L'Europa e l'Islam

pubblicato in Libertà di educazione

La recente fatica di Cardini, L'Europa e l'Islam, edita da Laterza, si presenta come una sintetica ricostruzione storica del rapporto tra tali due civiltà, visto però dall'ottica europeo-cristiana. L'opera, dopo una brevissima "premessa" dell'Autore, che non vi esplicita alcuna tesi di fondo, appare a prima vista come una lunga, fedele e avvincente cronaca dei rapporti tra i due mondi, dalla nascita dell'Islam ai giorni nostri. A conferma di tale scelta non troviamo alcuna Conclusione; come pure solo a fatica si possono rinvenire, all'interno dello snodarsi del discorso, considerazioni sintetiche. Tuttavia l'opera, né potrebbe essere diversamente, essendovi impegnato uno storico del calibro intellettuale di Cardini, non è certo priva di un suo taglio prospettico: a Cardini preme dimostrare qualcosa.
Ci sembra ad esempio degno di nota che Cardini cerchi di sfatare quelli che egli presenta come "miti" storici, riferibili alla visione di una netta e monolitica contrapposizione frontale tra una Cristianità europea e l'Islam, come due sistemi etnico-ideologici mortalmente nemici.

In realtà, suggerisce Cardini, non sono mancati intrecci e connivenze tra i due mondi, che la storia ha d’altronde visto variegati e frastagliati al loro interno. Così ad esempio la celebre battaglia di Poitiers viene presentata in termini molto meno epici di quelli percepiti dai medioevali contemporanei (o di poco successivi al 732): si sarebbe trattato di una delle tante scaramucce tra franchi e arabi, priva di un valore davvero risolutivo; tant'è che anche dopo Poitiers la spinta penetrativa araba nell'Europa meridionale non avrebbe conosciuto una significativa battuta d'arresto, ma si sarebbe protratta per lunghi anni ancora, fino alle soglie del secondo millennio. Gli intrecci tra Cristianita' e Islam d'altra parte, sono testimoniati sotto lo stesso impero di Carlo Magno, allorchè il capo dei Franchi potè scendere in Spagna nel 778, ricorda Cardini, grazie ad un accordo con l’emiro arabo di Barcellona, nemico del califfo di Cordova; lo stesso Carlo, ancora, inviò ambasciatori al califfo di Baghdad, che gli fece avere in dono un elefante, animale a cui il Re dei Franchi pare tenesse particolarmente (p. 24/5). Anche a livello culturale, nel Medioevo non mancavano crepe nell’edificio di una compatta avversione antimusulmana. È vero che S.Bernardo e S.Tommaso concordavano nel dipingere a tinte fortemente negative l’Islam. Il secondo riteneva che "il Profeta" aveva attirato fedeli alla sua nuova religione promettendo loro una sfrenata libertà sessuale. Il primo si spingeva a parlare di "malicidio", come giusta eliminazione fisica di un nemico "obbiettivamente portatore del male e del peccato" (p. 123) non altrimenti contrastabile. È vero, ancora, che nell’immaginario collettivo medioevali i saraceni (o agareni) vengono dipinti in termini mostruosi: "sono neri, cornuti, digrignano i denti" (p. 119). Tuttavia non mancava nello stesso mondo cristiano europeo chi sapeva apprezzare alcuni valori dell’Islam, o meglio dei mussulmani. Così, in un componimento monastico del XII secolo, ricorda Cardini, il "Re di Babilonia" "è presentato come non privo di magnanimità; e solo la forza delle armi lo induce a piegarsi all’Anticristo" (p. 124), altri componimenti di simile tenore non erano assenti nella letteratura medioevale(pp. 125/7).

Non poteva mancare, nella ricerca cardiniana di "benevolenze" cristiane verso l’Islam, un doveroso ricordo della figura del Santo di Assisi. Certo, Francesco va in Oriente per predicarvi il Vangelo, non certo per proporre un qualche "compromesso" interreligioso, né egli, che pur non amava la guerra, ma ancor più era obbediente al Papa, prende posizione contro l’idea di crociata; tuttavia, nota l’Autore, "nell’incontro di Francesco col sultano (…) vi è la consapevolezza (…) che l’Islam fa parte del disegno provvidenziale. (..) I saraceni sono come "lupi": ma anche "fratello lupo" è, appunto, fratello." (p. 147).

