Guglielmo di Ockham
o la esagerata povertà (della fede)
🪪 Cenni sulla vita
una vita movimentata e breve
Nato (1295 ca.) nel villaggio di Ockham, a sud di Londra, divenne frate francescano, studiò e poi insegnò ad Oxford. Nel 1324 venne convocato ad Avignone dal Papa Giovanni XXII per il suo appoggio al movimento dei “fraticelli”. Nel 1328, col generale dei francescani Michele da Cesena, fuggì da Avignone unendosi all'imperatore Ludovico il Bavaro (a cui si unirono anche Marsilio da Padova e Giovanni di Jandun) nella sua spedizione in Italia, e venne perciò scomunicato.
Quando morì, nel 1342, Michele da Cesena, che era stato nel frattempo deposto da generale dal capitolo dei francescani, ma aveva conservato il sigillo dell'Ordine, gli lasciò appunto tale sigillo, facendone di fatto il capo della fazione dei fraticelli
.
Ma quando morì anche Ludovico il Bavaro, nel 1347, Guglielmo pensò fosse giunto il momento ri riconciliarsi con la Chiesa, come fece, almeno formalmente, consegnando il sigillo al capitolo dell'Ordine. Morì nel '49, a Monaco di Baviera, dove aveva seguito Ludovico al suo ritorno dall'Italia.
📔 Opere principali di Guglielmo di Ockham
titolo originale | titolo ital. (o edizione) | anno |
In libros Sententiarum | 1318 ca. | |
Summa logicae | 1323 ca. | |
Opus nonaginta dierum | 1332-34 | |
Epistola ad fratres minores | 1334 | |
Dialogus | < 1335 |
conoscenza
Distinse le conoscenze in
- incomplesse (i singoli termini; ulteriormente distinte in:)
- intuitive (relative alle cose nella loro immediatezza e particolarità)
- astrattive (prescindono dalle caratteristiche particolari)
- complesse (le proposizioni)
L'unica vera conoscenza è quella intuitiva, contrapposta a quella astratta. Solo essa infatti ci dice se una cosa è, e solo la conoscenza sensibile è intuitiva, dunque è l'unica vera e sicura.
Affermò il primato del particolare sull'universale: di reale c'è solo il particolare. Più radicalmente di chiunque altro (Gilson, La fil. med., p. 769) egli negò qualsiasi realtà all'universale. Il suo è un nominalismo estremo.
metafisica
L'esistenza di Dio non può essere rigorosamente dimostrata, essa è una semplice probabilità (Gilson, ibi, p. 777). L'argomento migliore non è quello di Dio come causa prima, ma come conservatore dell'universo.
Nemmeno possono essere dimostrati gli attributi essenziali di Dio, quali l'unità, l'infinità e gli altri. Tra tutti gli attributi, peraltro, quello più importante, è l'onnipotenza divina.
Non si può dimostrare che il mondo è stato creato, né che non sia eterno.
Nemmeno il principio di causalità può essere dimostrato, e neanche il finalismo.
l'uomo
Non si può dimostrare l'esistenza di un'anima immortale. Anche perché non conosciamo nulla della pretesa intellezione, che comunque potrebbe spiegarsi con una entità smaterializzatrice superiore al singolo individuo umano.
Non è dimostrabile la libertà, e la salvezza dipende solo dalla grazia divina .
In etica afferma un positivismo morale: non esiste legge naturale, ma solo la legge rivelata. Se Dio lo volesse potrebbe far sì che odio, adulterio e furto siano un bene. Dio diventa così totalmente arbitrario.
seguaci di Ockham
Furono, tra gli altri:
- Ubertino da Casale
- Nicola d'Autrecourt (-1350)
- Giovanni Gerson (1363-1429)
⚖ Per un giudizio
Il pensiero di Ockham appare prevalentemente negativo.
Da un lato, infatti, tende a sminuire l'incidenza del Cristianesimo sull'umano:
- in ambito teoretico sostenne un fideismo che negava ogni positivo nesso fede/ragione
- e in ambito pratico la sua idea di povertà della Chiesa rischiava di toglierle la possibilità di impattarsi con la realtà economica e in direzione simile andava, in politica, la sua richiesta al Papato di rinunciare a qualsiasi prerogativa sul potere politico e in particolare imperiale.
discutibile è anche la sua drastica riduzione delle prerogative del Papa, che avrebbe dovuto stare alla mercè della Congregatio fidelium (concezione democraticistica della Chiesa, ridotta a istituzione umana), al punto da poter essere deposto se eretico.
In compenso all'Impero riconobbe prerogative molto ampie, venendo generosamente ricambiato dall'Imperatore, che lo protesse.
