la ambiguità sulla immortalità dell'anima, la negazione della Provvidenza; ciò lo differenziava del platonismo, che per secoli era stato il fedele alleato della teologia, pur essendo esso stesso reso compatibile col Cristianesimo solo mediante una consistente riplasmazione. Tommaso, utilizza categorie aristoteliche, come potenza ed atto, materia e forma, sostanza e accidenti, intelletto attivo e passivo, ripensandole in modo originale in una sintesi che può dirsi senz'altro cristiana.

l'essere come atto

É merito dei suoi studiosi novecenteschi l'aver sottolineato questa componente della filosofia tommasiana: rispetto ad Aristotele la grande originalità di Tommaso è l'idea dell'esse ut actus: la polarità metafisica decisiva non è quella materia/forma, ma quella essenza/esistenza. Non solo la forma è atto, ma anche lo è l'essere, e lo è ben più propriamente. La forma è atto rispetto alla materia che è (pura) potenza: ma a loro volta sia la forma sia la materia sono costitutive dell'essenza (almeno delle sostanze corporee), essenza che è potenziale rispetto all'atto, ultimo e decisivo, che è l'essere, l'esistenza. Perciò Tommaso può dire:

«ipsum esse est perfectissimum omnium; comparatur enim ad omnia ut actus; nihil enim habet actualitatem nisi inquantum est»; (l'essere è quanto di più perfetto vi sia; si rapporta a tutto come atto: niente infatti è attuale se non in quanto è)

«unde ipsum esse non comparatur ad alia sicut recipiens ad receptum, sed magis sicut receptum ad recipiens». (perciò l'essere stesso non si rapporta agli altri fattori [del reale] come qualcosa di recettivo, bensì come ciò che è ricevuto)

L'essere è atto, ossia perfezione. L'essenza lo limita (in questo senso è receptum, mentre è l'essenza ad essere recipiens), senza la limitazione dell'essenza l'essere sarebbe infinito. E infatti Dio è l'Ipsum Esse Subsistens: senza alcuna limitazione (la sua essenza è l'Essere).

Mentre Aristotele riteneva che la perfezione suprema fosse la forma, per Tommaso essa è l'essere. In qualche modo la filosofia greca dava per scontata la realtà della realtà, mentre il cristiano Tommaso d'Aquino si stupisce per l'essere. Non è scontato l'esserci delle cose, nè il mio, il tuo esserci. Non è scontato che io esista, né che la realtà esista.

Ne segue che si deve partire da ciò che esiste, prenderne anzitutto, umilmente ma realisticamente, atto. Solo così ci potrà poi essere anche un progetto umano per agire responsabilmente su ciò esiste (e che non ho fatto io, ma ho troivato, mi è stato dato, o meglio ancora donato).

Altrimenti si sognano grandi cose inesistenti, perfezioni impossibili. Si pretende dalla realtà senza tener conto della sua natura, che è più grande dei nostri pensieri e progetti. E si dimenticano le piccole cose esistenti, la limitata, ma reale perfezione dell'esistente, e del possibile, che nell'esistente si radica.

Dio e la creazione

Dio e il suo rapporto con il mondo sono al centro della speculazione tomistica. Che Dio esista non è evidente a-priori (STh, I, q.II, a.1), ma può essere dimostrato razionalmente (ibi, a. 2). Tommaso elabora a tal fine cinque vie, per cui risaliamo a Dio, rispettivamente come Movente immobile, Causa prima, Essere necessario, Perfezione assoluta, Fine ultimo (per saperne di più). La semplice ragione dunque, conduce l'uomo a riconoscere di non essere lui stesso il creatore di sé e della realtà, ma di dipendere strutturalmente da un Altro, che, Infinitamente Perfetto, è il Creatore di tutto.