Riguardo alle crociate Cardini tende anche qui a sfatarne la dimensione più epica. Non ci sarebbe stata da parte di Urbano II l’idea di una crociata come compatta unione della Cristianità europea contro il comune, mortale nemico, islamico: l’idea sarebbe stata ben più circoscritta e modesta (p. 89). Del resto i conquistatori arabi della Città Santa non si sarebbero comportati complessivamente in modo negativo: nel VII secolo il Califfo si sarebbe incontrato con Patriarca di Gerusalemme trattandolo con deferenza (p. 82), e solo nell’XI si sarebbero verificate, ad opera degli sciiti egiziani, quelle azioni di percecuzione, tra cui la distruzione della chiesa della Anastasis che avrebbero allarmato l’Occidente. Cardini, in tale linea, evidenzia come, una volta liberati i Luoghi Santi, fu un grave errore quello degli Europei che sempre di nuovo vi affluivano in armi, di non ascoltare il parere dei "Franchi" che già vi si erano stanziati e conoscevano la mentalità della gente del posto. La "saggezza" di questi ultimi fu sopraffatta dalla rozzo schematismo integralista degli europei di più recente arrivo, impedendo così una integrazione e una stabilizzazione delle conquiste crociate (pp. 93 sgg.).

La caduta di Costantinopoli poi, e l’avanzata degli Ottomani nella penisola balcanica sono da leggersi come dovute non meno alle divisioni e alle rivalità tra gli europei che alla bellicosità del "nemico esterno"; troppi, nota Cardini, nei territori cristiani d’Oriente, preferivano "il turbante" dei nuovi conquistatori alla "tiara" del Pontefice Romano, memori della tragica esperienza della quarta crociata, allorché si era cercato di forzare un ritorno alla comunione con Roma. Anche dopo la caduta della Seconda Roma nelle mani dei turchi, fatto che pure destò grandissima impressione, tra i sovrani cristiani prevalse la diffidenza reciproca e il timore che la lotta contro gli Ottomani fosse usata per meschine finalità egemoniche (pp. 194/5).

Per due secoli, così, l’Europa soprattutto nella sua frontiera orientale e meridionale, dovette subire la pressione dell’Islam Ottomano. Ma, sottolinea impietosamente l’Autore, fu in gran parte colpa delle divisioni tra gli stessi cristiani, se i mussulmani poterono compiere atti di audacia e di ferocia tali da imprimere una durevole ferita alla coscienza europea. La stessa tragica vicenda di Otranto, cittadina martirizzata dai Turchi nel 1480, non sarebbe forse stata possibile senza oscure complicità occidentali (in particolare di Firenze e di Venezia).

In questo senso giocò anche la Riforma protestante: senza la minaccia turca Lutero avrebbe, ricorda Cardini, probabilmente fatto la fine dei tanti eretici bassomedioevali, ben presto arsi sul rogo e impossibilitati a diffondere le loro idee (p. 237: "Det Türcke ist der lutheranischen Glück"); d’altra parte senza Lutero e la Riforma il pericolo turco avrebbe potuto essere ben più rapidamente e incisivamente rintuzzato. Non per nulla l’effetto complessivo di quella grave divisione tra i cristiani che fu la Riforma fu una riabilitazione dell’Islam, usato da tutti gli schieramenti in lizza come termine di paragone (più positivo) degli avversari: i Turchi erano meno viziosi degli infedeli cristiani (cattolici o protestanti che fossero). Se incontestabile fu la portata della battaglia di Lepanto, e il valore eroico di personaggi come il Re Sebastiano di Portogallo, che perse la vita in una impresa dal forte sapore crociato nel 1578, resta, secondo l’Autore, che la grande paura dei Turchi, divampata tra il ‘500 e il ‘600 soprattutto nelle zone costiere dell’Europa mediterranea, fu un fenomeno complesso e polivalente. Non solo la paura europea dei pirati mussulmani era contrappesata da una paura mussulmana dei pirati europei, che non erano poi molto meno attivi in razzie di schiavi (come documentano le non infrequenti torri di avvistamento costruite sulla costa nordafricana); ma essere rapiti dai mussulmani non era visto da tutti come il massimo dei mali: non pochi, specie tra i diseredati, vedevano in tale evento la possibilità di riscatto e di ascesa sociale (p. 243 sgg.), e in effetti si segnalano molti casi di cristiani, rapiti dai Turchi, che divennero, dopo aver rinnegato la fede, "rais della flotta e caid governatori dei territori interni", come "il ligure Osta Morato, che divenne bey di Tunisi nel 1637" o Alì "Piccinino", veneziano, che divenne governatore di Algeri (p. 245).

