Schelling - testi

l'importanza dell'arte, organo del sapere

Nello stesso fatto di sapere - in quanto io so - l'oggettivo ed il soggettivo sono così uniti che non si può dire a quale dei due compete la priorità. Non vi è qui un primo e un secondo, entrambi sono contemporanei e una cosa sola. Nell'atto di volere spiegare questa identità, debbo averla già soppressa. Per poterla spiegare, poiché all'infuori di quei due fattori del sapere (come principio di spiegazione) non mi è dato altro, debbo necessariamente preporre l'uno all'altro, partire dall'uno per pervenire da esso all'altro: da quale dei due io parta, non è determinato dalla questione. [...]

Porre come primo l'oggettivo e ricavarne il soggettivo è, come appena mostrato, compito della filosofia della natura.

Se dunque una filosofia trascendentale esiste, non le rimane altro che la direzione opposta; partire dal soggettivo, come dal primo e assoluto, e farne risultare l'oggettivo. In tal modo filosofia della natura e filosofia trascendentale si sono distinte secondo le due principali direzioni della filosofia; e se ogni filosofia deve riuscire o a far della natura un'intelligenza, o dell'intelligenza una natura, allora la filosofia trascendentale, cui spetta quest'ultimo compito, è l'altra necessaria scienza fondamentale della filosofia. [...]

Tutta la filosofia muove e deve muovere da un principio che, come l'assolutamente identico, è semplicemente non oggettivo. Ora, però, in che modo quest'assoluto non oggettivo ha da essere chiamato alla coscienza e inteso, ciò ch'è necessario se è condizione della comprensione di tutta la filosofia? Che non possa esser né compreso né rappresentato per mezzo di concetti non c'è bisogno di dimostrarlo. Non resta dunque altro se non ch'esso venga rappresentato in un'intuizione immediata, la quale però a sua volta sembra esser essa stessa incomprensibile, e, poiché il suo oggetto ha da esser qualcosa di semplicemente non oggettivo, addirittura contraddittoria in se stessa. Ma anche se ci fosse una tale intuizione, avente come oggetto l'assolutamente identico, che in sé non è né soggettivo né oggettivo, e se per via di questa intuizione, la quale non può essere che intellettuale, ci si richiamasse all'esperienza immediata, in che modo anche quest'intuizione può ridivenire oggettiva? Cioè: come si può mettere fuori dubbio che essa non si basi su un'illusione meramente soggettiva, se di quell'intuizione non c'è un'oggettività generale e riconosciuta da tutti gli uomini. Quest'oggettività dell'intuizione intellettuale, generalmente riconosciuta, e in nessun modo negabile, è l'arte stessa. Infatti l'intuizione estetica è appunto l'intuizione intellettuale divenuta oggettiva. Soltanto l'opera d'arte mi riflette ciò che altrimenti non è riflesso da null'altro: quell'assolutamente identico, che già nell'io si è separato; ciò che il filosofo fa già separare nel primo atto della coscienza, inaccessibile altrimenti ad ogni riflessione, viene dunque irradiato per il miracolo dell'arte dai suoi prodotti.[...]

La filosofia muove da un'infinita scissione di attività opposte; ma sulla medesima scissione si basa anche ogni produzione estetica; ed essa è interamente abolita da ogni singola rappresentazione dell'arte. Che cos'è quel meraviglioso potere, per mezzo del quale secondo l'affermazione del filosofo si abolisce nell'intuizione produttiva un contrasto infinito? Noi non abbiamo potuto finora render completamente comprensibile questo meccanismo, perché solo la facoltà nell'arte può svelarlo del tutto. Quel potere produttivo è il medesimo di quello per cui anche all'arte riesce l'impossibile, cioè abolire un contrasto infinito in un prodotto finito. [..] Sebbene il mondo reale proceda interamente dalla stessa opposizione originaria da cui deve procedere anche il mondo dell'arte, il quale va similmente pensato come un solo grande tutto, e in tutti i suoi singoli prodotti rappresenta solo l'uno infinito, pure quell'opposizione al di Ià della coscienza è infinita solo nel senso che un infinito è rappresentato dal mondo oggettivo come tutto, non mai però dal singolo oggetto, mentre quell'opposizione è infinita per l'arte in riguardo ad ogni singolo oggetto, e ogni singolo prodotto di essa rappresenta l'Infinito. [...]