Certo Dio è Mistero e la ragione ha la capacità di riconoscerNe l'unità, l'infinità, la perfezione assoluta, l'onnipotenza, ma, senza la Sua Rivelazione l'uomo concreto avrebbe avuto una conoscenza di Dio difficoltosa e vacillante: la verità su di Lui sarebbe stata conosciuta

da pochi, dopo molto tempo, e con mescolanza di molti errori (STh, I, q.I, a.1: a paucis, et per longum tempus, et cum admixtione multorum errorum)

E ciò perché la ragione ha la forza intrinseca di riconoscere Dio, ma essa è di fatto la ragione, cioè lo strumento conoscitivo, di un soggetto che si trova debilitato dal peccato originale. Invece la ragione non ha la capacità di riconoscere l'essere trinitario del Mistero, che è conosciuto solo per fede. Tuttavia la ragione può vedere l'inconsistenza di tutte le obiezioni contro il mistero della Trinità.

All'inizio della realtà finita vi è l'atto creatore di Dio, che ha liberamente deciso di creare, non spinto da alcuna necessità. Che il mondo abbia avuto un inizio però è solo verità di fede, non di ragione (secondo la quale sarebbe anche possibile una creazione eterna): in ciò Tommaso dissente da Bonaventura, per il quale la ragione stessa può escludere l'eternità del mondo.

Dio è l'essere sussistente, colui che è e si conosce perfettamente, conoscendo così tutte le ragioni o forme (l'universale ante rem) delle cose che verranno create. L'essere divino si distingue dall'essere creato o partecipato, in quanto in Lui vi è identità di essenza ed esistenza, mentre si dà tra esse reale distinzione nell'essere partecipato: per questo la definizione di Dio, che ricorre più spesso nella Summa Theologiae, è di Ipsum Esse Subsistens.

Dio poi è causa prima di tutto, mentre le creature sono cause seconde che agiscono per realizzare il loro appetito di perfezionamento secondo la loro natura. Ne segue che Dio esercita un "governo" sul mondo creato, una Provvidenza, a cui nulla sfugge (a differenza di Aristotele anche le realtà singolari e i fatti sono soggetti alla divina provvidenza, che tutto conosce e governa, e senza della quale nessuna realtà finita potrebbe mantenersi nell'essere).

La cosmologia

Caravaggio, cesto di frutta

La realtà creata non solo è buona ma ha una sua sottolineata consistenza

Il mondo creato è formato da sostanze, alcune puramente spirituali (pure forme: gli angeli), altre corporeo-spirituali (l'uomo: forma sussistente unita a una materia), altre corporee (composte di materia e di forma). Tommaso dunque segue la teoria ilemorfica, per cui le cose corporee sono composte di materia e forma, ma nega l'ilemorfismo universale, sostenuto, tra gli altri, da Avicebron e da Bonaventura.

Il mondo è permeato di forme, ossia di intelligibilità. Esso è così un ordine, una armonia razionalmente e gerarchicamente strutturata. Rispetto a S.Bonaventura in Tommaso c'è minore sottolineatura della bellezza del cosmo, ma ammirazione per il suo ordine.

il principium individuationis

Uno dei problemi affrontati dagli Scolastici era quello del principium individuationis: che cosa rende singolare un individuo, la materia o la forma? Entrambe le soluzioni presentano delle difficoltà: la forma è infatti un principio di individuazione troppo forte, col quale si rischia di avere non tanti individui della stessa specie, ma tante specie diverse quanti sono gli individui; la materia viceversa appare come un principio troppo debole di individuazione, in quanto indeterminato e potenziale. Per Tommaso ciò che distingue gli individui nell'ambito della specie, è sì la loro materia, ma una materia non totalmente indeterminata, una materia signata quantitate; dove non c'è materia, non si dà neppure, propriamente, individuo (i singoli angeli formano pertanto tante specie individuali).