Dal ‘700 la fortuna dell’Islam ottomano conosce un irreversibile parabola di declino. E l’Occidente, proprio per questo, lo guarda non più con angosciata preoccupazione, ma con divertita ironia, a cui non è estranea una certa simpatia. È il tempo delle "turcherie", del Flauto magico di Mozart, col personaggio del Moro Monostrato, che incarnava "la decadenza sapienziale di un Oriente preda del regressivo bigottismo saraceno" (p. 288). L’illuminismo europeo salutava con favore il declino di una civiltà così contrastante, nei suoi aspetti pubblici, con la ragione laica, pur non potendo evitare un’ultima benevolenza verso certi aspetti privati dell’Islam, ispirati a "cortesia" e "ospitalità" (p. 285).

Tra le vicende successive merita ricordare la questione ebreo-palestinese, al cui riguardo Cardini sottolinea le responsabilità britanniche (p. 310/11): ebrei e arabi si sarebbero trovati –"al di là delle intenzioni e degli interessi di entrambi"- gli uni contro gli altri (p. 311). E proprio alla incapacità occidentale di capire le legittime istanze arabe, evidenziatasi secondo Cardini in particolare con la guerra dei Sei Giorni, si dovrebbe l’attesto del processo di occidentalizzazione del mondo islamico e l’impetuosa avanzata del fondamentalismo, dilagato soprattutto a partire dalla rivoluzione iraniana (p.313).

Com’è ovvio l’ultimo argomento toccato dall’Autore è quello della "Terza ondata" islamica, dopo quella da occidente, fermata dai Carolingi e dai Sassoni nell’Alto medioevo e definitivamente rintuzzata con la presa di Granada, e quella da oriente, scatenata dagli Ottomani all’inizio dell’epoca moderna, vi è, dalla fine del ‘900, "l’ondata" islamica degli immigrati. Cardini, traendo le fila delle sue costanti sottolineature, nota come la civiltà europea non possa paventare una dissoluzione provocata da agenti esterni: è piuttosto lei stessa, pur forte sotto il profilo tecnologico ed economico, ad essere non solo politicamente debole e insicura, ma culturalmente incerta circa la propria identità; a sua volta l’Islam non dovrebbe essere visto come una inesorabile minaccia, come un monolite invincibile: si tratta di una realtà complessa e variegata al suo interno, la cui aggressività culturale va relazionata anche a fattori di percepita inferiorità economica (p. 314/5). Non vi è nulla di già predeterminato: se l’Europa saprò riscoprire le sue radici, sembra dire Cardini, non c’è pericolo islamico che la possa scuotere; viceversa, un perdurante nichilismo scettico pago dell’istante effimero, chiosiamo noi, non appare capace di garantire un incontro davvero soddisfacente né una integrazione davvero armonica e rispettosa.

Qualche osservazione

Non posso permettermi di entrare nel merito storico della ricostruzione fatta da Cardini, che è studioso giustamente apprezzatissimo e da me personalmente stimato senza riserve. Se tuttavia dal piano analiticamente storico passiamo a un piano di sintesi filosofico-teologica mi sembra cha la prospettiva cardiniana richieda qualche integrazione. Se è giusto ritenere fondamentale la questione dell’identità europea, non è indifferente considerare con realismo integrale la realtà dell’Islam, che, pur variegato, in molte parti del mondo ha attuato e continua ad attuare, dal Sudan a Timor Est e alle Molucche, dalle Filippine al Pakistan, dall’Egitto alla Turchia, consapevoli e teorizzate scelte di intolleranza, se non di sanguinaria violenza. L’immagine di Islam che viceversa emerge dalla ricostruzione di Cardini, appare forse nel complesso "troppo" positiva. È vero che la prospettiva scelta è quella di ricostruire il rapporto Europa/Islam dal punto di vista europeo, dunque si tratta di un taglio ben circoscritto. Tuttavia l’opera sembra mirare ad un fine abbastanza chiaro: sconsigliare una pregiudiziale ostilità verso l’Islam "di casa nostra", che sarebbe specchio, in realtà, di una nostra insicurezza di identità. E tale ammonizione ci sembra precisamente giusta, ma incompleta, perché sembra, portando tutto l’accento sulla propria identità, elidere la questione della identità dell’altro, che deve essere sì purificata da eventuali pregiudizi, ma non può certo essere idealizzata.