📖 Testi on-line
Il Dio arbitrario di Ockham
«Nulla infatti, meglio di un universo nominalista, si piega ai decreti di un Dio onnipotente. E Ockham non smette di ricordare che questo è il primo articolo del credo cristiano: «Credo in unum Deum, Patrem onnipotentem». L'abbiamo detto, questo non può significare che ci sia in Dio una potenza distinta dal suo intelletto e dalla sua volontà, ma, proprio perché questi non sono che dei «nomi divini», e non degli attributi, questa verità di fede significa che nulla deve essere concepito come un limite all'efficacia dell'essenza divina, anche dall'interno, come sarebbe se l'attributo «potenza», distinguendosi in sé dagli attributi «intelletto» e «volontà», dovesse regolarsi su di essi. Questo è indubbiamente il punto in cui Ockham pili profondamente assomiglia a Duns Scoto, suo avversario prediletto. Tutti e due vogliono evitare lo stesso pericolo. Essi hanno costantemente presente al pensiero il Dio Intelletto puro di Averroè, o il Dio di Avicenna, la cui volontà segue necessariamente la legge del suo intelletto. Il Dio a cui si appellano è Jehova che non obbedisce a nulla, nemmeno alle Idee. Per liberarlo da questa necessità, Duns Scoto le aveva subordinate a Dio quanto aveva potuto farlo senza arrivare a porle come create ; Ockham risolve diversamente il problema, sopprimendole. Egli supera qui di gran lunga Abelardo che delle Idee faceva invece il privilegio della conoscenza divina. Ockham sopprime la realtà degli universali anche in Dio. è anche perché non ci sono Idee in Dio che non c'è universale nelle cose. Perché dovrebbero esserci ? Ciò che chiamiamo idee non è nient'altro che le cose stesse che Dio può produrre: ipsae ideae sunt ipsae-met res a Deo producibile!. Lo si è giustamente fatto notare, Ockham conserva la parola, ma elimina nel medesimo tempo la cosa:
Ockham parla ancora di idee, ma lo storico deve spiegare che per lui, essendo Dio radicalmente semplice, non ci sono idee divine; la sua essenza non è dunque né l'origine delle idee, come per Duns Scoto, né il luogo delle idee, come per san Tommaso: qui compare, per così dire, la personalità del Dio occamista, di fronte al Dio cornista o scotista, e anche al Dio cartesiano, radicalmente semplice, ma essenzialmente attivo: causa sui. Dio è dato, e dato subito come conoscente: «ex hoc ipso quod Deus est Deus, Deus cognoscit omnia» (P. Vignaux).
Un universo in cui nessuna necessità intellegibile s'interpone, nemmeno in Dio, tra la sua essenza e le sue opere, è radicalmente contingente, non soltanto nella sua esistenza, ma nella sua intellegibilità. Le cose vi accadono in una certa maniera, regolare ed abituale, certo, ma che non è che uno stato di fatto. Non c'è niente di ciò che è che, se Dio l'avesse voluto, non avrebbe potuto essere diversamente. L'opposizione di Ockham al necessitarismo greco-arabo trova la sua perfetta espressione in un contingentismo radicale, che consiste nel considerare i problemi dal punto di vista della potenza assoluta di Dio. In un mondo greco, le prime cause non possono produrre i loro effetti ultimi che con una serie di cause intermedie: il Primo motore non agisce su di noi che con tutta la serie delle Intelligenze separate; nel mondo cristiano di Ockham, «quicquid potest Deus per causam efficientem mediatam, hoc potest immediate». In un mondo greco, l'esistenza degli effetti è necessariamente legata a quella delle cause; nel mondo cristiano di Ockham, basta che due cose siano distinte perché Dio possa far esistere l'una senza l'altra. In un simile universo, un sospetto metafisico aleggia in permanenza sulla realtà di tutti gli avvenimenti e di ciò che sembra essere il loro legame. Dubbio tutto speculativo, nel senso che esso non intacca affatto l'ordinaria condotta della vita, ma non «iperbolico» nel senso in cui lo intenderà Descartes, perché esso non è provvisorio e Ockham non ha nessuna intenzione di rimuoverlo.
Abbiamo detto che l'intuizione sensibile è il solo fondamento sicuro della conoscenza scientifica. Tuttavia, assolutamente parlando, essa non garantisce l'esistenza del suo oggetto. Si crede che essa ce ne dia garanzia perché l'oggetto è normalmente la causa di una conoscenza di questo genere; ma Dio può sempre produrre un dato effetto senza passare attraverso la sua causa seconda, e può sempre creare una cosa separatamente da un'altra; si può quindi avere un'intuizione sensibile di ciò che non esiste: “Ergo ipsa re destructa potest poni ipsa notitia intuitiva, et ita notitia intuitiva secundum se et necessario non plus est existentis quam non existentis”. In virtù degli stessi principi, Dio può fare sì che noi abbiamo l'intuizione sensibile di oggetti che non esistono.»
Da Gilson, La filosofia medioevale, pp. 782/3
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