L'antropologia

anima/corpo

L'uomo è formato di anima e di corpo. L'anima è l'unica forma sostanziale dell'uomo ed è anche principio delle sue funzioni vegetative e sensitive: non esiste infatti per lui, come pensava invece Bonaventura, una forma del corpo distinta dall'anima, né l'anima è una sostanza (in qualche modo in sé completa), come tendeva a pensare molto agostinismo platonizzante. In tal modo Tommaso afferma con più forza l'unità di anima e corpo e l'improponibilità di una interiorità slegata dal riferimento alla oggettività esterna.

Esiste comunque l'anima come realtà qualitativamente superiore al corpo, e sussistente, cioè capace di esistere anche senza il corpo (come infatti accade nel momento della morte individuale e fino al giorno del Giudizio Universale, allorché ogni anima si riapproprierà del suo corpo, soprannaturalmente trasfigurato ad immagine del corpo risorto di Gesù Cristo). E tale sussistenza di un'anima spirituale e immortale può essere razionalmente provata, soprattutto con la capacità dell'intelletto di operare in modo spirituale, smaterializzando gli aspetti intelligibili mediante la astrazione.

Infatti l'intelletto agente astrae le specie intelligibili, mediante le quali si fa intenzionale alle essenze delle cose corporee alle quali è limitata la sua cognizione propria.

l'intelletto agente

Ogni uomo, contro le incertezze aristoteliche e contro le interpretazioni averroistiche di Aristotele, dispone di un proprio intelletto agente (/attivo), quindi ogni singolo uomo ha in sé un principio spirituale immortale. Se non fosse così, argomenta Tommaso, in particolare nel De unitate intellectus contra averroistas, se ci fosse un unico intelletto agente:

altri problemi

Affrontando il problema del rapporto tra l'anima e le sue potenze o facoltà, Tommaso sostiene una distinzione reale tra di loro.

Sul problema della sensazione, mentre Agostino sostiene che essa sia atto dell'anima, Tommaso ritiene che sia atto del composto corporeo-spirituale, accentuandone così, rispetto all'agostinismo, il carattere di passività: sentire non è un attivo accorgersi, ma un registrare le modificazioni che le cose producono su di noi.

L'intelligenza poi conosce solo gli aspetti intelligibili universali delle cose, non il singolare; su questo può in qualche modo ritornare convertendo se ad phantasmata, a quelle immagini dentro cui conosce l'universale, ma si tratta di una conoscenza indiretta. In questo Tommaso è perfettamente aristotelico, e si distacca dall'indirizzo agostiniano, che invece ritiene l'intelligenza capace di conoscere il singolare.

Gli aspetti intelligibili sono colti in un concetto che è un quo e non un quod: l'intellezione non termina al concetto della cosa, ma alla cosa stessa, attraverso il concetto: questo è il realismo fondamentale del tomismo, contro ad esempio il dualismo della filosofia moderna, da Cartesio in poi.

intelligenza/volontà

Tommaso afferma poi il primato dell'intelletto sulla volontà: per poter amare, occorre prima conoscere; mentre infatti la volontà è in qualche modo soggettiva, l'intelletto ci unisce massimamente all'oggetto, a cui è totalmente spalancato, e ci “adegua” ad esso nel fulgore della verità che è appunto adaequatio rei et intellectus.

Egli riconosce però che, in questa vita, amare Dio è più perfetto che conoscerLo, visto che la conoscenza di Lui è imperfetta e indiretta, mentre l'amore per Lui tende direttamente a Lui. Quando però saremo nella vita eterna, la visione di Dio, che riguarderà l'intelligenza, avrà una priorità sull'amore per Dio.

L'etica

Unico tra le creature visibili, l'uomo non raggiunge in modo necessario la sua realizzazione: è affidata alla sua libertà l'accettazione del progetto che il Creatore ha avuto su di lui creandolo, cioè la attuazione della sua umanità, della sua natura umana. Se l'uomo accetta di obbedire a Dio, obbedendo alla legge naturale, che è il cammino da seguire per attuare la sua natura, può giungere alla compiuta realizzazione di sé e quindi alla felicità, a cui Dio lo ha destinato. Se invece rifiuta il Disegno creativo di Dio, non può attuarsi, va inevitabilmente contro sé stesso, e si condanna all'inquietudine e all'infelicità.