Se l'intuizione estetica non è se non l'intuizione Intellettuale divenuta oggettiva, s'intende da sé che l'arte sia l'unico vero ed eterno organo e documento insieme della filosofia, il quale sempre e continuamente di nuovo attesta quel che la filosofia non può rappresentare esternamente, cioè l'inconscio nell'agire e nel produrre e la sua originaria identità con il conscio. L'arte appunto perciò è per il filosofo quanto vi è di più alto, poiché essa gli apre per così dire il santuario, dove in eterna e originaria unione arde come in una sola fiamma ciò che nella natura e nella storia è separato, e ciò che nella vita e nell'azione e nel pensiero deve fuggire se stesso eternamente. La visione che il filosofo si fa artificialmente della natura è per l'arte la visione originaria e naturale. Ciò che noi chiamiamo natura è un poema, chiuso in caratteri misteriosi e mirabili. Ma se l'enigma potesse svelarsi, noi vi riconosceremmo l'odissea dello spirito, il quale, mirabilmente ingannato, cercando sé stesso fugge se stesso; giacché attraverso il mondo sensibile il senso si mostra solo come attraverso parole, e solo come attraverso nebbia semitrasparente traluce quella terra della fantasia alla quale aspiriamo. Ogni splendido quadro nasce quasi per il fatto che si abolisce la parete invisibile che separa il mondo reale dal mondo ideale, e non è se non l'apertura attraverso la quale si rivelano in pieno risalto le forme e le regioni di quel mondo della fantasia, il quale solo imperfettamente traspare attraverso il mondo reale. La natura è per l'artista non più di quello che è per il filosofo, cioè nient'altro che il mondo ideale che appare tra continue limitazioni, o nient'altro che il riflesso imperfetto d'un mondo che esiste non fuori di lui, ma in lui. [...]

Concludiamo con la seguente osservazione. Un sistema è compiuto quando è stato ricondotto al suo punto di partenza. Ma questo precisamente è il caso del nostro sistema. Infatti appunto quel principio originario d'ogni armonia tra il soggettivo e l'oggettivo, che nella sua originaria identità poteva esser rappresentato solo per mezzo dell'intuizione intellettuale, è quello che, mediante l'opera d'arte, è stato tratto interamente fuori dal soggettivo ed è divenuto del tutto oggettivo di maniera che noi a poco a poco abbiamo condotto il nostro oggetto, l'io stesso, fino a quel punto in cui noi stessi stavamo quando abbiamo cominciato a filosofare.

Ora, se soltanto l'arte riesce a rendere oggettivo con valore universale ciò che il filosofo può rappresentare solo soggettivamente, c'è da attendersi - per trarre qui ancora questa conclusione - che la filosofia, com'è stata generata e nutrita dalla poesia nell'infanzia del sapere, e con essa tutte quelle scienze che per mezzo suo vengono avviate alla perfezione, una volta giunte alla loro pienezza, come altrettanti singoli fiumi riconfluiranno in quell'universale oceano della poesia da cui erano uscite. Quale poi sarà l'intermediario del ritorno della scienza alla poesia non è in generale difficile dirlo, essendo esistito un tale intermediario nella mitologia, prima che fosse avvenuta questa separazione che ora pare inconciliabile. Ma come possa sorgere una nuova mitologia, che non può essere creazione d'un solo poeta, ma d'una nuova stirpe, che quasi rappresenti un solo poeta, è questo un problema la cui soluzione Si può attendere solo dai futuri destini del mondo e dal corso ulteriore della storia.

(F. W. I. SCHELLING, Sistema dell'idealismo trascendentale, 194-197, 255/9)

Dio e il male

Abbiamo spiegato Dio come unità vivente di forze, e se la personalità si basa sul legame d'un elemento autonomo con una base da esso indipendente, in modo che l'uno e l'altra si compenetrino interamente e non siano che un solo e medesimo essere, allora Dio, mercé l'unione del principio ideale in lui col fondamento indipendente (relativamente a quello), è la personalità più alta, poiché base ed esistente si congiungono in lui necessariamente, formando un'unica esistenza assoluta; e inoltre, se l'unità vivente di entrambi è spirito, allora Dio, in quanto è il vincolo assoluto di essi, è spirito in senso eminente e assoluto. Questo è cosi certo che solo mercé il legame di Dio con la natura è fondata in lui la personalità, mentre invece il Dio del puro idealismo, come quello del realismo puro è necessariamente un essere impersonale, del che sono la prova più chiara il concetto fichtiano e il concetto spinoziano di Dio.[...]

Dunque per spiegare il male non ci è dato altro all'infuori dei due principi in Dio.

Dio come spirito (l'eterno legame di entrambi) è l'amore purissimo, ma nell'amore non può mai esserci una volontà del male, e cosi nemmeno nel principio ideale.

Ma Dio stesso, per poter essere, abbisogna d'un fondamento, se non che questo non è fuori di lui, ma in lui; e Dio ha in sé una natura, la quale, benché appartenga a lui stesso, è diversa da lui. [...]

L'uomo non ottiene mai la condizione in suo potere, quantunque vi aspiri nel male; essa gli è soltanto imprestata, ed è indipendente da lui; perciò la sua personalità e ipseità (Selbstheit) non può mai elevarsi all'atto perfetto. Questa è la tristezza inerente a ogni vita finita, e se in Dio v'è una condizione almeno relativamente indipendente, anche in lui v'è una sorgente di tristezza, che non perviene pero mai a realtà, ma serve unicamente all'eterna gioia del superamento. Donde il velo di mestizia che si distende sulla natura tutta, la profonda ineluttabile malinconia d'ogni vita; la gioia deve accogliere il dolore, il dolore dev'esser trasfigurato in gioia.

Ciò dunque che viene dalla mera condizione o dal fondamento, non viene da Dio, anche se è necessario alla sua esistenza. Ma neanche può dirsi che il male venga dal fondamento, o che la volontà del fondamento ne sia l'autore. Infatti il male non può mai nascere se non nella più intima volontà del proprio cuore, e non è mai compiuto senza un atto proprio. La sollecitazione del fondamento o la reazione contro il sovracreaturale risveglia soltanto il desiderio del creaturale, o la volontà propria e particolare, ma la sveglia soltanto perché vi sia un fondamento indipendente del bene, e perché tal volontà sia vinta e compenetrata dal bene. Infatti non è l'ipseità eccitata, l'ipseità di per sé, che è il male: essa lo è solo in quanto si è del tutto sciolta dal suo opposto, cioè dalla luce, ossia dalla volontà universale. Ma è appunto questo distacco dal bene che costituisce il peccato L'ipseità attivata è necessaria per l' intensità della vita; senza di essa ci sarebbe la morte completa, un assopimento del bene, poiché dove non c'è lotta non c'è vita. La volontà del fondamento è dunque solo il risveglio della vita non il male immediatamente e in se stesso. Quando la volontà dell'uomo circonda con l'amore l'ipseità attivata e la subordina alla luce come volontà universale, allora soltanto ne nasce la bontà attuale, divenuta sensibile mercé l'intensità della sua vita. Nel bene dunque la reazione del fondamento è una spinta al bene, nel male una spinta al male, come dice la Scrittura: nei pii sei pio, ed empio negli empi. Un bene senza un'efficace ipseità è esso stesso un bene inefficace. Quello stesso che mediante la volontà della creatura diventa cattivo (se si stacca completamente, per essere per sé), è in se stesso il bene, naturalmente fino a che resta nel fondamento e avviluppato nel bene. Soltanto l'ipseità vinta, e quindi riportata daIl'attività alla potenzialità, è il bene, e in quanto superata da quest'ultimo, come potenza, continua a rimanere nel bene. Se nel corpo non vi fosse una radice del freddo, il calore non potrebbe esser percepibile. Pensare una forza attrattiva e una forza repulsiva isolatamente è impossibile [...]. Sicché, dialetticamente, è esattissimo dire che bene e male siano la stessa cosa, vista pero da lati diversi; ovvero che il male, considerato in sé, ossia nella radice della sua identità, sia il bene, come viceversa il bene, considerato nella sua scissione o non identità, sia il male.