La legge morale dunque non è nient'altro che la via al fine, la strada da percorrere per arrivare a quella meta che è la compiuta attuazione della propria natura. Essa appare però gravosa all'uomo, in seguito al peccato originale, e solo la grazia soprannaturale di Cristo può perciò permettere all'uomo di essere morale, accettando il progetto di Dio e ricevendo la forza di attuarlo.

Lorenzetti, il buon governo
Per Tommaso la convivenza è naturale: la sua visione è meno drammatica di quella agostiniana

Di fatto, nell'ordine concreto della Redenzione, il fine ultimo dell'uomo è una realizzazione della sua natura che va oltre la semplice natura: l'uomo è chiamato alla divinizzazione. La natura umana infatti, pur tendendo alla sua perfezione naturale, ha un unico fine ultimo reale, che è soprannaturale, ed è offerto dalla grazia che Dio le partecipa gratuitamente: soltanto in Gesù Cristo l'uomo trova il suo compimento.

La politica

Per Tommaso d'Aquino la società è un fenomeno naturale e non convenzionale: l'uomo è naturalmente sociale. E in questo egli concorda con tutta la tradizione cristiana, precedente e successiva.

Rispetto ad Agostino egli pensa che anche lo stato sia naturale e non conseguenza del peccato originale: in questo si esprime il suo realismo e la avversione a ogni sogno utopico. L'uomo avrebbe comunque avuto bisogno di una organizzazione statale, di leggi, strutture, istituzioni.

Ogni individuo ha dei doveri verso lo stato (deve pagare le tasse, ad esempio, ma anche essere disposto a morire per la patria, visto che questa gli assicura la sopravvivenza materiale: garantendogli la vita del corpo ha diritto a chiedere in cambio la stessa vita del corpo); tuttavia lo stato non gli può chiedere tutto: ha un diritto sul corpo, ma non sull'anima. In particolare non gli può chiedere di andare contro coscienza: le leggi positive, emanate dagli stati, in tanto sono obbliganti in quanto rispecchiano la legge naturale, che ogni uomo può avvertire nella sua coscienza.

Ciò non significa peraltro individualismo. Importante è infatti il concetto di bene comune, a cui l'individuo deve indirizzare la sua azione.

Resta la possibilità di ribellarsi a un'autorità statale gravemente ingiusta, attuando una rivoluzione, se il regime da rovesciare sia effettivamente fonte di gravi mali e se il suo rovesciamento appare ragionevolmente possibile senza creare mali ancora peggiori.

L'estetica

La bellezza ha un duplice risvolto, conoscitivo e affettivo, ciò che è espresso dalla celebre formula tomistica puchra dicuntur quae, visa, placent: c'è anzitutto un vedere (visa) che produce un piacere, un senso di soddisfazione (placent).

L'analisi tomistica del bello porta ulteriormente a distinguere tre fattori nel fenomeno del bello:

I primi due fattori, di carattere più quantitativo, erano già noti all'estetica classica che parlava della bellezza come proporzione, armonia; nuovo, e tipicamente cristiano, è il fattore della claritas, che è lo splendor formae, il rilucere della forma, il suo trasparire, attraverso la materia.

Nel bello cioè il vero (la forma, l'universalità) emerge in forma affettivamente affascinante (perché attraverso una concretezza materiale-singolare): il bello è lo splendore del vero, il suo rifulgere affettivamente persuasivo. Il bello quindi è sintesi di vero e di bene, colto da una unità di conoscenza e affettività.

Nel '900 chi ha ripreso e approfondito questo tema è stato H.Urs von Balthasar (in ambito teologico), come pure don Giussani (in ambito educativo-ecclesiale).

Per un giudizio

Valore di Tommaso

Tommaso d'Aquino è senza dubbio uno dei più grandi astri del pensiero cattolico. Chiunque voglia pensare (filosoficamente e teologicamente) in modo cristiano non può non fare i conti con lui, che non per nulla è stato ripetutamente indicato da Sommi Pontefici, soprattutto nell'Ottocento (si veda in particolare la Aeterni Patris di Leone XIII) e, in parte, nel Novecento (in particolare Paolo VI), come fonte assolutamente autorevole e sicura in campo filosofico e teologico: Doctor Communis oltre Doctor Angelicus.

Eccessi di zelo...

Tuttavia si è spesso verificato, presso alcuni suoi discepoli, quella che mi pare una esagerazione: ritenere cioè il pensiero di Tommaso non solo come un pensiero affidabile e prezioso, ma passibile di arricchimenti e integrazioni, bensì come il pensiero cristiano, la manifestazione perfetta e insuperabile della concezione cristiana, espressa nella sua forma compiuta e irriformabile. Non sono mancati in tal senso pensatori "tomisti" che ritenevano il pensiero di Tommaso superiore allo stesso vangelo (non nella sostanza, ma nella modalità espressiva).

Che tale impostazione sia eccessiva appare anche dal fatto che il tomismo non fu subito apprezzato dalla autorità ecclesiale, dato che venne anzi condannato nel 1277 dal vescovo di Parigi; ma soprattutto va ricordato che il tomismo assurse a rango di "filosofia cristiana" per eccellenza (anzi filosofia tout court: "Philosophia perennis") solo nel momento in cui, nell'Ottocento, il pensiero cristiano si percepì come stretto d'assedio da una cultura immanentista e laicista. Fu un modo di "far quadrato", nel momento di una minaccia mortale, attorno a qualcosa di assolutamente sicuro.

"Con" e "oltre" Tommaso

Una impostazione puramente autodifensiva non può reggere a lungo. E ben lo capirono autori come il card. Newman, J.A. Moehler, R.Guardini, Henri de Lubac, von Balthasar, per non citare che alcuni. Essi, pur apprezzando e valorizzando Tommaso, si sforzarono da un lato di riscoprire la Patristica e dall'altro di dialogare fecondamente con istanze moderne.

Ma la personalità che più di tutti ha mostrato, nei fatti, come sia possibile e fecondo andare "con Tommaso oltre Tommaso" è senza dubbio papa Giovanni Paolo II, estimatore di un tomismo non esclusivo del grande patrimonio agostiniano-patristico e di una assimilazione del positivo presente nel moderno (in particolare nella fenomenologia).

cosa trattenere e cosa abbandonare

Senza alcuna pretesa di completezza, indichiamo quali sono alcuni, fondamentali, punti fermi da conservare, già presenti nel tomismo, e quali altri andrebbero integrati in una sintesi cristiana, importandoli, per così dire, dall'agostinismo (vedi Agostino, Bonaventura, Duns Scoto) o assimilandoli criticamente dal moderno.

da trattenere da integrare

😃l'oggettività del vero

😧l'importanza del coivolgimento affettivo-volizionale.

😃l'importanza essenziale dell'esperienza sensibile

😧il desiderio di totalità come molla per scoprire, nel sensibile, un Centro soprannaturale.

😃la possibilità di articolare(/comunicare) la verità in un discorso intelligibile e relativamente stabile

😧la impossibilità di racchiudere esaurientemente in un discorso il Vero vivente, che è un Tu e implica un continuo rapporto esistenziale, fatto di mendicanza e di affezione.

📖 Testi on-line

testi filosofici

testi spirituali

📚 Bibliografia essenziale

Articoli

Contributi

Buono lo studio del Gilson, Le Thomisme, per l'equilibrio tra la scientificità (prevalente ad esempio in Chénu) e l'afflato affettivo-attualizzante, che porta alcuni studiosi, come Lonergan e (in minima parte) Rousselot, a forzare il pensiero di Tommaso d'Aquino.

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Per Tommaso d'Aquino le fede

Per Tommaso d'Aquino Aristotele