Non puo esservi alcun dubbio che il male è stato necessario per la rivelazione di Dio. Infatti, se Dio come spirito è l'unità indivisibile dei due principi, e se questa stessa unità è reale solo nello spirito dell'uomo, nel caso che questa unità fosse neIlo spirito umano altrettanto indissolubile quanto in Dio, l'uomo non sarebbe per niente diverso da Dio: l'uomo si risoIverebbe in Dio, e non ci sarebbe né rivelazione né moto d'amore. Infatti ogni essere può rivelarsi solo per mezzo del suo contrario: l'amore solo nell'odio, l'unità solo nella lotta. Se non ci fosse separazione dei principi, l'unità non potrebbe mostrare la sua onnipotenza; se non ci fosse la discordia, l'amore non potrebbe diventar reale. L'uomo è collocato a un livello così alto, che ha in sé stesso l'origine del suo spontaneo movimento verso il bene o verso il male indifferentemente: il legame dei principi in lui non è necessario, ma libero. Egli sta nel punto decisivo: qualunque cosa egli scelga, l'azione sarà sua, ma non può restare nell'indecisione, perché Dio deve rivelarsi necessariamente, e perché nella creazione in generale non deve rimanere nulla di equivoco. [...]

Si è spesso creduto che chi ha voluto il mondo abbia dovuto volere anche il male.
Ma quando Dio riconduceva all'ordine i disordinati parti del caos ed esprimeva nella natura la sua eterna unità, egli con ciò operava piuttosto contro le tenebre, opponeva allo sregolato movimento del principio irrazionale il verbo, come centro stabile e lume eterno. La volontà di creare era dunque immediatamente solo una volontà di far nascere la luce, e quindi il bene; in questa volontà il male non venne in considerazione né come mezzo né come conditio sine qua non per la massima perfezione possibile del mondo, come dice Leibniz. Il male non fu oggetto né d'un decreto divino tanto meno d'una concessione divina. La domanda perché Dio, pur avendo necessariamente previsto che il male sarebbe derivato almeno in modo concomitante dall'autorivelazione, non abbia preferito non rivelarsi affatto, non merita risposta.

Sarebbe come dire che perché non ci sia l'antitesi dell'amore non dev'esserci neanche l'amore. [...] Se Dio per evitare il male non si fosse rivelato, il male l'avrebbe vinta sul bene e sull'amore. [...] Sarebbe come se Dio sopprimesse la condizione della sua esistenza, cioè la sua propria personalità. Insomma, perché non ci fosse il male, bisognerebbe allora che Dio stesso non ci fosse. [...]

  La volontà dell'amore e la volontà del fondamento sono due volontà diverse, ciascuna delle quali è per sé; ma la volontà dell'amore non puo resistere alla volonta del fondamento, né abolirla, ché altrimenti dovreble contrastare se stessa. Infatti il fondamento deve agire perché l'amore possa essere, e deve agire indipendentemente da esso perché esso esista realmente. Ora, se l'amore volesse infrangere la volontà del fondamento, combatterebbe con se stesso, perderebbe l'unità con se stesso, e non sarebbe plu l'amore. Questo lasciar agire il fondamento è l'unico concetto pensabile della tolleranza, che nel suo abituale riferimento all'uomo, è affatto inammissibile. A sua volta la volontà del fondamento non puo certo infrangere l'amore, né lo desidera neppure, benché spesso ne abbia l'apparenza; infatti, allontanatasi dall'amore, essa deve essere una volontà propria e particolare, perché l'amore, attraversandola come la luce attraversa la tenebra, appaia nella sua onnipotenza. Il fondamento e solo una volontà di rivelazione ma appunto perché questa sia, deve evocare la particolarità e l'opposizione. La volontà dell'amore e quella del fondamento diventano dunque una sola e medesima cosa proprio per il fatto che sono separate e fin dall'inizio ciascuna opera per sé. Perlanto la volontà del fondamento fin nella prima creazione eccita la volontà individuale della creatura affinché, se lo spirito sorge come volonta dell'amore, questa incontri una resistenza in cui possa realizzarsi.[...]

Il male non è altro che il fondamento originario dell'esistenza (Urgrund zur Existenz), in quanto questo fondamento tende ad attualizzarsi nell'essere creato, e quindi in realtà non è altro che il fondamento attivo nella natura elevato ad una potenza superiore.

(F. W. J. Schelling, Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana)